Le false partite iva vengono sfruttate dai datori di lavoro per evitare di assumere i lavoratori con contratti più onerosi e vincolanti. Per valutare la presunzione di falsità si considerano la durata della collaborazione, il fatturato del professionista e il luogo della prestazione, per capire se le modalità operative corrispondono più a un'attività subordinata che autonoma.
In Italia le aziende devono sostenere costi davvero elevati per i loro dipendenti, spese che gravano in modo preponderante sul bilancio dell’attività.Per questo motivo i datori di lavoro cercano delle soluzioni alternative e non sempre legali, per potere sfruttare particolari soggetti qualificati, anche senza regolarizzarle con dei regolari contratti.
Le proposte di assunzione con un contratto a tempo indeterminato sembrano essere ormai un miraggio, consuetudini appartenenti a un’epoca passata ormai. Oggi, la normalità è caratterizzata da forme alternative, più flessibile per l’azienda, ma certamente meno sicure e precarizzanti per i lavoratori.
Accade infatti che, soprattutto i più giovani si trovino a fare i conti con proposte di collaborazione occasionale, ma anche richieste esplicite di apertura di una Partita Iva.
Perché avviene questo? Semplice, l’azienda non deve pagare le tasse e la previdenza sociale per il lavoratore, ma ha solo l’obbligo di saldare l’importo della fattura.
A partire dal 2012, però, con la Legge n.92, e in seguito anche con il Jobs Act del 2015, sono stati approvati alcuni provvedimenti volti a contrastare il fenomeno delle false partite iva.
Prima di analizzare il fenomeno descritto, è necessario però descrivere quali sono le differenze tra attività autonome e subordinate, per riuscire a capire se ci stanno sfruttando.
Per quanto riguarda i contratti di lavoro in Italia, possiamo dire, generalizzando, che esistono due macro categorie, in grado di definire le modalità operative e i rapporti tra un'azienda e un lavoratore:
Capire la differenza tra le due tipologie è davvero importante, perché molto spesso vengono proposti dei contratti non del tutto legali, sfruttando le competenze di un soggetto senza pagare i contributi o le tasse relative.
I lavori di tipo autonomo si possono distinguere in 2 gruppi:
Bisogna però distinguere il lavoro autonomo occasionale con il cosiddetto lavoro accessorio, utile per tutelare attività svolte non abitualmente, ma con un vincolo di subordinazione e regolarizzate con i nuovi Voucher, quindi con il PrestO o il Libretto Famiglia.
In ogni caso, un lavoro svolto in modo autonomo deve avere le seguenti caratteristiche:
Un dipendente svolge un lavoro subordinato, quando deve sottostare alle indicazioni del proprio datore di lavoro, come indicato dall’art. 2094 del codice civile:
È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore
La principale caratteristica è proprio quella di dovere agire secondo delle indicazioni precise date dall’azienda, con la conseguente limitazione dell’autonomia decisionale e operativa.
Il lavoro deve essere svolto nel rispetto di specifici orari stabiliti nel contratto e nel luogo prefissato. Quindi è obbligatorio giustificare eventuali assenze, o chiedere permessi o malattia nel caso in cui non si possa essere presenti.
Lavorare con una partita iva significa svolgere in modo continuo un’attività di tipo professionale, in modo del tutto autonomo. Ma, non si deve lavorare esclusivamente per un’azienda, i clienti o committenti devono essere più di uno.
Le false partite iva sono quelle aperte senza il reale bisogno di farlo. Come abbiamo accennato, spesso sono le aziende a spingere i lavoratori, soprattutto giovani, a intraprendere una strada di questo tipo, per avere forza lavoro meno costosa in termini di tasse e contributi da versare.
Si tratta di soggetti che, solo apparentemente sono autonomi, ma in realtà devono sottostare a un tipo di lavoro subordinato, ma non tutelato da un regolare contratto.
I dipendenti mascherati da autonomi hanno diversi svantaggi, come ad esempio la mancanza di tutele assistenziali e contributive. L’unico diritto di cui possono godere è un piccola rivalsa da addebitare in fattura, corrispondente al 4%.
Situazioni di questo tipo sono difficili da scovare, anche per i diretti interessati non hanno il coraggio di denunciare la loro condizione per paura di perdere la loro occupazione. Per questo motivo nel 2012 è stata introdotta una riforma, per iniziare una lotta contro l’abuso di false partite iva.
Lo scopo della suddetta norma è quello di evitare la presenza di lavori a “mono-committenza”, effettuati con incarichi di tipo autonomo, non credibili, in quanto un professionista non può lavorare esclusivamente per una sola azienda.
Con la riforma del lavoro del 2012, concretizzata con la legge n.92, sono stati definiti alcuni parametri per comprendere se è presente la cosiddetta “presunzione di falsità”, cioè una falsa partita iva.
La presunzione si verifica se ricorrono le seguenti tre condizioni:
Se sono presenti almeno due dei presupposti che abbiamo elencato, il lavoratore non avrà delle conseguenze in quanto rappresenta la parte lesa, mentre il datore di lavoro sarà obbligato ad assumere il dipendente mediante un contratto di co.co.co, con alla base un progetto specifico.
Nel caso in cui l’attività richiesta sia simile a quella effettuata da altri dipendenti, verrà fatto un contratto a tempo indeterminato, con decorrenza a partire dalla data di costituzione del rapporto, quindi dalla prima fattura emessa.
In alcuni casi i tre indici presuntivi introdotti dalla Legge 92/2012 per smascherare le false partite iva, non si possono applicare, in particolare se:
Ma, per escludere il soggetto dalla presunzione di falsità si devono verificare entrambe le situazioni appena elencate.
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