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Presupposti fallimento: quali sono?

Esistono presupposti per il fallimento di natura soggettiva, inerenti ai soggetti che di fatto possono fallire, e oggettiva, ovvero in quali occasioni particolari ciò può avvenire. Vediamoli insieme.

Sebbene notizie in merito ai fallimenti aziendali siano presenti spesso nei giornali, telegiornali e web, non sempre i non addetti ai lavori sanno esattamente di cosa si tratta.

Innanzitutto va precisato che, non tutti possono fallire, almeno da un punto di vista giudiziario. Cosa significa? La procedura fallimentare può attivarsi solo in alcuni casi, e per determinate categorie di soggetti. 

Generalmente si tratta di società che non riescono più a pagare i debiti, con le entrate derivante alla produzione o all’erogazione di servizi. Se la situazione diventa seria, e non ci sono molte speranze per un miglioramento, è possibile fare una domanda presso il Tribunale, per stabilire come suddividere i beni e l’attivo, ed accontentare così i vari creditori.

Vediamo, quindi, di seguito come funziona e in quali casi si attiva la procedura.

Cos’è il fallimento?

Quando si parla di fallimento si fa riferimento a uno strumento giuridico previsto dal Regio Decreto 267 del 1942, conosciuto come la Legge Fallimentare, che ha visto negli anni vari cambiamenti e riforme. L’obiettivo è quello di fornire delle linee guide volte a liquidare i creditori, nel caso in cui l’azienda non fosse in grado di farlo regolarmente.

Va subito precisato che la procedura fallimentare si attiva se i debiti sono molti, e le entrate non sono più in grado di coprire tali somme. In genere, infatti, sono molte le attività a non riuscire ad effettuare i pagamenti entro le scadenze, ma non per questo possono considerarsi tutte “fallimentari”.

Soltanto quando la situazione diventa particolarmente grave, si chiede l’intervento del tribunale. Successivamente l’imprenditore viene sollevato dal proprio incarico e viene nominato un curatore fallimentare, ovvero un professionista che può essere un avvocato, un commercialista, un manager, ecc, che ha il compito di trovare le risorse utile per coprire i vari debiti.

L’azienda deve uscire dal mercato, quasi sempre, interrompendo la produzione, dato che c’è il rischio di maturare altri debiti continuando la lavorazione o l’erogazione di servizi.

Non tutti però possono fallire, come vedremo nei prossimi paragrafi, infatti, per potere attivare tale procedura è necessario che si verifichino alcuni presupposti per il fallimento, di natura oggettiva e soggettiva.

Va sottolineato, inoltre, che il tutto si avvia in seguito a una specifica istanza presentata presso il Tribunale da un soggetto interessato, che può essere un creditore, l’imprenditore stesso oppure un giudice all’interno di una causa penale.

Presupposti fallimento: chi può fallire?

Come abbiamo già accennato non tutti possono fallire, in quanto si tratta di un procedimento giuridico volto a tutelare specifici interessi.

In particolare i presupposti per il fallimento possono essere di tipo soggettivo oppure oggettivo, ovvero inerenti alla tipologie di soggetti interessati e alle condizioni indispensabili per procedere.

Innanzitutto va detto che il fallimento è una prerogativa delle attività commerciali, quindi:

  • dei produttori di beni e servizi
  • degli intermediari, come il commercio all’ingrosso, o le ditte che si occupano di trasporti via terra, mare e aria
  • banche e assicurazioni
  • aziende che svolgono attività ausiliarie, come il marketing e la pubblicità

In modo particolare l’art. 2195 del codice civile, specifica che possono essere coinvolte tutte le attività che hanno l’obbligo di iscriversi presso il registro delle imprese della Camera di Commercio.

Restano esclusi perciò i lavoratori autonomi, quindi professionisti come notai, avvocati, gli enti pubblici, le associazioni senza scopo di lucro e gli imprenditori agricoli.

Tuttavia sono esclusi anche i “piccoli imprenditori”, cioè le imprese che negli ultimi 3 anni:

  • hanno avuto un attivo inferiore a 300 mila euro all’anno
  • hanno avuto ricavi inferiori a 200 mila euro all’anno
  • hanno avuto debiti totali inferiori a 500 mila euro

Presupposti fallimento: quando si può fallire?

I soggetti che abbiamo elencato sopra possono essere coinvolti in una procedura fallimentare se possiedono anche dei presupposti per il fallimento di natura oggettiva. Vediamo quali sono.
Le norme di riferimento non descrivono nel modo dettagliato quando si possa o meno attivare tale procedura, anche se vengono elencati alcuni particolari “sintomi” in grado di identificare come problematica la situazione aziendale.

In modo particolare quando l’insolvenza inizia ad essere seria, e viene a mancare la possibilità di saldare i debiti attraverso le normali attività aziendali, produttive o di erogazione di servizi, il giudice può decidere di attivare la procedura fallimentare, su richiesta degli interessati.

I sintomi sono:

  • grave insolvenza
  • patrimonio inconsistente

Nel 2007, comunque, con il decreto legislativo n.169 è stato precisato che, l’ammontare dei debiti non deve essere inferiore a 30 mila euro per dichiarare il fallimento.

Rappresentano dei campanelli d’allarme l’esistenza di protesti, cioè assegni e cambiali scoperti, e le ipoteche sugli immobili. Ma anche i pignoramenti rappresentano esecuzioni forzate avviate dai creditori nell’intento di riuscire a recuperare i loro crediti. 

Se tali presupposti fallimentari durano da diverso tempo e superano la cifra stabilita dalla legge, è possibile chiedere l’intervento del Tribunale, per riuscire a salvare qualcosa.

Presupposti fallimento: chi può fare istanza?

Nei paragrafi precedenti abbiamo evidenziato quelli che sono i presupposti per il fallimento di natura soggettiva e oggettiva. Esiste comunque un’altra condizioni indispensabile per attivare il procedimento fallimentare: qualcuno deve fare domanda al tribunale.

L’istanza di fallimento, infatti, può essere richiesta dai vari soggetti interessati, quindi:

  • l’imprenditore stesso, per evitare di subire svariate azioni singole da parte dei creditori
  • i creditori, soltanto se i debiti, totali, sono superiori a 30 mila euro
  • un pubblico ministero, nell’ambito di un processo penale, o quando il presunto colpevole è fuggito, è irreperibile o latitante.

Ad ogni modo la richiesta viene valutata dal tribunale, in composizione collegiale, cioè da vari giudici.I tempi sono molto più celeri rispetto alle cause ordinarie, inoltre all’inizio viene svolto tutto nella massima segretezza, dato che la notizia non viene inserita nel registro delle imprese e non è possibile assistere alle udienze.

Ovviamente contro la sentenza di fallimento è possibile opporsi in Corte d’Appello.

Come evitare il fallimento?

Dopo avere esaminato chi può fallire e in quali casi, proviamo ora a capire come è possibile evitare una procedura di questo tipo.

In particolare è possibile intraprendere le seguenti azioni:

  • effettuare accordi con i creditori, convincendoli a rinunciare all’istanza. Nessuno infatti, ha il desiderio di iniziare procedimenti giudiziari, ma l’obiettivo è soltanto quello di recuperare dei soldi. E’ possibile, ad esempio stabilire un piano per il saldo dei debiti, ma non è sempre facile, dato la situazione finanziaria e patrimoniale delicata dell’azienda.
  • presentare un concordato preventivo in tribunale, ovvero un piano per sanare i debiti. Se quest’ultimo viene omologato, l’imprenditore può continuare a gestire la propria azienda, ma con la supervisione di un commissario nominato dal tribunale.
  • presentare un accordo di ristrutturazione dei debiti, deciso assieme ai creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti totali

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