I nuovi rimedi preventivi disciplinati dalla LEGGE PINTO (legge 24 marzo 2001, n. 89) a seguito delle modifiche introdotte dalla Legge Stabilità 2016.
La Legge Pinto, ovverosia la l.89/2001, disciplina e prevede un rimedio a favore di tutti coloro i quali subiscano un processo la cui durata si sia rilevata irragionevole, consentendo loro di richiedere un’equa riparazione per tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti a ragione della lungaggine del procedimento.
Al fine di poter ottenere un’equa riparazione per il mancato rispetto del termine ragionevole previsto dall’art. 6, paragrafo 1, Convenzione EDU (la domanda si propone, oggi, con ricorso), è necessario che il procedimento presupposto abbia avuto una durata eccessiva e ingiustificata secondo i parametri a tal uopo stabiliti in via interpretativa dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Un processo, infatti, non può essere equo se non è definito in un termine ragionevole che, secondo la Corte di Strasburgo, può essere stimato, per una causa di media complessità, in anni 3 (tre) per il giudizio di primo grado, anni 2 (due) per il giudizio di appello e in 1 anno per i giudizi di legittimità dinnanzi alla Corte di Cassazione.
Ciò premesso, con la Legge di Stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), il nostro Legislatore è nuovamente intervenuto sulle Legge in epigrafe introducendo importanti novità, tutte innegabilmente rivolte al contenimento della spesa pubblica conseguente alla violazione del termine di ragionevole durata dei processi.
Tale modus operandi si è tradotto, in particolare, nell’introduzione dell’art. 2, ai sensi del quale “E’ inammissibile la domanda di equa riparazione proposta dal soggetto che non ha esperito i rimedi preventivi all’irragionevole durata del processo”.
L’intervento legislativo, pertanto, se da un lato riconosce a ogni parte di un processo “il diritto a esperire rimedi preventivi alla violazione della Convenzione” (art. 1-bis), dall’altro prevede espressamente che la medesima parte debba necessariamente utilizzare tali strumenti qualora intenda successivamente chiedere l’equo indennizzo.
E’ evidente come tale previsione di fatto pregiudichi l’effettività del rimedio previsto dalla legge n. 89 del 2001, al punto da far sorgere non pochi dubbi in merito alla sua compatibilità con i requisiti al riguardo richiesti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali.
Tuttavia, merita fin da subito attenzione la disposizione di cui all’art. 6, comma 2-bis, anch’essa introdotta con la novella in commento e rubricata “Normatransitoria”, ai sensi della quale “Nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’art. 2, comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data non si applica il comma 1 dell’articolo 2” e, pertanto, l’espletamento dei rimedi preventivi non costituirà, ancora, condizione di ammissibilità della domanda di equa riparazione.
Ritornando ai rimedi preventivi introdotti dalla recente novella, particolare interesse merita il combinato disposto degli artt. 1 bis e 1 ter della Legge in commento, ex novo introdotti dalla Legge di Stabilità per il 2016 e rubricati rispettivamente “Rimedi all’irragionevole durata del processo” e “ Rimedi preventivi”.
Si tratta di strumenti processuali che le parti hanno la “facoltà” (onere) di attivare per contenere l’eccessiva durata del processo ma il cui espletamento, ai sensi del già citato art. 2, si eleva a condizione di ammissibilità della successiva domanda d’equa riparazione.
Riguardo ai giudizi civili, il quadro dei rimedi preventivi previsti dall’art. 1-ter della Legge Pinto 2016, di per sé non idonei ad assicurare una riduzione della durata dei giudizi presupposti, può così sintetizzarsi:
Come già suggerito in premessa, la previsione - dietro l’apparente riconoscimento di una facoltà - del necessario espletamento dei rimedi su esposti in vista della proposizione del ricorso per equa riparazione non solo pregiudica l’effettivo esercizio del diritto garantito dall’art. 6 CEDU, ma rischia di contrarre sensibilmente il diritto di difesa (diritto fondamentale riconosciuto dall’art. 24 della Costituzione), soprattutto nella parte in cui impone, di fatto, l’introduzione di un giudizio nelle forme sommarie (con tutte le evidenti ripercussioni negative e potenzialmente nefaste in punto di attività istruttoria) per non precludersi la possibilità di richiedere in seguito l’equo indennizzo qualora la durata del giudizio presupposto dovesse superare il termine ragionevole.
In conclusione, proprio per le ragioni su esposte e alla luce della chiara inidoneità dei rimedi preventivi previsti ad assicurare una riduzione dei tempi della Giustizia, non pochi dubbi solleva la volontà legislativa di elevare l’espletamento di tali strumenti a condizione di ammissibilità della domanda di equa riparazione, con conseguenti notevoli dubbi in merito alla costituzionalità delle modifiche introdotte, nonché alla loro compatibilità con il diritto comunitario.
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