L’opposizione all’istanza di fallimento come si deve effettuare? In cosa consiste la procedura per potere chiedere l’annullamento del provvedimento preso dal Giudice su richiesta degli interessati?
L’iter fallimentare si apre a seguito di una domanda specifica, appunto l’istanza di fallimento, e prevede che la società debba uscire dal mercato, ed essere affidata a un curatore, ovvero un professionista con il compito di risolvere la situazione cercando di recuperare il maggior numero di crediti possibile.
Prima di proseguire è di fondamentale importanza sottolineare che non tutti possono fallire, la legge si riferisce soltanto ai cosiddetti imprenditori commerciali, ovvero ai soggetti che devono registrare la propria azienda presso la Camera di Commercio.
Attraverso una istanza di fallimento i soggetti interessati chiedono di aprire la procedura fallimentare nei confronti di un’azienda che ha accumulato troppi debiti, e che risulta essere quindi insolvente da troppo tempo, o comunque in modo grave.
Se l’attività non procede come sperato, ad esempio, l’imprenditore non è in grado di far fronte a tutti i pagamenti, nei confronti dei fornitori ma anche dei dipendenti. Se gli affari vanno male, infatti, può accadere che l’azienda non possa più versare gli stipendi, e saldare le fatture.
Quindi possiamo dire che l’istanza di fallimento può essere presentata se si tratta di fabbriche che si occupano di beni o servizi, di grossisti, di attività di trasporto, quindi corrieri e di attività correlate alle precedenti come ad esempio il marketing, la pubblicità e l’assistenza tecnica.
Dall’elenco sono perciò esclusi:
In particolare vengono definiti “piccoli imprenditori” quelli che:
La richiesta, invece, può essere effettuata generalmente dai creditori che non sono riusciti a recuperare il loro credito attraverso modalità alternative, ad esempio un fornitore o un dipendente. In realtà, spesso, la procedura fallimentare non si rivela essere la più efficace dato che i tempi sono molto lunghi e non esiste alcuna certezza in merito all’operato del curatore. In altre parole non è scontato che si riesca a recuperare il denaro necessario per coprire i debiti.
A volte, quindi, potrebbe essere più conveniente raggiungere degli accordi stragiudiziali, cercando di recuperare almeno una parte del credito.
Ad ogni modo l’istanza di fallimento può essere presentata anche dallo stesso imprenditore, per evitare di subire il pignoramento dei beni, o in previsione di ricevere un decreto ingiuntivo.
In determinate situazione la domanda può essere fatta anche da un pubblico ministero, in seguito a un procedimento civile, o nel caso in cui l’insolvenza sia stata rilevata durante un processo penale.
Negli ultimi giorni ci siamo occupati in maniera diffusa della procedura concorsuale di fallimento, soffermandoci sul procedimento pre fallimentare e sulla sua conclusione. Ma in che modo si può impugnare il provvedimento del tribunale nel caso in cui l’istruttoria pre fallimentare si concluda con la pronuncia di una dichiarazione di fallimento?
La legittimazione a impugnare la sentenza di fallimento è riconosciuta al fallito e a chiunque sia interessato a farlo, con la sola eccezione di colui che ha richiesto il fallimento. Un interesse a proporre opposizione a fallimento è riconosciuto a coloro nei confronti dei quali il fallimento produce effetti. Fra questi i creditori, che non possono iniziare o proseguire delle azioni esecutive individuali ed acquisire diritti di prelazione, chi abbia acquistato dei diritti in forza di atti non opponibili al fallimento o di atti non efficaci o revocabili, e così via.
Ad essere interessato a proporre opposizione al fallimento può essere anche il coniuge del soggetto fallito, in relazione ai diritti di carattere patrimoniale sui quali il fallimento può incidere. Si dibatte, con prevalenza in senso negativo, ad ammettere che sia sufficiente un interesse di carattere morale.
Contrariamente a quanto avveniva in passato, la dichiarazione di fallimento si impugna non dinanzi al tribunale, bensì dinanzi alla Corte d’appello. Il termine d’impugnazione corrisponde a quello che è previsto per l’impugnazione con appello contro qualsiasi sentenza. Sarà di 30 giorni a decorrere per il soggetto fallito dalla data della notificazione della sentenza e per gli altri interessati dalla data della iscrizione nel registro delle imprese. In difetto di notifica, rispettivamente di iscrizione nel registro delle imprese, il termine lungo è di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza.
Si adottano forme differenti da quelle del procedimento contenzioso ordinario. L’impugnazione è infatti proposta non con un atto di citazione indirizzato alla controparte, bensì con un reclamo, ovvero con un ricorso che è indirizzato al giudice.
Le parti dell’impugnazione sono il ricorrente, colui che ha richiesto la dichiarazione di fallimento e il curatore.
Di norma, il ricorrente sarà il fallito. È legittimato tuttavia ad impugnare il provvedimento chiunque ne abbia interesse. Potrebbe quindi anche essere un soggetto che non abbia partecipato direttamente al procedimento sfociato nella sentenza dichiarativa di fallimento.
La seconda parte, ovvero colui o coloro che hanno richiesto il fallimento, sarà o saranno presumibilmente il creditore o i creditori ricorrenti. Potrà anche essere il pubblico ministero nel caso in cui l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento sia stata da lui assunta. La terza parte, il curatore, sarà colui che rappresenta l’interesse della collettività dei creditori.
Giuridicamente, tra le varie parti interessate (ricorrente, creditori o pubblico ministero e curatore) è configurabile un litisconsorzio necessario. Valutato che fra le arti del giudizio di primo grado e quelle dei gradi successivi è configurabile un litisconsorzio processuale, anche il soggetto dichiarato fallito, nel caso in cui l’appello sia stato proposto da altro interessato, deve essere chiamato a partecipare al giudizio di impugnazione. Può altresì ben intervenire qualsiasi altro soggetto interessato, ma sempre entro il termine stabilito per la costruzione delle parti resistenti.
Così come avviene durante l’istruttoria prefallimentare, così anche nel giudizio dinanzi alla Corte d’appello, la Corte può assumere d’ufficio anche i mezzi di prova che siano necessari ai fini della decisione.
Una volta espletata l’istruttoria, la Corte procederà con sentenza, contro la quale è proponibile un ricorso per Cassazione nei termini di trenta giorni dalla notificazione.
La sentenza di fallimento è così provvisoriamente esecutiva e i suoi effetti vengono meno soltanto con il passaggio in giudicato dell’eventuale sentenza di revoca. In particolare, lo spossessamento del debitore non viene meno nemmeno in caso di revoca del fallimento, sin tanto che la sentenza non divenga definitiva.
È stata comunque attribuita alla Corte d’appello, su ricorso dell’appellante, anche la capacità di sospendere la liquidazione dell’attivo, in tutto o in parte, e anche temporaneamente. Peraltro, solo nel caso in cui il tribunale disponga l’esercizio provvisorio dell’impresa o conceda l’azienda in affitto o in comodato, può essere neutralizzato il pregiudizio alla conservazione dell’attività di impresa, cui non può ovviare la sospensione della liquidazione dell’attivo, stante il perdurante spossessamento del debitore.
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