L’autotutela tributaria è il potere concesso all’amministrazione finanziaria, quindi all’Agenzia Entrate Riscossione, di intervenire quando si rende conto di avere commesso un errore lesivo del diritto del contribuente. Può essere fatta d’ufficio o su istanza di parte. Vediamo come funziona.
Quando l’ente tributario rileva di avere emanato un atto caratterizzato da vizi formali o sostanziali, può agire per risolvere la questione, senza dovere affrontare un processo.
All’amministrazione, quindi, è concessa la possibilità di ritirare o modificare l’atto, evitando di danneggiare in modo ingiusto il contribuente, destinatario dello stesso.
L’autotutela tributaria può essere esercitata d’ufficio, o in seguito a un’istanza del cittadino, prima che l’atto sia divenuto definitivo, ma anche in seguito.
Quindi, in caso di errori, è possibile correggere il tutto senza attendere la decisione di un giudice.
Nel diritto tributario e in quello amministrativo, il cosiddetto “ius poenitendi”, ovvero il potere di autotutela, è concesso ad ogni ente pubblico, con lo scopo di risolvere in modo autonomo i conflitti nell’interesse dei cittadini.
L’autotutela tributaria è modo per risolvere facilmente e in breve tempo eventuali contenziosi che possono nascere tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate Riscossione.
In certi casi, infatti, il cittadino ha il diritto di opporsi ad un provvedimento di natura tributaria che ritiene essere infondato o scorretto. Per fare ciò, è necessario fare ricorso presso la Commissione tributaria provinciale, competente, ma non è l’unica opzione, come vedremo.
Ad ogni modo, va precisato che, è possibile agire rispettando un determinato termine di scadenza fissato dalla legge, ovvero l’opposizione deve essere fatta entro 60 giorni dalla notifica dell’atto.
Inoltre, con il decreto legge 119/2018 è stato introdotto l’obbligo del processo tributario telematico dal 1 luglio 2019, di fatto modificando quanto previsto dalla legge di riferimento in materia, ovvero il decreto legislativo 546/1992.
Per agire in giudizio è necessario sostenere un costo, che dal 2011 si chiama “contributo unificato”, in quanto ha sostituito il bollo e tutte le spese che si pagavano in precedenza.
Va detto che, in alcuni casi la mediazione tributaria può essere molto utile, per evitare di trascinare avanti nel tempo un procedimento lungo e a volte molto costoso. Oppure, è possibile agire con l’autotutela tributaria, come analizzeremo in breve. Ad ogni modo, essendo una materia molto tecnica e non di facile comprensione per i non addetti ai lavori, il nostro consiglio è quello di affidarsi a un avvocato tributarista competente.
Nel paragrafo precedente abbiamo detto che l’autotutela tributaria è utile per evitare di affrontare un processo, che potrebbe essere molto lungo e dispendioso, vediamo ora esattamente come si procede in via giudiziaria.
Il cittadino può contestare alcuni atti illegittimi o infondati facendo ricorso presso la commissione tributaria, entro 60 giorni dalla data di notifica dello stesso. La richiesta deve essere inoltrata anche all’ente che ha emesso il documento.
Nella domanda devono essere indicati i seguenti elementi:
Effettuando il ricorso non vengono sospesi in automatico gli effetti giuridici dell’atto considerato illegittimo, pertanto il cittadino deve fare una domanda esplicita per la loro sospensione se dimostra di subire dei danni ingiusti.
Come abbiamo detto, dal 1 luglio 2019 è obbligatorio utilizzare la modalità telematica per depositare tutti gli atti relativi al processo, anche se ci sono delle eccezioni, ovvero se i soggetti possono difendersi in modo autonomo con l’autotutela tributaria possono scegliere in modo facoltativo quale metodo utilizzare.
L’autotutela tributaria indica la facoltà della Pubblica Amministrazione di intervenire per modificare o annullare alcuni provvedimenti emessi in modo scorretto, sia d’ufficio che su istanza di parte.
Tale possibilità permette all’ente di potere correggere i propri errori e di fornire quindi un servizio corretto ai cittadini, adempiendo ai propri compiti istituzionali.
Si tratta quindi di un potere di annullamento ma anche di revoca e di rinuncia, in caso di auto accertamento.
La revoca viene effettuata quando si riscontrano dei vizi di legittimità, e quindi si decide di annullare o modificare il provvedimento.
La rinuncia all’imposizione, invece, avviene considerando altri aspetti. Viene analizzato il rapporto tra la pretesa tributaria e i costi amministrativi legati alla difesa della stessa. Se la spesa per il processo risulta essere più elevata dei vantaggi, l’ente può decidere di rinunciare.
Quindi l’autotutela tributaria è utile per evitare che la contestazione del contribuente venga portata in tribunale, o che questa si protragga.
Ma per quali atti si può agire in tal modo?
In linea di massima si tratta di quelli previsti dal Decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, cioè quelli:
In particolare in presenza di:
Tuttavia non può essere annullato l’atto sul quale è stata emessa una sentenza passata in giudicato a favore dell’amministrazione.
L’autotutela tributaria si distingue in:
Un provvedimento illegittimo può essere annullato attraverso l’autotutela tributaria d’ufficio, ovvero in via del tutto autonoma dall’ente, oppure su istanza di parte, cioè in seguito a una richiesta del contribuente.
Nella seconda ipotesi il cittadino deve trasmettere all’ufficio competente una semplice domanda, su carta semplice, descrivendo in maniera sintetica i fatti, e allegando la documentazione necessaria per dimostrare i fatti citati.
L’annullamento può essere effettuato anche se:
In seguito devono essere annullati anche gli atti ad esso consequenziali e devono essere restituite le somme riscosse erroneamente.
L’annullamento d’ufficio non ha una funziona giustiziale, nel senso che si tratta della normale espressione del buon operato dell’amministrazione stessa, che cerca di correggere i propri errori, per fornire un servizio valido al cittadino.
Va sottolineato comunque che l’autotutela tributaria ha carattere discrezionale, quindi non rappresenta un mezzo di tutela del contribuente.
Detto ciò la Cassazione ha evidenziato che non è possibile impugnare il silenzio dell’autotutela, dato che la decisione può essere presa in totale autonomia e discrezione da parte dell’ente.
Tale meccanismo, infatti, non deve essere una sorta di seconda possibilità per i contribuenti che non hanno fatto ricorso in tribunale entro i termini fissati dalla legge.
Obbligare l’amministrazione a rispondere all’istanza di autotutela inviata dal cittadino, significherebbe creare una nuova situazione giuridicamente protetta per quest’ultimo e compromettere la certezza del provvedimento tributario definitivo.
Il soggetto può fare ricorso e chiedere l’annullamento entro il termine di 60 giorni, quindi non si tratta di un vuoto di tutela, dato che l’interessato dispone degli ordinari rimedi per fare valere i propri diritti.
Soltanto l’ente pubblico, perciò, ha facoltà di agire per revocare o annullare un provvedimento, in autotutela.
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