Essa, pertanto, in quanto contratto, richiede la forma solenne e ad substantiam dell’atto pubblico (art. 782 c.c) alla presenza di due testimoni. Tale rigorismo formale non solo persegue finalità di tutela del donante, evitando scelte affrettate e poco ponderate, ma sopperisce altresì alla debolezza della causa donandi.
Oltre al rigorismo formale la donazione si caratterizza per la presenza di un elemento soggettivo, il c.d. l’animus donandi, che ricorre ogniqualvolta l’attribuzione patrimoniale a titolo gratuito è compiuta nullo iure cogente ovvero quando il comportamento del disponente non è determinato da alcun vincolo giuridico o extragiuridico rilevante per l’ordinamento . Il succitato elemento soggettivo, peraltro, non è sufficiente ai fini della configurabilità della donazione, essendo parimenti necessaria la sussistenza di un ulteriore elemento, oggettivo, individuato nell’incremento patrimoniale altrui (cioè l'arricchimento del donatario) e lo speculare depauperamento di chi ha disposto del diritto o assunto l'obbligazione (vale a dire l'impoverimento del donante).
Oggetto dell’atto donativo possono essere tanto i diritti reali quanto i diritti di credito; possono altresì formare oggetto di donazione, indistintamente, beni mobili e beni immobili nonché universalità di cose ex art. 816 c.c. Ferme tali ultime considerazioni, principio generale che connota il contenuto della donazione è che quest’ultima può avere a soggetto solo i beni presenti del donante: come espressamente previsto dall’art. 771 c.c. è infatti nulla la donazione di cose future, salvo che si tratti di frutti non ancora separati.
La portata generale del suddetto principio suggerisce di porre l’attenzione sul problema della donazione di cose altrui posto che, l’assenza di una disciplina ad hoc, rende particolarmente ardua la questione relativa alla sua ammissibilità ed efficacia.
Sul punto si registrano orientamenti giurisprudenziali contrastanti.
Secondo una prima tesi la donazione di cosa altrui sarebbe radicalmente nulla. Militano a favore di tale tesi una pluralità di argomentazioni. In primo luogo mancherebbe l’immediatezza dello spoglio, ossia l’immediata fuoriuscita del bene dal patrimonio del donante e il corrispettivo ingresso in quello del donatario. In secondo luogo, in base all’argomento letterale tratto della definizione di donazione di cui all’art. 769 c.c., la donazione deve avere ad oggetto un “suo” diritto, cioè del donante. Infine sussisterebbe un’analogia con la previsione di cui all’art. 771 c.c., riferita alla donazione di cose future, con la quale condividerebbe la ratio di evitare donazioni avventate e non meditate.
La giurisprudenza di legittimità più risalente, per converso, ritiene che la donazione di cosa altrui sarebbe valida ma inefficace, al pari della vendita di cose altrui . Si evidenza, al riguardo, l’impossibilità di assimilare la figura in esame con l’istinto della donazione di cosa futura, come evidenzia, del resto, lo stesso Codice Civile il quale, a differenza di quanto fa nell’art. 771 c.c., non contempla né tantomeno disciplina espressamente l’ipotesi di donazione di cosa altrui.
Gli oscillanti orientamenti giurisprudenziali e il conseguente caos pretorio hanno indotto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione a dirimere il contrasto. Con sentenza n. 5068 del 15/03/2016 la Suprema Corte ha stabilito che la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata, deve ritenersi nulla per difetto di causa, salvo che nell’atto si affermi espressamente che il donante è consapevole dell’attuale non appetenza del bene al suo patrimonio. Deve quindi affermarsi che, se al momento della stipula del contratto il bene si trova nel patrimonio del donante, la donazione, in quanto dispositiva, è valida ed efficace; diversamente, se la cosa non appartiene al donante, questi deve assumere espressamente e formalmente, nell’atto di donazione, l’obbligo di procurare l’acquisto al donatario. La donazione di bene altrui assume in tal modo i connotati della donazione obbligatoria di dare, fermo restando che l’altruità della cosa deve essere conosciuta dal donante e tale consapevolezza deve altresì risultare da un’apposita ed espressa affermazione nell’atto pubblico. Mancando le suddette condizioni la donazione sarà nulla.
L’innovatività della sentenza in commento si rinviene proprio nell’aver individuato una causa di nullità autonoma e indipendente rispetto a quella prevista dall’art. 771 c.c.: essa, infatti, deriva dal fatto che la mancata conoscenza dell’altruità del bene determina una impossibilità assoluta di realizzazione del programma negoziale e quindi la carenza di una causa donativa, derivante non già dall’altruità del bene ex se quanto dal fatto che il donante non assume l’obbligazione di procurare l’acquisto del bene dal terzo. La sanzione della nullità per la donazione di cosa altrui opererà dunque ai sensi del combinato disposto dell’art. 769 c.c. (il donante deve disporre “di un suo diritto” e degli artt, 1325 c.c. e art. 1418 comma 2 c.c.
[1] Cass. 2273/1980
[2] Cass. 6994/2000
[3] Cass.10356/2009
[4] Cass. 1596/2001
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