Vediamo, nelle dimissioni per giusta causa di dipendenti pubblici e privati, quali sono le motivazioni INPS, cosa deve fare il lavoratore ed i tempi di preavviso previsti dalla legge
Le dimissioni per giusta causa per dipendenti privati e pubblici sono una disposizione di legge che prevede, per il lavoratore, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per motivi determinati da specifiche cause che coinvolgono sempre il comportamento del datore di lavoro nel confronti del lavoratore dipendente.
Quello che vogliamo fare è fornire un vademecum per capire quali sono le motivazioni accettate dall'INPS, come funzionano nello specifico le dimissioni, il preavviso e le cause.
I motivi per le dimissioni per giusta causa sono cause, appunto, che determinano la fine del lavoro del dipendente e la conseguente risoluzione del contratto di lavoro senza la perdita del beneficio dell'indennità di disoccupazione.
Nello specifico, l'INPS, con la circolare n.163 del 2003, ha provveduto a mettere nero su bianco i motivi per i quali il lavoratore ha diritto a dimettersi per giusta causa senza obbligo di preavviso: il preavviso, in questi casi non serve perché viene meno un adempimento del datore di lavoro nei confronti del dipendente. Ecco l'elenco dei motivi:
Cosa deve fare il lavoratore che voglia usufruire delle dimissioni per giusta causa? Il dipendente che intenda intraprendere questa strada deve attuare una procedura specifica pena la non ammissibilità del riconoscimento della giusta causa e, di conseguenza, il decadimento del diritto di ricevere l'indennità di disoccupazione (NaspI).
Viste le cause che portano a questo tipo di dimissioni, il lavoratore deve procedere a convalidare e consegnare al datore di lavoro la propria lettera di dimissioni per giusta causa; inoltre dovrà presentare per via telematica la domanda di disoccupazione all'INPS allegando tutta la documentazione in suo possesso che attesti la giusta causa.
Questa procedura, se ritenuta valida dall'INPS, mette il dipendente dimesso in una condizione involontaria di disoccupazione a causa degli inadempimenti del datore di lavoro. Per questo, come ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n.269 del 24/6/2002, il lavoratore ha diritto alla NaspI ed è immune alla penale per il mancato preavviso. Oltre all'indennità di disoccupazione, inoltre, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere il risarcimento del danno al lavoratore. Il risarcimento in questione sarà commisurato all'importo totale delle retribuzioni fino alla scadenza naturale del contratto (in caso di contratti a tempo determinato). Nel caso in cui le dimissioni per giusta causa di venissero a presentare nel periodo di prova del lavoratore questo non avrà diritto né alla disoccupazione né al risarcimento del danno.
La procedura per la consegna della lettera di dimissioni per giusta causa è stata modificata con la Riforma del mercato del Lavoro che ha reintrodotto la convalida preventiva delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali dei rapporti lavorativi fra datore e dipendente. Questo, così come dice la riforma, evita le così dette dimissioni in bianco.
A partire dal luglio del 2012, quindi, i lavoratori che intendano dimettersi volontariamente o per giusta causa, devono obbligatoriamente far convalidare la lettera di dimissioni. La convalida, che va fatta dal datore di lavoro attraverso una serie di procedure precise, è atta ad individuare in modo chiaro la data di dimissioni e la volontà inequivocabile del lavoratore di recedere dal contratto.
Il lavoratore che utilizzi le dimissioni per giusta causa è obbligato a convalidare le proprie dimissioni attraverso la compilazione di un modello online da far redigere dagli intermediari che sono stati identificati nella circolare n.18 del 18/7/2012 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
A partire dal 12 marzo 2016 i dipendenti che intendono dimettersi devono obbligatoriamente utilizzare la procedura telematica. Solo alcune categorie di lavoratori, quali colf, badanti, e baby sitter possono presentare la domanda cartacea.
Si tratta di una novità introdotta con il Jobs Act, con lo scopo di rendere più sicuro ed efficiente il meccanismo, e per evitare le cosiddette “dimissioni in bianco”, ovvero dei documenti fatti firmare ai dipendenti senza l’indicazione della data, per potere essere usati a piacimento dall’azienda nel momento opportuno.
La procedura è molto semplice, è sufficiente collegarsi al portale Clicklavoro del Ministero del Lavoro e accedere con il Pin fornito dall’Inps o attraverso il sistema di identità digitale Spid.
E’ necessario, poi, compilare i moduli presenti, ricordandosi di evidenziare che non si tratta una volontà di dimettersi ordinaria, cioè che non si tratta di una scelta fatta per motivi personali, ma dettata da comportamenti scorretti da parte dell’azienda. Se non viene indicata tale informazione il rischio è quello di non ricevere la Naspi, o di non potere fare richiesta per il Reddito di Cittadinanza, come vedremo a breve.
Ad ogni modo chi non ha sufficienti conoscenze informatiche, può recarsi presso un Caf, un patronato o un’organizzazione sindacale per avere un supporto e una assistenza per la compilazione corretta del modulo online.
Il dipendente, inoltre, ha la possibilità di cambiare idee e di revocare la richiesta inviata, entro 7 giorni, utilizzando lo stesso procedimento. Una volta decorso il termine utile, però, il documento non sarà più visibile online e non si potrà più ritirare.
Nel 2019 chi ha una situazione economica particolarmente difficile e non ha un lavoro, ha il diritto di ricevere il Reddito di Cittadinanza. Per poter effettuare la richiesta, però, è necessario avere una serie di requisiti.
In modo particolare se un soggetto di dimette volontariamente non può fare la relativa richiesta per i successivi 12 mesi. Ma il discorso cambia se la decisione è stata dettata da fattori esterni, quindi dal comportamento del datore di lavoro.
Chi si dimette per dei validi motivi collegati ad atteggiamenti aziendali scorretti, quindi, può effettuare subito la richiesta per ottenere i benefici se rientra tra i soggetti che ne hanno diritto.
Il ticket licenziamento è una somma di denaro che deve essere versata dal datore di lavoro a beneficio dell'INPS stabilita dalla riforma Fornero. Il costo cambia annualmente e si aggira intorno a poco più di 500 euro.
Questa tassa verrà versata solo per dipendenti a tempo indeterminato e con diritto o meno alla NASPI, che hanno interrotto il loro rapporto di lavoro per:
Esistono anche dei casi in cui il titolare non devono versare questo pagamento, ovvero per casi come cambi d'appalto, termine di un contratto a tempo determinato ed infine per dimissioni volontarie o decesso del dipendente.
Il ticket licenziamento ha preso il posto della vecchia indennità di mobilità dal primo gennaio 2017 con obiettivo quello di scoraggiare i licenziamenti e di finanziare la Naspi.
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