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Il mio datore di lavoro non mi vuole licenziare

Il licenziamento è senza dubbio uno degli strumenti che ha a disposizione il datore di lavoro per spaventare il lavoratore. Ma ci sono dei casi contrari: avete mai sentito dire, ad esempio "il mio datore di lavoro non mi vuole licenziare"?

Contributo al finanziamento della Naspi

Quindi, se da una parte il licenziamento è un'arma per il datore di lavoro, deve sempre essere vista come un'arma a doppio taglio visto che, in caso di licenziamento, anche il datore di lavoro ha un costo da sostenere. Nello specifico, si tratta di un contributo a sostegno della disoccupazione che il dipendente licenziato andrà a percepire.

Il contributo in questione è stato introdotto dalla Riforma Fornero come contributo alla mobilità ed è stato modificato, poi, in contributo destinato al finanziamento della Naspi. La modifica, sostanziale nel nome e nei fatti, è avvenuta nel 2016 a seguito delle modifiche apportate con il Jobs Act in fatto di disoccupazione.

A partire dal gennaio 2018, inoltre, con la legge di Bilancio, l'aliquota contributiva a carico del datore di lavoro è stata ulteriormente aumentata aumentando, di fatto, il costo per il datore di lavoro in caso di licenziamento di un dipendente. Questo contributo ha il termine tecnico di ticket di licenziamento.

Il ticket di licenziamento

Come detto, il ticket di licenziamento è stato introdotto dalla legge Fornero ed è un contributo che le aziende ed i datori di lavoro devono nei casi in cui avvenga un'interruzione del rapporto lavorativo con un dipendente. Questo ticket, nato in sostituzione dell'indennizzo di mobilità ha sostituito il contributo d'ingresso alla mobilità per i contratti collettivi (nel 2017).

Gli scopi del ticket di licenziamento sono sostanzialmente due:

  • ​finanziare la Naspi cioè l'indennità di disoccupazione introdotta con il Jobs Act;
  • scoraggiare i licenziamenti.

Ma non tutti i rapporti di lavoro che terminano fanno scattare il versamento del ticket di licenziamento. Vale, infatti, solamente per l'interruzione di contratti di lavoro a tempo indeterminato o nel caso di un apprendistato interrotto al termine del periodo di formazione. In caso, invece, di decesso del dipendente o di un contratto di lavoro a termine non è dovuto il versamento del ticket.

Quanto costa licenziare un dipendente?

Detto tutto ciò, quanto costa licenziare un dipendente

  • ​nel caso di un licenziamento individuale viene calcolato il 41% del massimale mensile Naspi per ogni 12 mesi di anzianità del dipendente negli ultimi 3 anni. Considerando, dunque, che il massimale Naspi nel 2017 era di 1195€, il contributo che il datore di lavoro dovrà versare 489,95€ per gli ultimi 12 mesi di lavoro del lavoratore mentre arriverà a 1469,85€ per rapporti lavorativi di 36 mesi o superiori.
  • in caso, invece, di licenziamenti collettivi da parte di un'azienda rientrante nella CIGS il discorso cambia radicalmente. L'aliquota, in questo caso, raddoppia e raddoppia, dunque, anche il contributo da versare a carico dell'azienda. Per ogni lavoratore, dunque, si può arrivare a dover versare (nel 2017) anche 2940€ e se non ci sono accordi sindacali di sorta, allora si può arrivare anche alla somma di 8820€ per ogni lavoratore licenziato.

Perché non mi licenziano?

Se esistono casi in cui il lavoratore si chiede come mai non viene licenziato dal datore di lavoro con la classica affermazione "il mio datore di lavoro non mi vuole licenziare" allora vuol dire che la creazione del ticket di licenziamento modificato con il Jobs Act è davvero servito. Uno dei due scopi, infatti, era proprio quello di scoraggiare i licenziamenti da parte dei datori di lavoro e delle aziende.

Se la vostra domanda è "perché non mi licenziano?" allora la Legge Fornero ha avuto successo. Attenzione però: se siete tra i furbetti che cercano in tutti i modi di farsi licenziare per accedere alla Naspi, sappiate che ci sono dei rischi.

In questo modo, dunque, è chiaro perché alcuni datori di lavoro siano più restii a licenziare un dipendente soprattutto - anzi solamente - nei casi in cui questo sia assunto a tempo indeterminato ed in particolare se lavora all'interno dell'azienda da oltre 36 mesi perché, come abbiamo visto, in questo caso il contributo da versare per finanziare la Naspi sarebbe massima.

Ma se da una parte questo sembra un impedimento per il lavoratore, d'altro canto permette di cercare una conciliazione fra datore di lavoro e dipendente che, vistala situazione di stallo, a volte mettono a tacere i diverbi e chiariscono la situazione lavorativa.

​Rimborso del ticket Naspi

Può succedere che i dipendenti che vogliono essere lasciati a casa non si presentino al lavoro determinando la cosiddetta assenza ingiustificata. Nel caso in cui si verifichi una situazione di questo tipo ed il datore di lavoro si trovi in qualche modo costretto a licenziare, la Cassazione ha previsto il rimborso del ticket licenziamento versato all'Inps.

E' il caso del Tribunale di Udine, che con la Sentenza n. 106 del 30 settembre 2020, dove un'azienda ha ricevuto il diritto ad essere risarcita dopo che si era trovata costretta a licenziare un dipendente per assenza non giustificata. Il Giudice ha quindi sentenziato che il diritto ad ottenere dal lavoratore il risarcimento del danno pari alla cifra del ticket Naspi.

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