L’istanza di fallimento è una domanda fatta con ricorso presso il Tribunale competente, dai creditori, dallo stesso imprenditore o da un Pm per aprire la procedura fallimentare. Ma quando e come deve essere presentata? E’ possibile opporsi?
In alcuni casi quando un’azienda ha troppi debiti e non riesce ad adempiere ai propri obblighi, è possibile aprire una procedura fallimentare, come stabilito dal Regio Decreto 267 del 1942.
Lo scopo è quello di trovare delle soluzioni per potere pagare i creditori. L’impresa deve uscire dal mercato, l’imprenditore viene sollevato dal suo incarico e gli viene tolta la proprietà dei beni funzionali all’attività. Viene nominato un curatore fallimentare per gestire l’azienda fallita con l’obiettivo di individuare le risorse per chiudere i debiti.
La procedura inizia con la presentazione di un’istanza di fallimento presso il tribunale competente. Nel seguente articolo analizzeremo in quali casi ciò è possibile, chi può fare la richiesta e come fare appello.
Attraverso una istanza di fallimento i soggetti interessati chiedono di aprire la procedura fallimentare nei confronti di un’azienda che ha accumulato troppi debiti, e che risulta essere quindi insolvente da troppo tempo, o comunque in modo grave.
Se l’attività non procede come sperato, ad esempio, l’imprenditore non è in grado di far fronte a tutti i pagamenti, nei confronti dei fornitori ma anche dei dipendenti. Se gli affari vanno male, infatti, può accadere che l’azienda non possa più versare gli stipendi, e saldare le fatture.
L’iter fallimentare si apre a seguito di una domanda specifica, appunto l’istanza di fallimento, e prevede che la società debba uscire dal mercato, ed essere affidata a un curatore, ovvero un professionista con il compito di risolvere la situazione cercando di recuperare il maggior numero di crediti possibile.
Prima di proseguire è di fondamentale importanza sottolineare che non tutti possono fallire, la legge si riferisce soltanto ai cosiddetti imprenditori commerciali, ovvero ai soggetti che devono registrare la propria azienda presso la Camera di Commercio. A tal proposito l’art. 2195 del codice civile afferma che:
Sono soggetti all'obbligo dell'iscrizione, nel registro delle imprese gli imprenditori che esercitano:
1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi;
2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni;
3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria;
4) un'attività bancaria o assicurativa;
5) altre attività ausiliarie delle precedenti.
Le disposizioni della legge che fanno riferimento alle attività e alle imprese commerciali si applicano, se non risulta diversamente, a tutte le attività indicate in questo articolo e alle imprese che le esercitano.
Quindi possiamo dire che l’istanza di fallimento può essere presentata se si tratta di fabbriche che si occupano di beni o servizi, di grossisti, di attività di trasporto, quindi corrieri e di attività correlate alle precedenti come ad esempio il marketing, la pubblicità e l’assistenza tecnica.
Dall’elenco sono perciò esclusi:
In particolare vengono definiti “piccoli imprenditori” quelli che:
La richiesta, invece, può essere effettuata generalmente dai creditori che non sono riusciti a recuperare il loro credito attraverso modalità alternative, ad esempio un fornitore o un dipendente. In realtà, spesso, la procedura fallimentare non si rivela essere la più efficace dato che i tempi sono molto lunghi e non esiste alcuna certezza in merito all’operato del curatore. In altre parole non è scontato che si riesca a recuperare il denaro necessario per coprire i debiti.
A volte, quindi, potrebbe essere più conveniente raggiungere degli accordi stragiudiziali, cercando di recuperare almeno una parte del credito.
Ad ogni modo l’istanza di fallimento può essere presentata anche dallo stesso imprenditore, per evitare di subire il pignoramento dei beni, o in previsione di ricevere un decreto ingiuntivo.
In determinate situazione la domanda può essere fatta anche da un pubblico ministero, in seguito a un procedimento civile, o nel caso in cui l’insolvenza sia stata rilevata durante un processo penale.
Nel paragrafo precedente abbiamo visto che non tutti i soggetti possono fallire, vediamo ora di specificare quali sono invece i presupposti oggettivi.
Innanzitutto l’imprenditore commerciale si deve trovare in uno stato di insolvenza,
Con il termine insolvenza ci si riferisce all’incapacità di far fronte ai propri debiti, ovvero di portare avanti l’attività normalmente, riuscendo a coprire la maggior parte dei debiti con i ricavi periodici e con il capitale disponibile. Ovviamente si deve trattare di una situazione grave, definitiva e costante.
In alcuni casi, però, anche un singolo episodio può essere determinante se particolarmente grave. Quindi il giudice deve valutare caso per caso le circostanze.
Ad ogni modo i debiti scaduti e non ancora saldati devono essere superiori a 30 mila euro, perchè il Tribunale possa accogliere l’istanza di fallimento.
La domanda deve essere depositata presso la cancelleria del tribunale territorialmente competente, e deve contenere le seguenti informazioni:
Dopo il deposito viene fissata la data dell’udienza e vengono convocate le parti, in genere entro 45 giorni e non prima che siano trascorsi 15 giorni dalla data di notifica al debitore.
Nei 7 giorni precedenti all’udienza le parti hanno la facoltà di presentare ulteriori documenti, come ad esempio i bilanci degli ultimi 3 anni, e un resoconto patrimoniale.
Durante la data prefissata i giudici, riuniti in camera di consiglio, valutano le diverse posizioni, ed emettono:
Il creditore, comunque, ha anche la possibilità di ritirare l’istanza, prima della sentenza, attraverso una dichiarazione detta desistenza. In seguito, quindi, non sarà possibile proseguire e il tutto verrà archiviato.
La sentenza emessa dai giudici può essere impugnata dall’imprenditore o da chi ha degli interessi, ad esempio i figli, il coniuge, o i soci a responsabilità illimitata., entro 30 giorni.
L’opposizione, comunque, non sospende gli effetti della sentenza, se non per gravi motivi.
Con il ricorso in Appello il reclamo può essere accolto, revocando il fallimento, oppure rigettato, di fatto confermando la sentenza di primo grado.
La Corte d’Appello decide con un decreto motivato di rigetto o con l’accoglimento del fallimento, dopo avere ascoltato le posizioni delle parti.
Non è più possibile procedere con il terzo grado di giudizio, a seguito del decreto.
In caso contrario è possibile impugnare la decisione presso la Corte di Cassazione, sempre rispettando il termine previsto dalla legge, ovvero ulteriori 30 giorni, a partire dalla data di notifica dell’atto giudiziario.
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