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Dimissioni per giusta causa: motivazioni e tempi di preavviso

Vediamo, nelle dimissioni per giusta causa di dipendenti pubblici e privati, quali sono le motivazioni INPS, cosa deve fare il lavoratore ed i tempi di preavviso previsti dalla legge

Le dimissioni per giusta causa per dipendenti privati e pubblici sono una disposizione di legge che prevede, per il lavoratore, la facoltà di recedere dal contratto di lavoro per motivi determinati da specifiche cause che coinvolgono sempre il comportamento del datore di lavoro nel confronti del lavoratore dipendente.

Quello che vogliamo fare è fornire un vademecum per capire quali sono le motivazioni accettate dall'INPS, come funzionano nello specifico le dimissioni, il preavviso e le cause.

Dimissioni per giusta causa: i motivi

I motivi per le dimissioni per giusta causa sono cause, appunto, che determinano la fine del lavoro del dipendente e la conseguente risoluzione del contratto di lavoro senza la perdita del beneficio dell'indennità di disoccupazione.

Nello specifico, l'INPS, con la circolare n.163 del 2003, ha provveduto a mettere nero su bianco i motivi per i quali il lavoratore ha diritto a dimettersi per giusta causa senza obbligo di preavviso: il preavviso, in questi casi non serve perché viene meno un adempimento del datore di lavoro nei confronti del dipendente. Ecco l'elenco dei motivi:

  • ​mancato versamento dei contributi INPS, INAIL eccetera. Questo porta ad un reato penale per il datore di lavoro. In questo caso il lavoratore può dimettersi per giusta causa senza preavviso;
  • molestie sessuali nei confronti del dipendente;
  • mobbing, ovvero il crollo dell'equilibrio psico-fisico del lavoratore a causa di comportamenti vessatori di superiori o colleghi;
  • trasferimento del lavoratore presso altra sede senza motivo;
  • variazioni importanti delle condizioni di lavoro a seguito di cessione dell'azienda ad altre persone dell'azienda (per persone s'intende sia fisiche che giuridiche);
  • richiesta al dipendente di condurre comportamenti illeciti da parte del datore di lavoro;
  • peggioramento nelle mansioni lavorative;
  • mancato pagamento dello stipendio:il mancato pagamento dello stipendio da parte del datore di lavoro è uno dei più importanti motivi previsti dal CCNL che consentono al lavoratore dipendente di dimettersi per giusta causa senza nessun obbligo di preavviso. In questo modo il dipendente ottiene lo stato di disoccupazione ed avrà diritto all'indennità che gli spetta per essere in questa condizione.
  • mancato pagamento del TFR: vale lo stesso discorso fatto al punto precedente. In questi due casi il lavoratore deve rivolgersi immediatamente all'INPS ed ad un avvocato del lavoro. Questo perché in sede di Cassazione, questa potrebbe non riconoscere la validità delle dimissioni per giusta causa senza preavviso se viene dimostrato che il dipendente ha accettato la condizione di non vedersi pagato il TFR o lo stipendio per troppi mesi senza muoversi tramite un avvocato e l'INPS.

​Come si attuano le dimissioni per giusta causa

Cosa deve fare il lavoratore che voglia usufruire delle dimissioni per giusta causa? Il dipendente che intenda intraprendere questa strada deve attuare una procedura specifica pena la non ammissibilità del riconoscimento della giusta causa e, di conseguenza, il decadimento del diritto di ricevere l'indennità di disoccupazione (NaspI).

Viste le cause che portano a questo tipo di dimissioni, il lavoratore deve procedere a convalidare e consegnare al datore di lavoro la propria lettera di dimissioni per giusta causa; inoltre dovrà presentare per via telematica la domanda di disoccupazione all'INPS allegando tutta la documentazione in suo possesso che attesti la giusta causa.

Questa procedura, se ritenuta valida dall'INPS, mette il dipendente dimesso in una condizione involontaria di disoccupazione a causa degli inadempimenti del datore di lavoro. Per questo, come ha stabilito la Corte Costituzionale nella sentenza n.269 del 24/6/2002, il lavoratore ha diritto alla NaspI ed è immune alla penale per il mancato preavviso. Oltre all'indennità di disoccupazione, inoltre, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere il risarcimento del danno al lavoratore. Il risarcimento in questione sarà commisurato all'importo totale delle retribuzioni fino alla scadenza naturale del contratto (in caso di contratti a tempo determinato). Nel caso in cui le dimissioni per giusta causa di venissero a presentare nel periodo di prova del lavoratore questo non avrà diritto né alla disoccupazione né al risarcimento del danno.

Lettera di dimissioni per giusta causa: la convalida è obbligatoria

La procedura per la consegna della lettera di dimissioni per giusta causa è stata modificata con la Riforma del mercato del Lavoro che ha reintrodotto la convalida preventiva delle dimissioni e delle risoluzioni consensuali dei rapporti lavorativi fra datore e dipendente. Questo, così come dice la riforma, evita le così dette dimissioni in bianco.

A partire dal luglio del 2012, quindi, i lavoratori che intendano dimettersi volontariamente o per giusta causa, devono obbligatoriamente far convalidare la lettera di dimissioni. La convalida, che va fatta dal datore di lavoro attraverso una serie di procedure precise, è atta ad individuare in modo chiaro la data di dimissioni e la volontà inequivocabile del lavoratore di recedere dal contratto.

Il lavoratore che utilizzi le dimissioni per giusta causa è obbligato a convalidare le proprie dimissioni attraverso la compilazione di un modello online da far redigere dagli intermediari che sono stati identificati nella circolare n.18 del 18/7/2012 dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

La procedura telematica

A partire dal 12 marzo 2016 i dipendenti che intendono dimettersi devono obbligatoriamente utilizzare la procedura telematica. Solo alcune categorie di lavoratori, quali colf, badanti, e baby sitter possono presentare la domanda cartacea.

Si tratta di una novità introdotta con il Jobs Act, con lo scopo di rendere più sicuro ed efficiente il meccanismo, e per evitare le cosiddette “dimissioni in bianco”, ovvero dei documenti fatti firmare ai dipendenti senza l’indicazione della data, per potere essere usati a piacimento dall’azienda nel momento opportuno.

La procedura è molto semplice, è sufficiente collegarsi al portale Clicklavoro del Ministero del Lavoro e accedere con il Pin fornito dall’Inps o attraverso il sistema di identità digitale Spid.

E’ necessario, poi, compilare i moduli presenti, ricordandosi di evidenziare che non si tratta una volontà di dimettersi ordinaria, cioè che non si tratta di una scelta fatta per motivi personali, ma dettata da comportamenti scorretti da parte dell’azienda. Se non viene indicata tale informazione il rischio è quello di non ricevere la Naspi, o di non potere fare richiesta per il Reddito di Cittadinanza, come vedremo a breve.

Ad ogni modo chi non ha sufficienti conoscenze informatiche, può recarsi presso un Caf, un patronato o un’organizzazione sindacale per avere un supporto e una assistenza per la compilazione corretta del modulo online.

Il dipendente, inoltre, ha la possibilità di cambiare idee e di revocare la richiesta inviata, entro 7 giorni, utilizzando lo stesso procedimento. Una volta decorso il termine utile, però, il documento non sarà più visibile online e non si potrà più ritirare.

Chi si dimette può richiedere il Reddito di Cittadinanza?

Nel 2019 chi ha una situazione economica particolarmente difficile e non ha un lavoro, ha il diritto di ricevere il Reddito di Cittadinanza. Per poter effettuare la richiesta, però, è necessario avere una serie di requisiti.

In modo particolare se un soggetto di dimette volontariamente non può fare la relativa richiesta per i successivi 12 mesi. Ma il discorso cambia se la decisione è stata dettata da fattori esterni, quindi dal comportamento del datore di lavoro.

Chi si dimette per dei validi motivi collegati ad atteggiamenti aziendali scorretti, quindi, può effettuare subito la richiesta per ottenere i benefici se rientra tra i soggetti che ne hanno diritto. 

Ticket licenziamento: quanto costa e chi deve pagarlo

Il ticket licenziamento è una somma di denaro che deve essere versata dal datore di lavoro a beneficio dell'INPS stabilita dalla riforma Fornero. Il costo cambia annualmente e si aggira intorno a poco più di 500 euro.
Questa tassa verrà versata solo per dipendenti a tempo indeterminato e con diritto o meno alla NASPI, che hanno interrotto il loro rapporto di lavoro per:

  • ​giusta causa e giustificato motivo oggettivo o soggettivo
  • licenziamento collettivo, nei casi non tutelati da un sindacato
  • licenziamento del dipendente con contratto a chiamata
  • mancato passaggio da contratto di apprendistato a tempo indeterminato
  • dimissioni del dipendente per giusta causa o maternità

Esistono anche dei casi in cui il titolare non devono versare questo pagamento, ovvero per casi come cambi d'appalto, termine di un contratto a tempo determinato ed infine per dimissioni volontarie o decesso del dipendente.

Il ticket licenziamento ha preso il posto della vecchia indennità di mobilità dal primo gennaio 2017 con obiettivo quello di scoraggiare i licenziamenti e di finanziare la Naspi.

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