Nel periodo storico che stiamo vivendo è sempre più difficile trovare un lavoro stabile.Il cosiddetto “posto fisso” sembra essere ormai un retaggio del passato, dato che oggi si trovano soluzioni lavorative da una parte più flessibile ma sicuramente anche meno sicure.
Insomma, i lavoratori non possono più dormire sonni tranquilli, dato che, le nuovi legge in materia permettono agli imprenditori di potere decidere con più margini di autonomia in merito ai propri dipendenti.
Ovviamente ci sono dei controlli, e le scelte devono in ogni caso sempre essere supportate da validi argomenti, come nel caso di licenziamento per mancanza di lavoro. Si tratta di una possibilità concessa alle aziende che si trovano a fronteggiare un periodo di crisi, dovuta a un calo delle vendite e quindi dei guadagni, ma non solo.
Le attività che decidono di rendere più moderni gli stabilimenti produttivi, acquistando macchinari di ultima generazione, inevitabilmente si troveranno costretti a lasciare a casa alcuni lavoratori, non più utili come un tempo.
Vediamo, quindi, di capire in quali casi è possibile licenziare un lavoratore, per motivi legati all’organizzazione aziendale.
Licenziamento per mancanza di lavoro: le motivazioni
Complice la crisi economica che ha colpito duramente anche il nostro Paese, molte realtà aziendali si sono trovate costrette a ridurre il personale, per fare fronte a tutte le spese, ed evitare un fallimento.
A fronte di un calo del fatturato, infatti, è necessario prendere dei provvedimenti, per evitare che la situazione possa peggiorare gradualmente, fino a diventare insostenibile, aumentando considerevolmente la quantità e l’entità dei debiti che non è possibile pagare entro i termini di scadenza.
La decisione di lasciare a casa alcuni lavoratori, comunque, non è legata soltanto a periodi di difficoltà economica. L’azienda, ad esempio, potrebbe decidere di sostituire alcune mansioni con macchinari all’avanguardia, oppure esternalizzando alcune funzioni a ditte specializzate.
In altre parole l’imprenditore ha il diritto di scegliere come gestire la propria azienda, organizzando il lavoro come crede sia più opportuno.
Detto ciò, va comunque sottolineato che, la legge pone alcuni vincoli che l’azienda deve rispettare per portare avanti le procedure nel modo corretto.
Innanzitutto le motivazioni oggettive devono essere realistiche, ovvero si deve trattare davvero di necessità riorganizzative. Non è possibile lasciare a casa qualcuno dichiarando di essere in crisi, e poi dichiarare un fatturato più elevato rispetto a quello dell’anno precedente. Oppure licenziare alcuni soggetti per provvedere a nuove assunzioni.
Non sono, infatti, ammessi licenziamenti per motivi discriminatori, non legati effettivamente alla produzione o all’organizzazione aziendale.
Inoltre, se vengono lasciati a casa almeno 5 dipendenti nell’arco di 120 giorni si parla di licenziamenti collettivi, per i quali è necessario trovare un accordo con i sindacati prima di procedere.
Nelle ipotesi individuali, ad ogni modo, l’interessato ha sempre la possibilità di contestare la decisione del datore di lavoro se ritiene che sia illegittima. A tal proposito è utile sapere che l’onere della prova spetta all’azienda, che deve quindi dimostrare di avere agito correttamente, e di avere delle valide motivazioni per “liberarsi” del dipendente in questione.
Licenziamento per mancanza di lavoro: criteri di scelta
Nei paragrafi precedenti abbiamo visto in quali casi un’azienda può optare per licenziamenti per mancanza di lavoro. La questione, però, è tutt’altro che semplice, dato che in presenza di più dipendenti nello stesso reparto, con mansioni interscambiabili, la scelta non può essere fatta in modo arbitrario, ma seguendo i criteri che la legge ha fissato per quanto riguarda i licenziamenti collettivi.
In pratica alcuni soggetti possono vantare maggiori diritti rispetto ad altri, in modo particolare chi ha una maggiore anzianità di servizio o più familiari a carico.
Chi ritiene di essere vittima di un’ingiustizia, comunque, può contestare la lettera inviata dal datore di lavoro entro 60 giorni dal ricevimento della stessa. Successivamente deve fare ricorso in tribunale entro 180 giorni, per avviare la causa.
Come anticipato, l’onere della prova spetterà all’azienda, mentre il lavoratore deve limitarsi a sostenere che le motivazioni sono infondate e non legittime.
Il ripescaggio
Prima di decidere in merito al licenziamento per mancanza di lavoro o per riassetti organizzativi, l’imprenditore deve dimostrare di avere fatto tutto il possibile per salvare la situazione.
In modo particolare deve sostenere che il lavoratore in questione non fosse adatto a ricoprire altri ruoli in azienda, svolgendo anche mansioni diverse. In altre parole, prima di lasciare a casa qualcuno, è necessario ipotizzare una sua ricollocazione interna, ovvero un ripescaggio o repechage.
E’ possibile valutare anche un demansionamento, se l’interessato accetta la proposta.
Tuttavia, se non viene rispettata tale norma, il dipendente può agire per chiedere un risarcimento dal datore di lavoro, e in alcuni casi quest’ultimo è obbligato a reintegrare il soggetto in azienda.
Come contestare la decisione dell’azienda?
Per procedere con l’impugnazione del licenziamento è innanzitutto necessario attendere che l’azienda provveda ad inviare la lettera contenente la risoluzione del rapporto lavorativo.
Essa deve essere spedita entro 60 giorni dalla comunicazione ufficiale.
Sebbene la contestazione possa essere scritta e spedita in modo autonomo dal lavoratore, in modo stragiudiziale, il nostro consiglio è quello di affidarsi sempre ad un avvocato esperto in diritto del lavoro, per evitare degli errori e per comprendere effettivamente i propri diritti.
Il ricorso in giudizio, invece, deve essere depositato in tribunale entro 180 giorni dalla spedizione della lettera sopra indicata. In tal caso, solamente un legale è autorizzato a procedere.
Possiamo dire quindi, che il procedimento di contestazione del licenziamento per mancanza di lavoro avviene in due fasi:
- entro 60 giorni si deve inviare una lettera raccomandata per dichiarare l’intenzione di impugnare la decisione dell’azienda. Non sono previste particolari formalità, è sufficiente indicare la volontà di opporsi.
- entro 180 giorni dall’invio della lettera di contestazione è possibile depositare il ricorso in tribunale.
In alternativa al giudizio in tribunale, comunque, entro 180 giorni il lavoratore può promuovere un tentativo di conciliazione e arbitrato. Se quest’ultimo non viene accettato dalla controparte o ha esito negativo, è possibile effettuare il ricorso in tribunale entro 60 giorni.
Fonti normative
- Artt. 2118 e 2119 del codice civile
- Art. 18 dello statuto dei lavoratori