La nullità del contratto, come l’annullabilità, riguarda eventuali vizi presenti nell’atto, tale da renderlo nullo. Vediamo in quali casi avviene e quali sono le conseguenze.
Tra le cause che la legge reputa idonee a "sciogliere" il contratto (art. 1372 c.c.), sono da menzionarsi, oltre alla rescissione e alla risoluzione che concernono vizi del "rapporto", anche la dichiarazione di nullità e l'annullabilità che riguardano, invece, vizi dell'atto.
La tradizionale bipartizione dell'invalidità contrattuale, costituita da nullità e annullabilità, è stata introdotta dal legislatore del '42, poiché nel precedente codice del 1865 trovava spazio solo la previsione della nullità sulla base del modello francese.
La nullità del contratto è quel vizio che porta lo stesso ed essere privo di effetti giuridici. L’istituto trova la propria disciplina generale agli articoli 1418 e seguenti del codice civile. Attraverso l’azione di nullità il giudice prende atto e dichiara come un contratto debba ritenersi privo di effetti nei riguardi delle parti.
La legge dispone la nullità del contratto per porre dei limiti all’autonomia contrattuale. Le parti infatti non possono sottrarsi al rispetto di quei principi generali che la legge prevede per rendere certi i rapporti giuridici.
La sentenza del giudice, diversamente che per l’annullabilità, ha natura dichiarativa e non costitutiva: il contratto è nullo prima che intervenga la sentenza, che ha solo la funzione di dichiararlo.
Ai sensi dell’articolo 1421 del codice civile: “Salvo diverse disposizioni di legge, l’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse e può essere rilevata d’ufficio dal giudice”, per questo si dice abbia natura assoluta. Possono invocare la nullità del contratto dunque non solo le parti che lo hanno posto in essere ma anche soggetti esterni allo stesso che vi abbiano interesse. L’interesse ad agire deve essere giuridicamente rilevante: chi richiede la nullità deve dimostrare l’attualità della lesione di un proprio diritto e quindi un danno alla propria sfera giuridica.
Si tratta di quell’interesse citato dall’articolo 100 del codice di procedura civile. Alcune eccezioni a tale regola di assolutezza sono previste nel codice del consumo. Nel codice del consumo infatti la legge prevede l’azione a vantaggio di una sola delle parti, il consumatore. Si parla a questo proposito di nullità relativa.
La norma afferma che la nullità può essere rilevata anche d’ufficio dal giudice. E ciò può eseguirsi in ogni stato e grado del giudizio limitatamente agli atti in esso dedotti. La giurisprudenza tuttavia è divisa sulla possibilità di rilevare la nullità d’ufficio. Parte di questa lo ritiene possibile solo quando il giudizio viene attivato per rendere esecutivo il contratto, mentre ne esclude la possibilità quando si chiede la risoluzione, la rescissione o l’annullamento. Altra parte estende anche a queste ultime ipotesi la rilevabilità d’ufficio della nullità.
Chi fa valere la nullità del contratto per trarre gli opportuni vantaggi derivanti dall’azione, si è già detto, può essere parte originaria del contratto o un terzo che vi abbia interesse. I soggetti sui quali ha rilievo l’azione di nullità proposta sono i legittimati passivi, che, in un giudizio, non sempre scontano un litisconsorzio necessario né gli effetti del giudicato.
Quando gli attori del giudizio sulla nullità sono soggetti estranei al contratto si pone il problema, ampiamente discusso in giurisprudenza, se nel contraddittorio del giudizio vadano coinvolte tutte le parti originarie del contratto o solo una di esse.
L’opinione prevalente si è indirizzata nel distinguere due ipotesi:
L’articolo 1418 del codice civile disciplina fondamentalmente tre macro ipotesi in cui il contratto deve ritenersi nullo. Queste sono:
La contrarietà a norme imperative. Il codice civile non individua espressamente quali norme debbano ritenersi “imperative” e quali altre “dispositive” e dunque derogabili. L’individuazione è generalmente rimessa all’interprete. Una norma deve ritenersi imperativa quando è sotteso un interesse di natura pubblicistica, viceversa sarà “dispositiva” e quindi derogabile quando tale interesse sia assente. Il divieto contrattuale di alienazione individuato all’articolo 1379 è ad esempio un patto nullo. L’articolo 1379 ha infatti natura imperativa e non dispositiva.
Viceversa l’articolo 1815 che stabilisce il diritto al mutuante alla corresponsione degli interessi da parte del mutuatario è una norma derogabile.
Il difetto o l’illiceità di uno o più requisiti essenziali (causa, accordo, oggetto, forma quando richiesta a pena di nullità) o l’illiceità dei motivi quando comuni alle parti. Si parla di mancanza di accordo ovvero di volontà quando il compimento dell’atto avviene per violenza fisica o psicologica della parte che ha dichiarato una volontà inesistente. Altro esempio di nullità in cui manca la volontà di una delle parti è la stipula del contratto con una persona priva della capacità di comprendere e volere il compimento dell’atto.
In tutti gli altri casi previsti dalla legge. Si parla a questo proposito di “nullità virtuale”. Le ipotesi sono davvero tante, sia nel codice civile che nelle tantissime leggi complementari.
La conseguenza della nullità del contratto è l’inefficacia dello stesso. Il contratto nullo infatti non produce effetti fra le parti ed è come se non fosse stato mai stipulato. La nullità può investire l’intero contratto oppure singole clausole. Non sempre però le clausole contrattuali nulle eliminano gli effetti voluti dalle parti. In alcune circostanze infatti è la legge a sostituirsi automaticamente alle pattuizioni nulle. Nel caso di alienazione di azienda ad esempio, ove i contraenti prevedano un patto di non concorrenza per un periodo superiore a cinque anni, tale divieto sarà valido, ma solo per cinque anni.
Ci sono poi dei casi previsti espressamente dalla legge in cui il contratto nullo produce comunque degli effetti sia tra le parti sia nei confronti dei terzi. Si tratta di effetti mitigati rispetto a quelli del contratto valido e che si possono definire come attenuanti di quelli negativi derivanti dalla nullità. Il codice civile ha disciplinato poi due ipotesi specifiche di contratti nulli che producono ugualmente i loro effetti. Si tratta dell’articolo 2126, relativo agli effetti del contratto di lavoro nullo, e del secondo comma dell’articolo 2332, sulla nullità della società.
Quando il contratto è nullo e siano state eseguite delle prestazioni le stesse devono essere restituite, fatto salvo il caso in cui si tratti di contratto ad esecuzione continuata o periodica (ad esempio la locazione).
La nullità può produrre, invece, gli effetti di un diverso contratto, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora possa ritenersi, avuto riguardo agli scopi perseguiti dalle parti, che le stesse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità (c.d. conversione del contratto nullo).
Oltre alla nullità, altra causa di invalidità contrattuale che trova apposita disciplina nel codice civile è l'annullabilità.
Sono considerate cause di annullabilità del contratto: l'incapacità di una delle parti (ad es. nel caso di contratti conclusi da minore o incapace di intendere e di volere; ecc.) (art. 1425 c.c.); il consenso dato per errore, estorto con violenza o carpito con dolo (c.d. vizi del consenso, art. 1427 c.c.). Per essere causa di annullamento, l'errore deve essere essenziale e riconoscibile dall'altro contraente (art. 1428 c.c.); la violenza può anche essere esercitata da un terzo (art. 1434 c.c.); il dolo deve consistere in raggiri tali usati da uno dei contraenti, che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso (art. 1439 c.c.).
Considerata una patologia meno grave rispetto alla nullità, all'annullabilità il legislatore del '42 ha riservato, pertanto, una disciplina improntata a minor rigore, consentendo che il contratto annullabile produca gli stessi effetti di un contratto valido, i quali possono venir meno ove venga esperita, con successo, l'azione di annullamento.
A differenza della nullità, inoltre, l'annullabilità può essere fatta valere solo su istanza della parte interessata ed è soggetta a un termine di prescrizione quinquennale. La convalida e la rettifica del contratto.
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