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Elusione fiscale: cos’è e come viene sanzionata?

L’elusione fiscale è il comportamento scorretto di alcuni contribuenti che elaborano strategie per aggirare le regole in materia fiscale. Vediamo come viene punita.

L’elusione fiscale è “il comportamento del contribuente che, pur rispettoso della lettera della normativa tributaria, tende a evitare il pagamento dell’imposta con costruzioni negoziali il cui solo scopo è quello di sottrarsi all’obbligo fiscale” (cfr. def. Enciclopedia Treccani).

Il nostro sistema normativo la punisce nella misura in cui questa costuisca un abuso del diritto, come definito all’art. 10-bis del L. n. 212/2000 (cd. Statuto del Contribuente, nel seguito anche St.contr.).

Tale norma prevede che “Configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti. Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria, che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”.

La disciplina prevista dall’art. 10-bis St. contr. costituisce la prima effettiva regolamentazione organica del divieto di elusione fiscale, la quale in precedenza era sommariamente descritta dal solo art. 37-bis DPR 600/1973, in materia di accertamento delle imposte sui redditi

Cos’è l’elusione fiscale?

Quando alcuni contribuenti realizzano un risparmio di imposta utilizzando in maniera strumentale le regole tributarie previste nell’ordinamento domestico, effettuando delle operazioni al solo scopo di ottenere tale vantaggio, dunque senza alcuna ragione in concreto diversa dal ridurre il proprio carico fiscale, allora si deve ritenere che il risparmio fiscale conseguito sia illecito e, quindi, da disconoscersi da parte dell’erario. Differenze con l’evasione fiscale

Per riuscire a comprendere a fondo cos’è effettivamente l’elusione fiscale, è utile porla a confronto con l’evasione fiscale.

Mentre nel fenomeno elusivo si assiste all’aggiramento del precetto tributario, attraverso comportamenti che, pur non violando direttamente alcuna norma, in realtà ne tradiscono comunque la ratio e la funzione al fine di ottenere un risparmio di imposta al quale non si avrebbe altrimenti diritto, nell’evasione fiscale si realizza una vera e propria violazione degli obblighi tributari gravanti sul contribuente.

Quest’ultimo, infatti, si sottrae fraudolentemente al pagamento di quanto dovuto, occultando il fatto che darebbe luogo ad imposizione (ad esempio omettendo di dichiarare un reddito imponibile oppure deducendo costi in realtà mai sostenuti) o attribuendogli una qualificazione giuridica non corrispondente alla realtà (ad esempio, perché da tale qualificazione deriva l’applicazione di una aliquota inferiore, con conseguente risparmio d’imposta).

L’accertamento dell’evasione comporta, oltre al recupero delle imposte non versate e all’irrogazione di sanzioni amministrative ex D.Lgs. n. 471/1997 , anche la possibile esposizione a conseguenze di natura penale, qualora vengano superate le soglie di punibilità previste dal D.Lgs. n. 74/2000.

Dalle ipotesi di elusione vanno poi tenuti distinti tutti i casi in cui è la legge stessa a consentire al contribuente di scegliere tra diverse soluzioni messe a sua disposizione dall’ordinamento tributario (si faccia l’esempio del regime c.d. “forfetario” previsto dall’art. 1, commi 54 e ss., l.190/2014, in alternativa al regime fiscale c.d. “ordinario”): ciò che si realizza è un lecito risparmio d’imposta, derivante dalla scelta del meno oneroso fra strumenti e modelli fiscali alternativi appositamente proposti dal legislatore all’interno di un sistema che riconosce i principi di autonomia contrattuale e di libera iniziativa economica.

Elusione fiscale: contestazione ed accertamento

Al fine di ritenere una o più condotte del contribuente come una forma di abuso del diritto, l’art. 10-bis L. 212/2000prevede alcuni requisiti:

la realizzazione da parte del contribuente di una o più operazioni prive di sostanza economica;

il conseguimento da parte del contribuente di vantaggi fiscali indebiti;

l’assenza di valide ragioni extrafiscali in grado di giustificare le operazioni svolte dal contribuente.

All’interno della medesima disposizione, il legislatore ha precisato cosa debba intendersi per “operazioni prive di sostanza economica” e per “vantaggi fiscali indebiti”.

Si precisa fin da ora che le condotte descritte al comma 2, lett. a) e b), dell’art. 10-bis L. n. 212/2000 rappresentano una mera esemplificazione e non esauriscono, quindi, tutte le possibili azioni che possano generare “operazioni prive di sostanza economica” e/o le possibili interpretazioni del concetto di “vantaggio fiscale indebito”, la cui individuazione in concreto è lasciato ad una valutazione caso per caso (cfr. Relazione illustrativa alla l. 128/2015).

Sotto il primo profilo, elementi sintomatici di una carenza di sostanza economica dell’operazione – intesa come inidoneità dell’operazione a conseguire altri risultati, diversi dal mero risparmio d’imposta – potrebbero cogliersi osservando l’incoerenza tra la qualificazione dei singoli atti posti in essere ed il complessivo significato giuridico che quegli atti esprimono, se letti in collegamento tra loro; altro elemento di allarme, inoltre, potrebbe essere proprio il ricorso a strutture negoziali particolarmente complesse e insolite, estranee alle normali prassi di un determinato settore o eccessivamente tortuose rispetto ad un obiettivo che avrebbe potuto essere ugualmente raggiunto utilizzando schemi ben più lineari.

Sotto il secondo profilo, invece, andrebbero considerati vantaggi indebiti i benefici, anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario: il nucleo dell’abuso consiste infatti nell’aggiramento del regime impositivo normalmente allestito dal legislatore in relazione ad un determinato fenomeno espressivo di capacità contributiva.

Per quanto concerne infine le valide ragioni extrafiscali la cui presenza potrebbe giustificare l’attività posta in essere dal contribuente, occorre che esse non siano del tutto marginali, cioè pretestuose e in definitiva irrilevanti nella complessiva economia dell’operazione contestata; quanto alla loro natura, possono essere anche ragioni di ordine organizzativo o gestionale, rientrando nella piena libertà di iniziativa economica dell’imprenditore o del professionista porre in campo le misure ritenute più opportune per il miglioramento strutturale o funzionale della propria attività.

Si ricorda che l’accertamento della condotta (in ipotesi) elusiva deve avvenire necessariamente con preventivo invito a contraddittorio da notificarsi al contribuente ex art 60 DPR 600/1973, con la procedura prevista specificatamente dall’art. 10-bis, comma 6 e 7, L. n. 212/2000.

Inoltre, l’atto che accerta il fatto elusivo e la maggiore imposta da versare deve necessariamente essere motivato, anche in punto di sanzioni ed interessi di mora.

Le sanzioni

Sotto il profilo sanzionatorio, il riscontro del carattere elusivo di una determinata operazione comporta, oltre al recupero delle imposte dovute e dei relativi interessi, anche l'irrogazione di sanzioni amministrative ex D.Lgs. n. 471/1997 da parte degli uffici accertatori dellente creditore.A seguito della novella introdotta dalla L. n. 218/2015, l’elusione fiscale in quanto tale non può più essere sanzionata sul piano penale: l’art. 10-bis, comma 13, L. n. 212/2000 stabilisce che “le operazioni abusive non danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle sanzioni amministrative tributarie”.

La scelta del legislatore deriva dalla necessità di tener distinte – anche sul piano sanzionatorio – condotte che integrano una violazione diretta di disposizioni normative (in ipotesi, evasione fiscale) e condotte che invece ne aggirano soltanto la ratio (in ipotesi, elusione fiscale o abuso del diritto tributario): rispetto a queste ultime si ritiene che sia intervenuta una vera e propria ipotesi di abolitio criminis, dovendosi “ritenere non più penalmente rilevanti le condotte fiscalmente elusive integranti mero abuso del diritto”, anche se commesse prima dell’entrata in vigore del nuovo art. 10-bis (cfr Cass. Pen., sez. III, n. 40272/2015, in Banca dati De Jure).
 
Occorre tuttavia evidenziare che la relazione illustrativa del D.Lgs. n. 128/2015 e la giurisprudenza successiva hanno precisato che, anche in ambito penale, la nozione di elusione fiscale ha portata residuale, operando soltanto laddove non sia possibile contestare la diretta violazione di specifiche norme di legge volte a reprimere comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa, tutti suscettibili di rilevanza penale ai sensi del D.Lgs. 74/2000 (cfr. Cass. Pen., sez. III, n. 38016/2017 e Cass. Pen., Sez. III, n. 24152/2019, tutte in Banca dati De Jure).

In sostanza, se il contribuente, nell’'eseguire una condotta elusiva, vulnera una norma penale tributaria specifica, come la “dichiarazione infedele” ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, verrà comunque perseguito penalmente per quella specifica condotta.

ELUSIONE FISCALE
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