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Il lavoratore può essere trasferito?

Il trasferimento del dipendente da una sede di lavoro ad un’altra è possibile? In generale la sede di lavoro presso cui il lavoratore deve prestare la propria prestazione è individuata nel contratto di lavoro (o nella lettera di assunzione). Può accadere, però, che durante lo svolgimento del rapporto di lavoro l’azienda decida di modificare la sede di lavoro del dipendente, trasferendolo da una sede ad un’altra.

In questi casi l’azienda recapita al lavoratore una lettera di trasferimento con cui vengono indicate le ragioni che hanno determinato la necessità di modificare la sede di lavoro.

Cosa si intende per “trasferimento” del lavoratore?

Per trasferimento del lavoratore deve intendersi lo spostamento stabile del lavoratore dal luogo di lavoro stabilito nel contratto.

La determinazione del luogo di lavoro avviene all’atto dell’assunzione ed è precisata nel contratto individuale di lavoro: può coincidere con i locali aziendali o con un luogo situato al di fuori di essi, come nei casi del lavoro a domicilio, telelavoro, smart working, a seconda del tipo di mansioni. Il trasferimento si differenzia dalla trasferta, costituita da uno spostamento temporaneo, e dal distacco, che ricorre quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa [1].

Quando è legittimo il trasferimento?

Il trasferimento non può essere disposto in modo arbitrario. Infatti, spostando un lavoratore da una sede ad un’altra, si potrebbe produrre una modifica notevolmente peggiorativa nei confronti del lavoratore, soprattutto quando la sede di destinazione è lontana dal domicilio del dipendente.

Il trasferimento – dunque - può essere attuato, secondo la legge, solo in presenza di 'comprovate ragioni tecniche organizzative o produttive' [2]. In particolare, la giurisprudenza ha ritenuto che l’azienda debba dimostrare che quel dipendente era ormai inutile nella sede di provenienza; oppure la necessità della presenza di quel dipendente, con la sua particolare professionalità, nella sede di destinazione; o, ancora, la serietà delle ragioni che hanno fatto cadere la scelta proprio su quel dipendente e non su altri colleghi che svolgano analoghe mansioni [3].

La lettera di trasferimento

Le ragioni che rendono necessario il trasferimento, che abbiamo appena esaminato, debbono essere comunicate al dipendente per iscritto, prima del trasferimento, nella lettera di trasferimento. Se nella lettera non sono indicate le ragioni è necessario che il lavoratore le richieda espressamente [4]. Il datore di lavoro non può indicare le ragioni in maniera generica.

Come impugnare il trasferimento?

Il lavoratore che vuole opporsi al trasferimento che gli è stato comunicato deve rivolgersi ad un avvocato specializzato in diritto del lavoro. La legge, infatti, fissa dei termini rigidi per impugnare il trasferimento che sono gli stessi previsti in caso di licenziamento. In particolare, il lavoratore, o il legale cui si è rivolto, deve impugnare il trasferimento entro 60 giorni dalla data in cui il dipendente ha ricevuto la relativa comunicazione [5]. L’impugnazione stragiudiziale consiste in una lettera rivolta al datore di lavoro con cui si contesta il trasferimento e la sua legittimità e, di solito, si chiede l’annullamento  dell’atto di trasferimento ed il mantenimento della precedente sede di lavoro. Entro 180 giorni dalla data di  spedizione della lettera di impugnazione stragiudiziale [6], l’avvocato del lavoratore deve depositare nella cancelleria del Giudice del Lavoro [7] un ricorso con cui impugna il trasferimento e ne chiede l’annullamento al Giudice. Il Tribunale verificherà se il trasferimento è legittimo e se sussistono le ragioni addotte dall’azienda. In caso contrario il trasferimento verrà annullato e il lavoratore avrà diritto a continuare a lavorare presso l’originaria sede di lavoro.

Si noti che è onere del datore di lavoro, una volta impugnato il trasferimento da parte del dipendente, dimostrare  e provare l’effettiva sussistenza delle ragioni giustificative del trasferimento stesso.

Il trasferimento del lavoratore che assiste un parente disabile

Il lavoratore che assiste un parente disabile gode di una particolare protezione contro il trasferimento da parte della legge [8]. Mentre nella generalità dei casi, come abbiamo visto, il trasferimento può essere disposto dal datore di lavoro anche senza il consenso del lavoratore, purché sussistano le ragioni tecniche, organizzative e produttive addotte, il lavoratore che assiste con continuità un parente o un affine entro il terzo grado disabile non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede.

La giurisprudenza ha precisato che il divieto di trasferire il lavoratore che assiste un parente disabile prescinde dal previo accertamento della gravità dell’handicap da parte delle commissioni mediche delle Unità Sanitarie Locali [9].

Si vuole così evitare che il lavoratore, a seguito del trasferimento, non possa svolgere adeguatamente i suoi doveri di assistenza.



[1] Art. 30 d.lgs. n. 276/2003.

[2] Art. 2103 c.c.

[3] Ex multis, Cass. n. 12516/2009.

[4] Cass. n. 24260/2013.

[5] Art. 6, Legge n. 604/1966, così come sostituito dall'articolo 32, comma 1, della Legge 4 novembre 2010, n. 183.

[6] Cass. S.U. 14 aprile 2010, n. 8830.

[7] Art. 6, comma 2, Legge n. 604/1966, così come modificato dall'articolo 1, comma 38, della Legge 28 giugno 2012, n. 92.

[8] art. 33, comma 5 della legge n. 104 del 1992.

[9] Cass. n. 25379/2016.

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