In generale è lavoratore subordinato chi cede la propria attività lavorativa (intesa quale tempo ed energia) ad un altro soggetto (datore di lavoro) in cambio di una retribuzione.
Nell’ambito dello spettacolo è subordinato il lavoratore che si trovi alle dipendenze, ad esempio, di un teatro o di una compagine orchestrale o, ancora, di una compagnia di ballo. In questi casi, qualora il lavoratore sia sottoposto a un potere gerarchico, organizzativo e stia alle dipendenze e direttive disciplinari, con continuità di prestazione, orari vincolati e prestabiliti, con retribuzione predeterminata e a scadenza fissa, si parla di lavoratori dipendenti ex art. 2094 c.c.
Detta norma, infatti, definisce come prestatore di lavoro subordinato colui il quale “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.
Orbene, emerge agevolmente che gli elementi caratterizzanti di detto rapporto lavorativo risiedano nella collaborazione, continuità della prestazione e nella subordinazione.
Per “collaborazione” si intende quel vincolo tra il lavoratore ed il datore dettato dalla effettiva partecipazione del primo all’organizzazione aziendale del secondo; la “subordinazione” è lo status determinato dalla determinazione del lavoro che è stabilita in vincolo gerarchico tra il datore ed il lavoratore.
Al datore, in virtù della supremazia che la subordinazione riconosce, spetta il potere direttivo (ossia di dirigere la propria attività, di impartire orari); il potere di controllo (ciò la verifica che le proprie direttive siano ascoltate – potere che può anche essere delegato-); ed il potere disciplinare (regolamentato dall’art. 2106 c.c.).
In questi casi, siamo nel caso del così detto “posto fisso”, il lavoratore viene retribuito con un documento fiscale detto “busta paga” ove vi è un importo lordo cui, sottratte le trattenute previdenziali, si ottiene l’importo netto, ossia quanto percepito a fine mese.
Infatti tale forma contrattuale (definita anche lavoro dipendente) risulta particolarmente utilizzata solo nei grandi circuiti e nei contesti dotati di importanti risorse economiche e complesse strutture aziendali (teatri, orchestre strutturate, compagnie di ballo itineranti, circhi riconosciuti dal FUS ecc.).
E’ a carico del datore di lavoro l’obbligo di versare i contributi previdenziali e fiscali (imposte dirette e indirette): ossia i premi assicurativi INAIL, contro gli infortuni e le malattie e il versamento all’Inps di una contribuzione minore per l’erogazione delle prestazioni assistenziali quali la disoccupazione, l’assegno per il nucleo familiare, la malattia e la maternità.
Il lavoro subordinato richiede un contratto redatto necessariamente in forma scritta, accordo che deve contenere tutte le principali informazioni e modalità del rapporto in essere.
La regolamentazione del rapporto tra datore e lavoratore subordinato è quindi definita nel c.d. contratto individuale di lavoro, con le quali le stesse determinano le condizioni economiche e normative essenziali.
Tuttavia, soprattutto nell’ambito dello spettacolo, il contratto individuale assume una forma del tutto residuale, essendo gli aspetti essenziali di tale rapporto disciplinati dal CCNL di categoria (ove viene già normato, ad es., il regolamento di palcoscenico, il periodo di prova, le dimissioni, il licenziamento, ecc.).
La durata del rapporto di lavoro subordinato, in virtù di detto CCNL, può essere a tempo determinato o a tempo indeterminato.
La forma a tempo determinato è la più diffusa nel settore, poiché risponde più agevolmente alle esigenze contingente e temporanee dei teatri, delle orchestre o delle compagnie, in ragione dei programmi che possono essere più vasti (quindi aver necessità di aggiungere personale) o meno grandi e quindi non dover ricorrere ad “aggiunti”.
Si tenga però conto che la durata massima del contratto a tempo determinato è di 12 mesi (ferma restando l’eccezione dovuta ad esigenze temporanee ed oggettive, estranee all’ordinaria attività, che permette la durata fino ad un massimo di 24 mesi).
La proroga, che deve avere le medesime indicazioni del contratto originario, è possibile fino ad un massimo di quattro volte, indipendentemente dal numero di rinnovi; nel caso in cui, invece, il numero delle proroghe risulti superiore, il contratto si trasforma di diritto in contratto a tempo indeterminato dalla data di decorrenza della quinta proroga.
Fanno eccezione le possibilità previste dai contratti c.d. stagionali e contratti di lavoro intermittente (c.d. a chiamata) nonostante la notevole riduzione di utilizzo in seguito alla “Riforma Fornero (legge 28 giugno 2012, n. 92)”.
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GAIA TROISI, Diritto dello Spettacolo (FrancoAngeli srl 2017)
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