Il datore di lavoro può chiedere i danni al dipendente? La risposta è sì: vediamo insieme come può essere effettuato il risarcimento del danno. Il procedimento disciplinare è obbligatorio o si può effettuare un prelievo sulla busta del dipendente superiore ad un quinto dello stipendio?
Partiamo con un esempio concreto: il datore di lavoro sostiene che il dipendente abbia rotto un macchinario e non solo; a causa di ciò si è dovuta ridurre la produzione della giornata e si sono avuti dei danni per l'azienda a causa dei mancati incassi della giornata. Così il titolare vuole il risarcimento dei danni e minaccia il dipendente di trattenere le somme dalla busta paga.
Il discorso sembra assurdo anche perché chi quantifica il danno? Il datore di lavoro potrebbe aumentare quello che ritiene essere il danno a suo favore. Dall'altra parte tutti sanno che il quinto dello stipendio non si può superare per legge. Ma chi ha ragione in questo caso? Se, infatti, da una parte è vero il discorso del quinto dello stipendio, dall'altro una norma del codice civile prevede che ogni cittadino ed anche i dipendenti, debbano risarcire i danni procurati ad altri.
Cerchiamo di rispondere a questi quesiti per fare luce, una volta per tutte, su questo annoso problema.
Per prima cosa chiariamo l'aspetto della quantificazione del danno: se il datore di lavoro vuole il risarcimento deve trovare un accordo con il dipendente o procedere - per la quantificazione del danno - attraverso procedimento. Per legge è possibile pretendere una somma di denaro a patto che questa sia certa e liquida.
La certezza deriva da un'ufficialità nella quantificazione ovvero deve essere un giudice a stabilire, tramite una sentenza di condanna per il lavoratore, a quantificare il danno da risarcire. Il primo passo certo, dunque, è che il datore di lavoro che voglia un risarcimento da un dipendente deve intentare causa contro di esso.
Un altro passaggio fondamentale è che se il danno è stato provocato accidentalmente o da un evento per il quale il dipendente non ha colpe, il danno non può essere risarcito. Questo aspetto va considerato soprattutto per il normale logorìo delle apparecchiature ed altri esempi che "scagionano" appieno il dipendente da colpe che potrebbero porlo in una posizione tale da dover effettivamente risarcire il danno al datore di lavoro.
Per chiedere il risarcimento, dunque, è indispensabile che il dipendente sia effettivamente colpevole per la violazione delle basilari regole di prudenza ed attenzione richieste ad un uomo medio. La colpa, in questo senso, può derivare anche dalla mancata esecuzione del regolamento aziendale impostogli e delle norme previste dal contratto nazionale del lavoro.
Si potrebbe pensare che, essendo il dipendente in colpa, contro di lui si debba avviare un procedimento disciplinare. Non è così: secondo la Cassazione il datore di lavoro può chiedere il risarcimento del danno anche senza avviare alcun procedimento contro il suo dipendente o avviarli insieme o solamente il provvedimento. In pratica, con la colpa del dipendente, l'azienda ha 3 soluzioni:
Inoltre, se viene avviato il procedimento disciplinare, è necessario che ci siano queste garanzie:
In casi molto gravi si può arrivare al licenziamento del dipendente.
E' lecito, dopo una sentenza di condanna nei confronti del lavoratore, trattenere il risarcimento del danno dalla busta paga o dal TFR? La risposta la da la Cassazione: sì, è lecito. In questo caso, addirittura, non vale più la "regola" del quinto dello stipendio. E per ipotesi, si potrebbe trattenere il risarcimento del danno che spetta per intero dalla busta paga o dal TFR del lavoratore.
Da ciò si evince come sia indispensabile, nel caso di accusa da parte del datore di lavoro di aver procurato un danno, dimostrare - in caso di non colpa - tutto ciò che è possibile per fermare le intenzioni del datore di lavoro. In caso contrario, infatti, potrebbe essere decurtato tutto lo stipendio o addirittura tutto il TFR a disposizione.
Un altro caso in cui un datore di lavoro può richiedere un risarcimento è rappresentato dall'inadempienza del lavoratore, laddove questi con il suo comportamento può recare un danno all'azienda.
Tra i doveri di un impiegato sono compresi anche gli obblighi di fedeltà e diligenza, ovvero, dovrà attenersi fedelmente alle regole aziendali vigenti e instaurare così un rapporto di fiducia con l'azienda, svolgendo diligentemente le proprie mansioni, rispettando tutte le regole "tecniche" che gli sono state impartite per rendere la propria prestazione completa e utile per l'azienda.
Nel momento in cui vengono violate tali norme valoriali il lavoratore può rischiare il licenziamento, ma vediamo esattamente a cosa può andare incontro. Trattandosi di responsabilità disciplinare, che potrebbe portare a un danno patrimoniale effettivo per l'azienda, il datore deve inizialmente redigere un provvedimento disciplinare scritto e può:
Per esercitare tali azioni, il titolare dovrà attenersi a quanto disciplinato dai contratti collettivi, di qualsiasi livello, cioè una specifica previsione del contratto individuale.
Fonti normative:
art. 1175, art. 2043 e art. 2104 del Codice Civile
Art. 7 Legge n. 300/70
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