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Anatocismo: definizione e tutele

L’anatocismo bancario rappresenta il calcolo degli interessi maturati sugli interessi capitalizzati, legati a un debito. Come funziona esattamente? E’ legittimo? Come può difendersi il cliente?

Il termine in questione deriva dal greco “anà”, che significa “di nuovo” e “tokòs” che significa “interesse”, ed è un pratica molto diffusa nelle banche italiane. In realtà si tratta di un meccanismo utilizzato soprattutto qualche anno fa, anche se situazioni di questo tipo si possono verificare anche oggi, nonostante i limiti imposti dalla legge.

Per il cliente è di fondamentale importanza capire quando la banca ha il diritto di capitalizzare gli interessi e quando no, per potersi difendere in modo adeguato.

Vediamo quindi di analizzare questo argomento, particolarmente rilevante nel diritto bancario.

Cos’è l’anatocismo?

L’anatocismo si inserisce nei rapporti esistenti tra correntista e istituto di credito. Per capire come funziona esattamente è necessario fare un premessa.

Il cliente, come risaputo, oltre a depositare in banca alcune somme di denaro, può anche usufruire dell’apertura di credito o di uno scoperto sul conto stesso. Ovviamente tali operazioni comportano delle spese.
In merito al rapporto con un istituto bancario, infatti si devono considerare gli interessi:

  • attivi: quelli che spettano al cliente in merito ai soldi depositati
  • passivi: quelli dovuti alla banca per le somme messe a disposizione al correntista

Quando si parla di anatocismo, ci si riferisce agli interessi passivi. Infatti, quando un soggetto deve estinguere un debito deve pagare, oltre alla cifra originalmente prestata, definita come quota capitale, anche quella prodotta con il passare del tempo, cioè la quota interessi. Perché avviene questo?

Avere la disponibilità di denaro, è senza dubbio un vantaggio, dato che la cifra può essere utilizzata per determinati acquisti o per essere utilizzata in attività produttive. Ad ogni modo il creditore fa un “sacrificio” dato che non può usufruire del denaro in questione per tutto il periodo del prestito. Proprio per questo motivo esso viene remunerato.

L’anatocismo corrisponde ad interessi calcolati su interessi passivi capitalizzati. Ovvero dopo un certo periodo, questi ultimi vengono considerati come parte del capitale stesso.
Tutto ciò può comportare un aumento esponenziale del debito, e quindi situazioni spiacevoli per i debitori.

Si tratta di una situazione descritta e regolamentata dall’art. 1283 del codice civile, come segue:

In mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si tratti di interessi dovuti almeno per sei mesi

L’interesse in questione viene anche definito “composto”, dato che al capitale iniziale viene capitalizzata la quota di interesse supplementare.

La giurisprudenza ha inizialmente considerato tale pratica come lecita e normale, per poi ritenerla illegittima e cambiare idea nuovamente di recente, affermando la legalità della stessa entro determinati limiti, come vedremo.

La capitalizzazione di interessi

Quando si parla di anatocismo, il punto cruciale è rappresentato dalla capitalizzazione degli interessi.

Tale operazione si verifica periodicamente, ad esempio in modo trimestrale, semestrale o annuale. La conseguenza è un aumento progressivo del debito, anche in modo significativo.

Da un punto di vista legale, è importante sottolineare che, nonostante la legge abbia posto dei limiti a tale operazione, essa non è totalmente scomparsa, ovvero non è considerata illegittima come in passato. Pertanto il cliente deve porre attenzione alle condizioni contrattuali poste dall’istituto per comprendere se è prevista tale opzione.

In caso di problemi con la banca, invece, è opportuno affidarsi immediatamente ad un avvocato esperto in diritto bancario, dato che la materia è abbastanza tecnica e complessa da comprendere per i non addetti ai lavori.

Ad ogni modo, il correntista ha diverse possibilità per evitare che venga applicato l’anatocismo, o per accettarlo, ovvero:

  • provvedere al pagamento degli interessi passivi, prima della loro capitalizzazione
  • non effettuare il pagamento ma optare per il loro addebito nel conto corrente. Per fare ciò è necessario manifestare una volontà scritta. In tal modo si verificherà la capitalizzazione degli interessi, ovvero entreranno a fare parte del capitale vero e proprio.

Va precisato, comunque, che non è previsto l’obbligo di sottoscrivere preventivamente una clausola di questo tipo. L’art. 120 del Testo Unico bancario, infatti, concede al correntista la possibilità di concedere un’autorizzazione per l’anatocismo, ma non ci sono conseguenze nel caso questa venga negata.

Senza dubbio l’autorizzazione preventiva agevola l’istituto di credito che può quindi agire entro i limiti permessi dalla legge. In questo caso, infatti, essa è autorizzata dal cliente a procedere all’addebito degli interessi in conto capitale il 31/12 di ogni anno.

In un certo senso, si legittima la banca a tutelarsi in modo preventivo rispetto ad un eventuale insoluto del correntista.

L’evoluzione normativa dell’anatocismo

Come abbiamo accennato nei paragrafi precedenti, le norme inerenti all’anatocismo non sono sempre stata le stesse. In realtà operazioni di questo tipo sono state ritenuto illegittime per un periodo di tempo, per poi essere considerate valide solo entro determinati limiti.

La domanda che si pongono in molti, al giorno d’oggi è la seguente: quando è legittimo l’anatocismo?

Essendoci stati diversi cambiamenti normativi, non tutti hanno le idee chiare in merito, e non i clienti non sempre conoscono i loro diritti e come agire per tutelarsi di fronte a comportamenti scorretti da parte delle banche.

Come in tanti altri settori, la conoscenza è la prima arma di difesa, quindi cerchiamo di evidenziare in seguito l’evoluzione che questa tematica ha avuto negli anni, da un punto di vista giuridico, per comprendere come è opportuno comportarsi al giorno d’oggi.

In particolare, possiamo riassumere il percorso evolutivo attraverso le seguenti tappe:

  • prima del 1999: la pratica era considerata legittima, nonostante alcuni limiti stringenti previsti dalla legge. La loro applicazione era molto diffusa, infatti le banche lo applicavano, praticamente sempre, ai contratti di conto corrente 
  • dal 2000: la Corte di Cassazione ha dichiarato la nullità della clausola relativa all’anatocismo, pertanto i correntisti sono legittimati a chiedere un rimborso delle spese sostenute
  • dal 1 luglio 2000: la pratica è legittima purché la clausola sia approvata per iscritto dal cliente
  • dal 2014 al 2016: l’operazione è totalmente vietata
  • dal 2016: l’operazione è vietata, ma ci possono essere delle deroghe, attraverso l’autorizzazione preventiva del cliente

Un emendamento al Decreto Banche del 2016 ovvero la Legge n. 49/2016, infatti, ha previsto che:

il cliente può autorizzare preventivamente l’addebito di interessi sul conto al momento in cui questi diventano esigibili

Tale possibilità può certi versi essere interpretata come un vero e proprio ritorno della legittimità di tale pratica, considerando che i contratti bancari sono per lo più standardizzati, e spesso il cliente non ha le conoscenze per capire se nello stesso sono presenti delle clausole che può rifiutarsi di accettare.

Fonti normative

  • Legge n. 49/2016​
  • Art. 120 del Testo Unico bancario
  • Art. 1283 del codice civile
DIRITTO BANCARIO ANATOCISMO
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