Il patto di non concorrenza viene fatto per tutelare gli interessi dell’imprenditore e dell’azienda, evitando che un dipendente o un ex dipendente, possa lavorare con la concorrenza o creare un’attività simile, sfruttando gli strumenti e il know how appresi.
Ogni settore lavorativo è regolato da dinamiche particolari che i big player sono riusciti a dominare con il tempo grazie a un attento lavoro di analisi, ricerca, studio e spesso grazie a piccoli o grandi fallimenti che li hanno aiutati a comprendere la strada giusta. Il modus operandi di ogni realtà imprenditoriale è, quindi, qualcosa di estremamente prezioso, rappresenta il cuore pulsante dell’azienda, in grado di differenziarla a volte in modo drastico dai competitors.
E’ ovvio che i dipendenti “respirino” ogni giorno la mission, i valori, e i grandi segreti che stanno alla base del funzionamento e del successo di una realtà aziendale, frutto di rischi intrapresi, intuizioni e intenso lavoro.
Il dipendente può rappresentare quindi una minaccia, perché per svariati motivi potrebbe comunicare alla concorrenza le best practices ma anche i vari punti di debolezza, esponendo l’azienda a dei grossi rischi.
Perché dovrebbe farlo? Beh semplice, quasi nessuno è pienamente soddisfatto del proprio posto di lavoro, e potrebbe pensare di “fare la spia” per ottenere migliori condizioni in altre realtà, o semplicemente potrebbe essere un lavoratore che è stato licenziato da poco, a cercare di farsi assumere da un concorrente, raccontando le varie strategie che ha visto mentre era operativo.
Risulta, perciò fondamentale per un imprenditore, tutelare la propria attività, evitando di essere esposto a rischi di questo tipo.
Il patto di non concorrenza serve proprio a evitare che l’azienda sia vittima di tradimento da parte di lavoratori poco affidabili.
E’ necessario fare una distinzione per capire bene le dinamiche in gioco. Bisogna analizzare la situazione valutando se si tratta di una tutela nei confronti di:
L’obbligo di fedeltà viene descritto nell’art 2105 del codice civile, nel seguente modo:
"Il prestatore di lavoro non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l'imprenditore, ne' divulgare notizie attinenti all'organizzazione e ai metodi di produzione dell'impresa, o farne uso in modo da poter recare ad essa pregiudizio"
E’ chiaro però che, una volta terminato il rapporto di lavoro, tale obbligo decade, e una persona intenta a cercare nuove opportunità professionali non si farebbe scrupoli per divulgare tutte le conoscenze apprese, o per sfruttarle per essere assunto da aziende dello stesso settore.
Il datore di lavoro, può decidere di tutelarsi attraverso il patto di non concorrenza. Lo scopo è quello di regolamentare il periodo successivo alla cessazione del contratto.
Si tratta di un vero e proprio accordo con il quale il lavoratore si impegna a non aprire attività simili, a non svelare i segreti aziendali e a non entrare in affari con i diretti concorrenti.
Per essere valido il patto deve essere stipulato seguendo alcune regole, in particolare, deve seguire le indicazioni definite dall’art. 2125 del codice civile:
il patto con il quale si limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto, è nullo se non risulta da atto scritto, se non è pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro e se il vincolo non è contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi. Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura su indicata
Proviamo a fare chiarezza assieme.
Per prima cosa dobbiamo sottolineare che un patto di non concorrenza può essere stipulato solamente con dipendenti, o ex, assunti con contratto di lavoro subordinato.
Per essere corretto e quindi utile, deve rispettare i seguenti requisiti:
Un patto di non concorrenza, non dura per tutta la vita. ovviamente dopo un periodo di tempo, la sua utilità sarebbe nulla. Infatti, periodicamente, le dinamiche aziendali subiscono delle modifiche, i mercati si aggiornano costantemente, e difficilmente le nozioni a conoscenza del lavoratore potrebbero essere ancora utili per la concorrenza.
Inoltre, il mondo è certamente sempre più interconnesso, ma nella realtà dei fatti i competitors sono quasi sempre quelli presenti in base ai seguenti ambiti territoriali: città, regione o nazione. L’estensione del vincolo, perciò, deve essere valutato tenendo conto del raggio d’azione dell’azienda. In alternativa si possono direttamente elencare tutte le attività concorrenti per le quali l’ex dipendente non può lavorare.
La legge prevede che un imprenditore possa, giustamente, tutelarsi dai danni che potrebbero causare i propri dipendenti, ma senza esagerare. Se, infatti, le restrizioni imposte sono troppo severe e impongono limiti tali da impedire in modo significativo che il lavoratore possa sviluppare una carriera professionale, si annulla il provvedimento.
Il patto è nullo anche, se il compenso simbolico previsto, non è adeguato. Esso deve essere commisurato in relazione alla qualifica professionale del lavoratore. Ovviamente se si tratta di un ex dirigente, la cifra diventerà più alta rispetto a un impiegato semplice, in quanto anche il suo “sacrificio” lavorativo sarà di entità maggiore.
Il datore di lavoro può inserire nel patto di non concorrenza una clausola penale, per tutelarsi nel caso in cui il lavoratore violi quanto stabilito.
In ogni caso, se non viene rispettato quanto deciso, si potrà agire in giudizio secondo queste modalità:
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