In caso di condanna penale è possibile impugnare la sentenza, cioè contestarla, ma entro i termini per l'appello penale previsti dalla legge, per evitare la cosiddetta “decadenza dei termini”.
Se un individuo è stato condannato a trascorrere un periodo rinchiuso in un carcere, significa che ha commesso un reato penale, o meglio che è stato giudicato colpevole di avere infranto la legge con il suo comportamento. Ad esempio può avere eseguito un furto, una rapina, un’aggressione, un omicidio e analizzando accuratamente i fatti e le eventuali prove contro di lui, un giudice lo ha considerato colpevole e quindi deve scontare una pena.
Ma facciamo un passo indietro, per chiarire al meglio la situazione.
A seguito di un atto criminoso, la vittima decide di denunciare o querelare il presunto colpevole, facendo così partire delle indagini preliminari da parte della polizia giudiziaria. Dopo le prime valutazioni gli organi competenti decidono se ci sono le premesse e i presupposti per procedere contro la persona indicata. Se le condizioni sono favorevoli viene chiesto un rinvio a giudizio, e quindi il soggetto sarà sottoposto a un processo penale.
Qualsiasi processo si conclude, purtroppo non sempre in tempi brevi, con una sentenza che può essere positiva o negativa per l’imputato. Si tratta, però, di un primo grado di giudizio, che non è ancora definitivo. A questo punto, infatti, il soggetto coinvolto può decidere di impugnare la sentenza penale, in quanto la ritiene ingiusta nei suoi confronti.
Dopo il processo di primo grado viene formulata una sentenza che decreta l’assoluzione o la colpevolezza dell’imputato. Se il condannato o il pubblico ministero (pm) non sono pienamente d’accordo con la decisione del giudice c’è la possibilità di impugnare tale scelta, ricorrendo a un secondo grado di giudizio, in Corte d’Appello.
Quindi non solo il soggetto considerato colpevole può appellarsi, ma anche lo stesso pm che ha condotto le indagini, magari perchè ritiene che la pena non sia abbastanza severa per il resto contestato.
Vediamo nel dettaglio i due casi:
Le scadenze per potere fare appello dipendono molto dalle tempistiche del primo grado di giudizio. In particolare è di fondamentale importanza il tempo necessario al Giudice per depositare la motivazione alla sentenza che ha formulato.
Alla fine dell’udienza, il giudice legge la condanna, definita “dispositivo di sentenza”, ma in seguito deve scrivere le motivazioni di tale decisione, e deve chiarire entro quali termini temporali intende farlo.
Termini appello penale, vediamo quali sono:
E’ giusto precisare che il giudice è tenuto, in ogni caso, a presentare le motivazioni entro 90 giorni, in caso contrario deve dare delle spiegazioni per tale ritardo.
L’avviso di avvenuto deposito di qualsiasi sentenza viene, comunque, comunicato al procuratore generale presso la Corte di appello, ed è proprio questa data ad essere considerata per potere impugnare la decisione entro i termini previsti.
Oltre i suddetti termini non è più possibile impugnare la sentenza penale, che sarà quindi considerata definitiva.
Come abbiamo visto, è possibile opporsi a sentenze che si considerano sbagliate, presupponendo che un giudice possa commettere degli errori. Anzi, spesso è indotto a fare una scelta errata.
Durante un processo il magistrato stabilisce quale avvocato ha ragione, in base alle tesi che vengono prospettate. A volte il professionista più abile e convincente può avere la meglio, e il giudice può interpretare in un determinato modo fatti. Deve scegliere quale parte è più convincente ma non può proporre una sua interpretazione, non è ammessa infatti una “terza via”.
L’errore quindi potrebbe essere indotto dalla bravura degli avvocati, che riescono a sviare i fatti con abili mosse strategiche. Per questo motivo il giudizio definitivo non può essere solamente uno, anche perché il diritto è davvero ampio e mutevole, e nessuno è al riparo da possibili sbagli.
Proprio per questi motivi è prevista la possibilità di appellarsi a una decisione. Ma quante volte si può fare?
Comunemente si ritiene che i gradi di giudizio siano tre:
Cercando di semplificare il secondo grado si può considerare come una rivincita dopo il primo “round”, ma raramente si arriva anche alla terza fase, che presuppone circostanze precise.
Nei primi due gradi vengono analizzati e verificati i fatti, mentre nel terzo si verifica la corretta interpretazione delle norme di diritto, senza effettuare un’ulteriore analisi su quanto successo.
Possiamo dire, quindi, che i gradi di giudizio sono generalmente due, e dopo la sentenza in Corte d’Appello la pena diventa definitiva.
Impugnare una sentenza non è obbligatorio, anzi. Se non si è interessati a procedere con l'impugnazione è possibile presentare una rinuncia, Lo prevede l'articolo 589 del Codice di procedura penale, che spiega:
"La dichiarazione di rinuncia è presentata a uno degli organi competenti a ricevere l'impugnazione nelle forme e nei modi previsti dagli articoli 581, 582 e 583 ovvero, in dibattimento, prima dell'inizio della discussione. Quando l'impugnazione è trattata e decisa in camera di consiglio, la dichiarazione di rinuncia può essere effettuata, prima dell'udienza, dal pubblico ministero che ha proposto l'impugnazione e, successivamente, dal pubblico ministero presso il giudice dell'impugnazione, anche se la stessa è stata proposta da altro pubblico ministero".
Se si lasciano decorrere i termini entro i quali presentarla, si parla di rinuncia tacita.
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