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Contratto non prorogato: quali sono le tutele?

In presenza di un contratto non prorogato, quali sono le tutele previste per legge per i lavoratori a termine? Quali sono le differenze rispetto al licenziamento? Scopriamole insieme.

Quando si parla di contratti di lavoro a tempo determinato, la questione inerente alla scadenza fissata è un elemento di grandi discussioni e di notevoli controversie. Per arginare il ricorso a questa tipologia contrattuale a discapito dell’ambito contratto a tempo indeterminato, sono stati imposti per legge svariati limiti: non può durare per più di 24 mesi, ad esempio. 

Ci sono comunque altri limiti legati al numero massimo di proroghe dello stesso, al numero di dipendenti rientranti in questa tipologia e in merito al periodo di stop tra un periodo lavorativo e il successivo.

Ma di fatto cosa accade quando il contratto arriva alla scadenza? 

Cos’è un contratto non prorogato?

Innanzitutto, va detto subito che con il Decreto Rilancio è entrata in vigore temporaneamente una proroga obbligatoria, che in parte complica le cose. Di fatto, se l’azienda ha sospeso o ridotto l’attività a causa dell’epidemia da Coronavirus, i contratti di somministrazione e a tempo determinato devono essere prorogati automaticamente. 

In modo particolare la proroga deve avere una durata pari al periodo di riduzione dell’attività o sospensione, derivante dall’epidemia.

Se l’azienda non provvede a rispettare quanto previsto dal decreto, può essere condannata a risarcire i danni al dipendente. 

Ad ogni modo, tralasciando la problematica legata al Covid-19, se le parti interessati non trovano un accordo in merito al rinnovo o alla proroga, il rapporto di lavoro cessa, ovvero si verifica la risoluzione automatica del contratto.

Perciò, all’interessato non arriva alcuna lettera di licenziamento, e le parti non sono tenute ad inviare della documentazione specifica.

Licenziamento prima della scadenza e dimissioni

Cosa succede invece prima della scadenza? Va sottolineato che il licenziamento è possibile soltanto per giusta causa o per una impossibilità improvvisa dell’azienda, legata all’attività produttiva

Al di fuori di tali ipotesi, si tratta di licenziamento illegittimo ed il lavoratore può agire per ottenere il riconoscimento degli stipendi che avrebbe percepito fino alla naturale scadenza contrattuale.

Capita, purtroppo, che alcuni datori di lavoro disonesti, o semplicemente disinformati, riferiscano al lavoratore a termine che la proroga del contratto, per lui, sia obbligatoria e che se non vuole prorogare il rapporto ha l’obbligo di rassegnare le dimissioni volontarie, perdendo così la possibilità di percepire la Naspi.

Questo “stratagemma” viene utilizzato per indurre l’ignaro lavoratore, probabilmente intenzionato a non proseguire il contratto per via di un trattamento sfavorevole, a firmare la proroga.

È bene sapere che non sussiste nessun obbligo, per il lavoratore, di firmare la proroga o il rinnovo del contratto a termine, né tantomeno quello di rassegnare le dimissioni se non si vuole proseguire il rapporto dopo la scadenza.

Solo se si vuole risolvere il rapporto di lavoro prima del termine è obbligatorio rassegnare le dimissioni: in questo caso, peraltro, deve trattarsi di dimissioni per giusta causa. Secondo la giurisprudenza, difatti, se il dipendente si dimette prima del termine senza giusta causa è tenuto a risarcire il danno al datore di lavoro.

Quali sono le tutele per il lavoratore?

Affrontate le problematiche relative alla possibilità di prorogare o rinnovare il contratto a termine, o di risolverlo prima del tempo, proviamo a capire che cosa succede se, alla scadenza del termine, non si verifica alcun rinnovo o proroga. Il dipendente beneficia delle stesse tutele previste per il licenziamento?

In linea generale, sì. La fine del contratto a termine, difatti, costituisce un’ipotesi di perdita involontaria dell’impiego.

Il lavoratore dipendente ha dunque il diritto di acquisire lo stato di disoccupazione, una volta resa la Did, cioè la dichiarazione d’immediata disponibilità al lavoro e alle iniziative di politica attiva previste dal centro per l’impiego.

Sussistendo i requisiti previsti, cioè almeno 30 giornale di lavoro nell’anno e almeno 13 settimane di contributi negli ultimi 4 anni, che non abbiano già dato luogo a una prestazione di disoccupazione, il lavoratore a termine ha anche diritto all’indennità di disoccupazione Naspi.

Il datore di lavoro non è tenuto a pagare la tassa sul licenziamento, nonostante il lavoratore non benefici della Naspi. Come mai? Questo accade in quanto il datore di lavoro paga, in relazione al lavoratore a termine, un contributo aggiuntivo, proprio finalizzato all’indennità di disoccupazione.

CONTRATTO NON PROROGATO
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