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Cambiare cognome: la procedura da seguire

Cambiare cognome è possibile? Analizziamo la normativa esistente in materia, le autorizzazioni da richiedere e le procedure da attivare.

Se, dunque, ti stai chiedendo “posso cambiare cognome?” devi sapere sin da subito che si tratta di una circostanza che il nostro ordinamento ammette soltanto in casi del tutto straordinari. Nelle righe seguenti analizzeremo la questione, descrivendo le varie ipotesi in cui la variazione è ammessa, e in alcuni casi consigliata.

Il cognome

Il cognome identifica la persona come appartenente a una specifica discendenza. Esso radica l’individuo in un gruppo familiare e lo inserisce in un preciso contesto storico e culturale.

Nel corso degli anni, i cognomi hanno assunto diverse forme e sembianze: alcuni riprendono il nome della città di origine, altri il mestiere esercitato, altri ancora il titolo nobiliare di provenienza. In tutti i casi, è un elemento indispensabile dell’anagrafica personale: il nome e il cognome contribuiscono a formare il codice fiscale, ossia la sequenza alfanumerica che definisce l’individuo in maniera unica e inconfondibile. Peraltro, il nostro codice civile stabilisce espressamente che ogni persona ha diritto a un nome. Tale termine richiama un concetto unitario comprensivo sia del prenome sia del cognome.

In Italia, è prassi consolidata quella di assegnare il cognome paterno ai figli nati in costanza di matrimonio: è un’attribuzione che opera di diritto e, quindi, in maniera automatica (cosiddetta presunzione di paternità).

Diversa è la situazione dei figli naturali, ossia di coloro che sono nati fuori da un vincolo coniugale. In tale ipotesi, il cognome del padre si applica soltanto se quest’ultimo riconosce il bambino; viceversa, si fa riferimento alla discendenza materna.

In particolare, secondo quanto stabilisce il legislatore:

  • il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo riconosce;
  • se il riconoscimento viene effettuato contestualmente da entrambi i genitori, il figlio naturale assume il cognome del padre;
  • se il riconoscimento paterno avviene in un momento successivo a quello materno, il figlio naturale può assumere il cognome del padre accostandolo o sostituendolo a quello della madre (ipotesi eccezionale di doppio cognome).

Non è inusuale, quindi, che un bambino nato fuori dal rapporto coniugale porti il cognome della mamma e non quello del papà.

A differenza di quello che comunemente si pensa, nel nostro ordinamento non esiste una disposizione di legge che impone il cognome paterno. Infatti, si fa riferimento a una consuetudine storica consolidata, reiterata nel tempo e considerata vincolante dalla generalità delle persone.

Tale fonte di diritto trae origine dalla struttura patriarcale che ha contraddistinto la nostra società per moltissimi anni. Per tale motivo, in Italia, sulla base delle esperienze di alcuni Stati europei, sono state elaborate diverse proposte di legge sul doppio cognome. L’obiettivo è quello di permettere ai genitori sposati di scegliere se attribuire ai figli il cognome di uno soltanto di loro (e quale) oppure quello di entrambi.

A tutt’oggi, le proposte sono rimaste tali e non hanno assunto la veste di leggi effettive: probabilmente, occorre ancora attendere ancora un po’ di tempo perché la sensibilità collettiva sia più matura.

Cambiare cognome: quando è possibile?

Secondo quanto stabilisce il codice civile, non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o modifiche al nome se non nei casi e con le formalità stabiliti dalla legge. Ecco allora che, in materia, occorre prendere come punto di riferimento la disciplina sull’ordinamento dello stato civile: in essa sono contenute tutte le norme relative alle variazioni di nome e cognome.

In proposito, il legislatore stabilisce che chiunque vuole cambiare il proprio cognome o aggiungerne un altro deve presentare un’apposita richiesta rivolta al ministero dell’Interno e deve indicare le ragioni della domanda. Infatti, le motivazioni che possono giustificare una tale variazione sono molto ridotte:

  • il cognome è ridicolo o vergognoso;
  • il cognome rivela l’origine naturale;
  • ogni altra ipotesi considerata valida giustificazione e debitamente documentata (pensa, ad esempio, al caso in cui il padre tenta di uccidere la figlia).

L’istanza, che può essere presentata soltanto da cittadini italiani, deve essere trasmessa alla prefettura della provincia in cui si ha la residenza. Il prefetto assume tutte le informazioni necessarie a espletare la pratica e le trasmette al ministero.

Se la questione appare meritevole di considerazione, il richiedente può domandare la pubblicazione all’albo pretorio del comune di un avviso con un riassunto della richiesta. L’affissione deve avere una durata di trenta giorni e può eventualmente essere accompagnata dalla comunicazione (cosiddetta notifica) diretta ad alcune persone. La finalità di tale procedura è quella di consentire a chi ha interesse di fare opposizione con atto trasmesso al ministero dell’Interno.

Nella domanda di variazione devono essere indicate le rettifiche che si vogliono apportare, ma in ogni caso non è mai possibile chiedere l’attribuzione di cognomi di importanza storica e, quindi, idonei a indurre in errore le persone sulla propria origine illustre (pensa, ad esempio, al cognome di Mazzini o Cavour).

All’istanza è sempre necessario allegare una copia di un documento di identità e tutte le certificazioni utili a supportare la richiesta (per fare un esempio estremo: pensa agli insulti ricevuti su Facebook a causa del tuo cognome ridicolo).

Quando la richiesta di rettifica o di variazione del cognome viene accolta, il decreto del ministero dell’Interno deve essere annotato, su richiesta dell’interessato, sull’atto di nascita del richiedente. Contro la decisione ministeriale può essere proposto ricorso al Tribunale amministrativo regionale entro sessanta giorni dalla notifica oppure al Presidente della Repubblica entro centoventi giorni.

CAMBIARE COGNOME
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