Non sempre ci interroghiamo sull’origine dell’eutanasia: nella società attuale, il termine “eutanasia” è utilizzato per indicare la morte espressamente richiesta da un paziente, quasi sempre causata dall’iniezione di un farmaco letale oppure dalla sospensione delle cure di supporto vitale.
Eutanasia è il modo intenzionale di procurare la morte ad un individuo la cui qualità della vita è compromessa irrevocabilmente.
Esistono diverse forme di eutanasia: passiva e attiva. Nel primo caso, ovvero con l’eutanasia passiva, abbiamo la sospensione della terapia abituale che tiene il paziente in vita; nel caso dell’eutanasia attiva, invece, il medico che accoglie la richiesta del proprio assistito, somministra un farmaco letale.
Una variante dell’eutanasia attiva è ciò che viene chiamato “suicidio assistito”; si parla di suicidio assistito medicalmente quando vi è il paziente stesso ad effettuare l’iniezione letale, ove possibile, differente perciò, dall’eutanasia in sé in cui il medico è parte attiva del processo.
Da sempre tema estremamente discusso che divide l’Italia in due: a favore e contro; molteplici, infatti, sono le ragioni a favore dell’eutanasia volontaria:
Altrettante sono le ragioni contro l’eutanasia volontaria:
Dal punto di vista legislativo, in Italia l’eutanasia, specialmente quella attiva è considerata alla pari di un omicidio volontario, anche se giudicato con attenuanti. L’art. 579 del codice penale, infatti, afferma che “chiunque causi la morte di un uomo con il consenso di lui, è punito con la reclusione da 6 a 15 anni”. Stessa pena è prevista per il suicidio assistito, secondo l’art. 580 del codice penale: “se si fornisce ad un ammalato un veleno che il paziente ingerisce da solo, si commette omicidio del consenziente”.
Un testo composto da 9 articoli che vuole disciplinare la facoltà dell’individuo che è affetto da patologie irreversibili e che prevede la non punibilità del fine della vita se praticato autonomamente dal paziente.
La legge sul fine vita rende possibile per il malato in condizione clinica irreversibile o affetto da una patologia con prognosi infausta di poter richiedere assistenza medica per porre fine, volontariamente ed in maniera autonoma, alla sua sofferenza. La morte volontaria deve essere indotta da un atto autonomo, consapevole e sotto la supervisione del personale Servizio Sanitario Nazionale.
La richiesta può essere avanzata, per iscritto o con video registrazione o con qualunque altro mezzo in grado di consentire al soggetto di manifestare e comunicare, in maniera inequivocabile, la propria volontà, alla presenza di due testimoni; può essere revocata in qualsiasi momento.
Il soggetto richiedente deve essere maggiorenne al momento della richiesta, capace di intendere e di volere, ma soprattutto di prendere decisioni consapevoli; essere stato coinvolto in percorsi di cure palliative e averle rifiutate esplicitamente.
Il medico, di medicina generale o quello che ha in cura il paziente, che riceve la richiesta è tenuto a prospettare all’assistito tutte le alternative possibili, deve altresì proporre e promuovere adeguato sostegno psicologico.
L’iter della richiesta di fine vita prosegue con la redazione di un rapporto sulle condizioni cliniche, sociali, psicologiche del paziente e della famiglia, nonché dei motivi che spingono il malato a questa decisione.
Si procede con la valutazione da parte del Comitato Etico, il quale ha 30 giorni di tempo per esprimere e comunicare al medico ed al paziente, il proprio parere. Di fronte ad un responso positivo da parte del Comitato, il medico ha la facoltà di trasmettere alla direzione dell’azienda sanitaria ospedaliera del territorio, la quale dovrà attivare tutte le procedure volte a garantire una morte dignitosa e, nel rispetto della legge, al malato ( che avverrà presso il proprio domicilio e, ove non fosse possibile, in una struttura residenziale o ospedaliera pubblica).
Il ddl sul fine vita introduce novità importanti riguardati l’obiezione di coscienza del personale sanitario: è previsto, infatti, che questo non sia obbligato a prendere parte alla procedura di morte clinica solo, però, previa dichiarazione. Il testo prevede termini e scadenze precise per comunicare e/o revocare tale volontà.
Per quanto riguarda gli enti ospedalieri pubblici autorizzati, essi sono tenuti ad assicurare, in ogni caso, lo svolgimento delle procedure previste e la Regione ne controlla e ne garantisce l’attuazione.
Nel rispetto della legge, per quanto riguarda i reati degli artt. 580 e 593 del codice panale (rispettivamente reato di istigazione o aiuto al suicidio e reato di omissione di soccorso), il testo esclude la punibilità dei medici, di tutto il personale sanitario e di chiunque abbia agevolato e permesso la procedura di morte volontaria medicalmente assistita. Tale punibilità viene esclusa anche per coloro che sono stati precedentemente condannati.
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