Se c'è la comunione dei beni nel divorzio i coniugi sono tenuti a dividere equamente tutto ciò che hanno guadagnato o acquistato durante il matrimonio. Rimangono esclusi solamente i beni strettamente personali.
Quando decidiamo di sposarci tutto ci sembra perfetto, siamo convinti che le cose andranno bene per sempre, e ci sentiamo al settimo cielo. Per questo motivo, a volte, non pensiamo a proteggere il nostro patrimonio e i guadagni arrivati da sacrifici e duro lavoro. Infatti, la comunione dei beni rappresenta la normalità per un matrimonio civile.
Forse in un recente passato non era necessario pensare a tutelare i propri guadagni in ottica di separazione, ma al giorno d’oggi i divorzi stanno aumentando in modo esponenziale, e con loro i problemi relativi alla divisione dei beni.
Bisogna considerare anche che, in caso di rottura, la coppia non sempre riesce a separarsi in modo consensuale, mantenendo per quanto possibile un rapporto civile, ma nascono dei veri e propri conflitti che possono costare molti soldi.
Ma procediamo con ordine cercando di capire cosa significa scegliere una comunione dei beni in un matrimonio.
Il matrimonio civile, secondo la legge, è un contratto che impone ai coniugi rispettivi diritti e doveri, come ad esempio badare economicamente alla famiglia e ai figli. Hanno, comunque, il diritto di scegliere in base a quale regime patrimoniale basare il loro rapporto di convivenza: la comunione o separazione dei beni.
In realtà viene data per scontata la comunione dei beni, quindi se non viene comunicato diversamente, verrà annotata tale decisione. Tale scelta può, in ogni caso, essere modificata attraverso un atto pubblico di fronte a un notaio in qualsiasi momento.
Comunione dei beni significa che tutti i beni acquistati e i soldi guadagnati dopo il matrimonio sono di proprietà di entrambi i coniugi, come anche i debiti accumulati dopo essersi sposati.
Rimarranno divisi, anche con la comunione dei beni, tutti i possedimenti precedenti al matrimonio, ed eventuali donazioni ricevute.
Se il sentimento d’amore svanisce i coniugi hanno diverse possibilità: rimanere lo stesso assieme e continuare la loro vita, decidere di separarsi consensualmente in quanto entrambi consapevoli della situazione oppure “farsi la guerra” accusandosi a vicenda.
Nel momento in cui la situazione diventa difficile, mantenere la calma e ragionare lucidamente sembra una strada quasi impossibile da intraprendere, infatti, nella maggior parte dei casi ci sono violente litigate e la volontà di vendicarsi dell’ex partner.
In ogni caso, consensuale o no, se arriva il momento della separazione è necessario valutare tutto il patrimonio della famiglia e dividerlo secondo quanto stabilisce la legge. Ovviamente se c’è un accordo la questione sarà molto più semplice e veloce.
Le questioni patrimoniali tra i coniugi vengono decise con la sentenza di separazione, e dopo tre anni, verranno rivalutate nell’ottica di decretare definitivamente il divorzio.
La comunione dei beni viene sciolta nel momento in cui c’è una sentenza di separazione, quindi a partire da quel momento i guadagni dei coniugi sono gestiti separatamente.
Ma rimane un problema: dividere tutto ciò che rientrava nella comunione durante il periodo del matrimonio.
Tutto deve essere spartito, attività ma anche passività, in particolare rientrano nella comunione dei beni:
Abbiamo detto che in regime di comunione dei beni, tutto deve essere spartito tra i coniugi, se è stato guadagnato o acquistato dopo le nozze.
Ci sono però delle eccezioni, riguardanti la sfera strettamente personale dell’individuo.
Valutando tutto ciò che abbiamo detto, i coniugi sono titolari al 50% di tutti gli acquisti fatti dal giorno del matrimonio a quello della separazione. Quindi anche l’acquisto di una casa effettuato esclusivamente da uno di loro, ad esempio il marito, rientra tra i beni in comunione.
Si tratta di una conseguenza automatica: anche se un immobile viene pagato solamente con i soldi di uno dei coniugi, la proprietà sarà di entrambi. Perciò in caso di divorzio deve essere equamente spartita.
La Corte di Cassazione ha infatti affermato
il bene acquistato dai coniugi, insieme o separatamente, durante il matrimonio, costituisce oggetto della comunione tra loro e diventa in via diretta, bene comune ai due coniugi, anche se destinato a bisogni estranei a quelli della famiglia e il corrispettivo sia pagato, in via esclusiva o prevalente, con i proventi dell’attività di uno dei coniugi
Solamente in un caso, la proprietà dell’immobile potrebbe non venire divisa tra marito e moglie.
Se, infatti, la casa è stata acquista con il denaro di un solo coniuge, derivante dalla vendita di beni ricevuti in eredità o come donazione, non si tratta di un bene in comunione, ma di bene strettamente personale, del quale di fatto era proprietario prima del matrimonio.
Scrive ancora la Cassazione, che la mancanza presenza della moglie presso il notaio durante l’atto di acquisto della casa rappresenta
condizione necessaria ma non sufficiente per l’esclusione del bene dalla comunione, occorrendo a tal fine non solo il concorde riconoscimento da parte dei coniugi della natura personale del bene, richiesto esclusivamente in funzione della necessaria documentazione di tale natura, ma anche l’effettiva sussistenza di una delle cause di esclusione dalla comunione
In tutte le altre situazioni però la casa è di entrambi, anche se il capitale investito era solo di uno di essi.
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