Il prestanome è una particolare figura prevista dal nostro ordinamento, con specifiche responsabilità civili e penali. Vediamo quando è illegale ricorrere a tale pratica.
Nel linguaggio comune la parola “prestanome” è sempre connotata negativamente, e spesso collegata ad illeciti penali, anche se la nostra legge prevede delle situazioni in cui può essere gestita regolarmente.
Si tratta di una soluzione adottata generalmente da chi non può o non vuole ricoprire determinati ruoli, ma non sempre si tratta di un illecito.
Può accadere, infatti, che i soggetti in questione sottoscrivano un trust, cioè un contratto nel quale il patrimonio viene trasferito ad un’altra persona, che ha l’obbligo di gestirlo a favore del beneficiario.
Lo scopo è quello di salvaguardare i propri beni, impedendo l’aggressione da parte di terzi, ad esempio creditori. Viene attuato principalmente da broker e imprenditori, e in genere da chi svolge delle attività rischiose.
In tal caso il prestanome può essere considerato responsabile penalmente soltanto se consapevole del comportamento illecito attuato a suo nome.
Ma, facciamo un passo indietro cercando di definire nel dettaglio questa particolare figura.
Il prestanome può essere descritto come un soggetto che concede l’utilizzo del proprio nome a terzi, quindi firma al posto di altri atti pubblici, obbligazioni, ecc.
Comunemente il termine viene associato a un soggetto che esercita una determinata carica solo formalmente, senza di fatto esercitare alcun potere. Lo scopo è quello di tenere nell’ombra il vero gestore, che ha svariati motivi di convenienza e opportunità a tenere nascosta la propria identità.
Ad esempio, un soggetto fallito o condannato penalmente, non possono esercitare determinate cariche, oppure qualcuno potrebbe sfruttare questo meccanismo per evitare le conseguenze negative di un investimento rischioso.
Ad ogni modo, non sempre il prestanome è legato a vicende illecite. In alcuni casi la legge prevede questa possibilità.
Attraverso il Trust, infatti, è possibile intestare dei beni ad un fiduciario, ne di fatto ne diventa il proprietario, con l’obbligo di amministrare i beni per un certo periodo e poi restituirli alla scadenza, come stabilito nel contratto.
In sostanza il prestanome copre un altro soggetto da eventuali rischi, e non è esente da responsabilità nel caso in cui venissero commessi degli illeciti. Ci possono essere sia conseguenze civili che penali, come vedremo nei prossimi paragrafi.
Da un punto di vista civilistico, la figura del prestanome viene spesso utilizzata per ricoprire il ruolo di socio in società di persone o di capitali.
Nel primo caso il soggetto si assume notevoli rischi, dato che il patrimonio personale non viene diviso da quello societario, perciò potrebbe subire delle procedure esecutive, ovvero potrebbe pagare personalmente.
Nel secondo caso, invece, i rischi sono minori dato che i debiti delle società restano separati da quelli dei soci. Di fatto il soggetto non rischia nulla, se non si impegna personalmente come garante, con una fideiussione.
La questione inerente alla responsabilità penale è decisamente più complessa.
La Cassazione ha ribadito che il soggetto può essere ritenuto colpevole se ha contribuito alla realizzazione dell’illecito con atti sia commissivi che omissivi, o se è consapevole del reato commesso dall’individuo che gli ha affidato l’incarico.
A tal proposito può essere utile leggere quanto riportato nella sentenza n. 7742/2018, in un caso di bancarotta fraudolenta:
la responsabilità dell'amministratore formale, che risulti solo un prestanome (…) nasce dalla violazione dei doveri di vigilanza e di controllo che, a loro volta, derivano dalla accettazione della carica, cui però va aggiunta la dimostrazione non solo astratta e presunta ma effettiva e concreta della consapevolezza dello stato delle scritture, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari o, per le ipotesi con dolo specifico, di procurare un ingiusto profitto a taluno.
Per concludere è utile sottolineare un altro aspetto legato alla responsabilità penale del prestanome o “testa di legno”. Con la sentenza 9856/2019, infatti, la Cassazione ha ribadito un ulteriore concetto determinante, ovvero per appurare la colpevolezza è necessario analizzare se il soggetto ha percepito i frutti delle attività illecite.
Ma non solo, è stato sottolineato anche che:
non può farsi a meno di distinguere tra la condizione di chi, dietro compenso, si presti a fare da parafulmine rispetto a gestori di fatto del tutto estranei (la cd. testa di legno) e chi, per motivi affettivi o morali, si presti ad assumere la carica di amministratore al fine di consentire lo svolgimento di un'attività imprenditoriale a soggetti che, altrimenti, ne sarebbero impediti. (…) un'indagine specifica sull'atteggiamento psicologico dell'amministratore di diritto serve ad evitare automatismi sanzionatori contrastanti, per quanto si è detto, col principio della responsabilità penale personale.
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