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Praticante avvocato: chi è?

Il praticante avvocato è colui che si è ostinato nel conseguire la laurea in Giurisprudenza e che all'indomani del traguardo raggiunto ha iniziato, senza neanche accorgersene, la pratica come avvocato. 

Questo periodo di formazione, che dura 18 mesi, è obbligatorio per accedere all'esame di abilitazione d'avvocato. Dopo aver conseguito il titolo, il neo-laureato in Giurisprudenza deve compiere una scelta molto importante per i due anni a venire: quella del dominus, ovvero deve scegliere lo Studio Legale e l'Avvocato presso cui svolgere il tirocinio formativo. La decisione è delicata, ma è comunque possibile modificare il dominus in corso d'opera, o, addirittura, aggiungerne un secondo. Colui che decide di accogliere il praticante nella propria realtà professionale deve, poi, sottoscrivere una dichiarazione che attesti che il praticante "x" svolge il tirocinio presso il suo studio. Questa dichiarazione è di primaria importanza perché fa parte dei documenti indispensabili da presentare al Consiglio dell'Ordine per l'iscrizione all'albo dei praticanti. 

​Mansioni praticante avvocato

Una volta ottenuta l'iscrizione al registro dei praticanti da parte del Consiglio dell'Ordine, il praticante riceverà un tesserino di riconoscimento e dovrà: 

  • assistere alle udienze civili e penali presso la Corte d'Appello o il Tribunale (con un minimo di 20 udienze per ogni semestre)
  • compilare il libretto della pratica, descrivendo nel dettaglio le attività svolte, e consegnarlo poi presso l'Ordine per la sua verifica e vidimazione alla fine di ogni semestre
  • sostenere presso l'Ordine alcuni colloqui per la verifica dell'adempimento della pratica professione 

Il praticante ha il diritto, durante le ore del tirocinio, di ricevere, da parte dell'Avvocato, una preparazione effettiva sull'esame di abilitazione: si occuperà quindi di stendere, con la supervisione dell'Avvocato, atti giudiziali e stragiudiziali, pareri e ricerca. Inoltre, il praticante avvocato ha l'obbligo di occuparsi anche delle questioni amministrative, cioè sulla tenuta della contabilità e sulla gestione della fatturazione attiva e passiva. 

Quello che invece non dovrebbe assolutamente fare, invece, è occuparsi puramente di attività di segreteria, ma solo occasionalmente e se è proprio necessario. 

In sintesi, il praticante ha l'obbligo di svolgere una pratica forense quotidiana attiva, che sia la sua prevalente occupazione. Questa pratica non può essere puramente formale o limitata alla partecipazione alle udienze, ma deve includere tutte le attività tipiche della professione. 

​La prima udienza del praticante avvocato 

Per il praticante avvocato, il primo giorno in un'aula di Tribunale è difficile da dimenticare: avvocati che si salutano e parlano tra loro, la sensazione di inadeguatezza ma al contempo l'entusiasmo. Alla fine, per quanto il sistema italiano tenda a una trattazione orale, tutto si riduce a uno scambio di battute che sono già scritte nel verbale di udienza e il giudice, purtroppo, concede a malapena agli avvocati la facoltà di spiegare i fatti, prima di disporre il successivo rinvio. Nonostante ciò, per il praticante rimane comunque una giornata memorabile perché per la prima volta, finalmente, riesce a concretizzare quello che ha studiato durante l'università. 

​La giornata tipo del praticante avvocato

Nell'arco della giornata il praticante deve svolgere diversi compiti in Tribunale. Di norma, in mattinata gli spettano lunghe code davanti alle cancellerie, mentre nel pomeriggio si reca presso lo studio. Lì, legge attentamente fascicoli nei quali anche un minimo dettaglio può fare la differenza. Se si è fortunati e si sta svolgendo la pratica presso un dominus generoso e gentile, il praticante potrà instaurare i primi rapporti di fiducia con i propri assistiti ed è in questo momento che si comprende appieno cosa significhi essere avvocato.

​Quanto guadagna un praticante avvocato

Non trattandosi di un contratto di lavoro vero e proprio, al praticante non spetta nessuno stipendio, ma piuttosto un "rimborso spese" basato sull'effettivo impegno e sul lavoro svolto. L'entità del rimborso spese viene determinata dal dominus e, generalmente, dipende dalla città in cui si trova lo studio: più è alto il costo della vita, più alto sarà il rimborso. Altro criterio che determina l'entità del rimborso è la fama dello studio legale: più grande è la fama dello studio, maggiore sarà il rimborso spese. 

C'è da dire, però, che dopo i primi 6 mesi di tirocinio, come scritto nell'Art. 41 comma 11 della Legge professionale (L. n. 247/2012) il dominus può stipulare con il praticante un apposito contratto nel quale determinare un compenso per l'attività svolta nello studio: questo, ovviamente, sarà commisurato all'effettivo apporto dato allo studio dal praticante avvocato. 

Inoltre, il Codice deontologico forense, nell'art. 40, stabilisce che "l'avvocato deve fornire al praticante un idoneo ambiente di lavoro e, fermo l'obbligo del rimborso spese, riconoscergli, dopo il primo semestre di pratica, un compenso adeguato, tenuto conto dell'utilizzo dei servizi e delle strutture dello studio". Questa norma, quindi, impone un vero e proprio dovere al dominus, quello di compensare la collaborazione del praticante avvocato in proporzione all'apporto ricevuto. Tuttavia, quasi nell'80% dei casi questa norma non viene rispettata, complice anche l'assenza di controlli e la conseguente sanzione che ne dovrebbe derivare. Così, purtroppo, il primo periodo di pratica normativamente esente da compenso, viene fatto coincidere con l'intero periodo di tirocinio forense. 


Fonti normative

  • Art. 41 comma 11 (L. n. 247/2012)
PRATICANTE AVVOCATO
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