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Richiesta di archiviazione: quando avviene e cosa significa?

La richiesta di archiviazione viene effettuata dal PM che non è riuscito a trovare sufficienti prove a supporto del presunto reato, durante l’indagine preliminare. Ciò significa che non si sono i presupposti per proseguire con le fasi successive del procedimento penale.

Quando un cittadino ritiene di essere vittima di un reato, può rivolgersi alle forze dell’ordine per denunciare il fatto e consentire così alla giustizia di fare il proprio corso.
Ma cosa accade dopo?

Innanzitutto va sottolineato che, per determinati reati è possibile procedere solo su querela di parte, ovvero soltanto la vittima può decidere o meno di attivare un procedimento per accertare i fatti. In altri casi casi, invece, si dice che l’illecito è perseguibile d’ufficio, quindi chiunque può informare i carabinieri in merito alla notizia del reato.

Ad ogni modo dopo avere comunicato quanto successo ai carabinieri, iniziano le indagini preliminari, con lo scopo di individuare gli elementi a supporto di quanto affermato. Se le prove sono sufficienti ci sarà il rinvio a giudizio, in caso contrario verrà fatta una richiesta di archiviazione.

Quando ci può essere una richiesta di archiviazione?

Come abbiamo anticipato l’apertura delle indagini preliminari, avviene in seguito alla segnalazione tramite denuncia o querela di un fatto considerato un reato. In particolare ciò avviene quanto il Pubblico Ministero iscrive la notizia presso gli appositi registri.

L’art. 405 del codice di procedura penale, a tal proposito afferma:

Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l'archiviazione, esercita l'azione penale, formulando l'imputazione, nei casi previsti nei titoli II, III, IV, e V del libro VI ovvero con richiesta di rinvio a giudizio

In seguito alle indagini quindi può accadere che il PM:

  • richieda il rinvio a giudizio entro sei mesi dall’iscrizione della notizia
  • effettui una richiesta di archiviazione

Risulta evidente, quindi che la Procura ha un preciso limite temporale per potere terminare le indagini, ovvero generalmente 6 mesi. In caso di delitti particolarmente gravi, però, come quelli di associazione per delinquere, a stampo mafioso o di omicidio il termine è di un anno.

In entrambi i casi il termine è prorogabile fino a 18 mesi o due anni, se si ritiene che un ulteriore periodo di tempo possa essere utile.

Se non ci sono elementi utili all’accusa, tuttavia, la notizia rimane infondata e in alcuni casi l’autore del fatto ignoto, quindi il PM è obbligato a chiedere al giudice di archiviare il caso.

Volendo riassumere quindi, le indagini possono terminare con una richiesta di archiviazione o di rinvio a giudizio.

Nel primo caso:

  • è emersa l’innocenza dell’indagato
  • non sono stati identificati elementi di colpevolezza o comunque troppo deboli per sostenere l’accusa
  • il colpevole è rimasto ignoto
  • è finito il termine massimo previsto dalla legge per indagare 

L’art. 408 c.p.p. stabilisce che:

Entro i termini previsti dagli articoli precedenti, il pubblico ministero, se la notizia di reato è infondata, presenta al giudice richiesta di archiviazione. Con la richiesta è trasmesso il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle indagini espletate e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari

Come vedremo nel prossimo paragrafo, il giudice può esprimersi in merito, in due modi diversi.

Accoglimento della richiesta di archiviazione

Una volta ricevuta la richiesta da parte del PM, il giudice deve analizzare il fascicolo e decidere quale strada intraprendere.

Le alternative sono:

  • accoglimento della domanda con un decreto motivato
  • non accoglimento della richiesta.

Vediamo, quindi, cosa avviene in seguito a tali scelte.

Nella prima ipotesi il caso viene archiviato e gli atti restituiti al PM. Il decreto dovrà essere notificato solo all’indagato al quale è stata applicata una misura di custodia cautelare, altrimenti tutto può concludersi a totale insaputa dello stesso.

Ad ogni modo il giudice potrebbe anche non accogliere la richiesta, fissando un’udienza in camera di consiglio. Ill PM, il soggetto indagato e la persona offesa non sono obbligati a partecipare.

E’, comunque possibile un contraddittorio nel caso in cui le parti decidano di essere presenti. 

E' possibile opporsi?

L’unico soggetto che potrebbe essere interessato ad opporsi è la persona offesa, dato che nella maggior parte dei casi l’avvio delle indagini deriva proprio dalla sua volontà di denunciare i fatti.

La richiesta, infatti, deve essere notificata alla presunta vittima, che ha dichiarato di volere essere informata in merito. Nella comunicazione viene precisato che entro 10 giorni c’è la possibilità di visionare gli atti e presentare l’opposizione. Se si tratta di un reato inerente alla violenza personale, il termine è di 20 giorni.

Tale scadenza, comunque, non determina la decadenza del diritto ma vincola il PM e il giudice a non decidere prima di tale termine.

Nell’opposizione devono essere indicati i motivi per la prosecuzione delle indagini preliminari, e alcune prove a supporto, a pena di inammissibilità.

Se la domanda viene accolta, viene fissata un’udienza in camera di consiglio, durante la quale possono essere adottate le seguenti decisioni:

  • il giudice accoglie la richiesta del PM
  • il giudice indica al PM di effettuare ulteriori indagini fissando un nuovo termine

Va sottolineato che l’ordinanza di archiviazione è ricorribile in Cassazione. 

La riapertura delle indagini

Dopo l’emanazione del decreto, il PM che intende riaprire le indagini deve chiedere al giudice la riapertura delle indagini, e deve effettuare una nuova iscrizione del reato negli appositi registri.

Ad ogni modo verrà aperta una nuova fase investigativa, con nuovi termini di scadenza, ma gli atti del vecchio procedimento potranno essere riutilizzati, infatti, confluiscono nel nuovo fascicolo.

DIRITTO PENALE RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE PROCEDIMENTO PENALE
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