L'azienda può far cessare il rapporto di lavoro per raggiungimento da parte del dipendente del diritto al pensionamento anticipato? In altre parole, è lecito il licenziamento per pensione anticipata?
La situazione è differente per i lavoratori pubblici rispetto a quelli del settore privato. Per quanto riguarda i lavoratori del settore privato, non esiste alcuna legge che permetta e/o imponga la cessazione del rapporto di lavoro al raggiungimento dei requisiti per la pensione anticipata. Quindi, anche se il lavoratore raggiunge 42 anni e 10 mesi di contribuzione (41 anni e 10 mesi in caso di lavoratrice), ha il diritto a portare avanti il rapporto di lavoro, a meno che non abbia già raggiunto l'età pensionabile. I dipendenti pubblici, al contrario, possono essere cessati dal servizio una volta raggiunto il diritto alla pensione anticipata.
Nel caso di lavoratori privati, qualora il dipendente raggiunga il diritto alla pensione di vecchiaia, cioè l'età pensionabile pari a 67 anni, insieme al requisito contributivo minimo previsto (di norma pari a 20 anni) può essere licenziato dal datore di lavoro. Non serve che ci sia un motivo giustificato, oggettivo o soggettivo, o la giusta causa per licenziare. La prosecuzione del rapporto di lavoro fino ai 71 anni, invece, è possibile solo in caso di accordo tra azienda e dipendente.
I dipendenti pubblici, raggiunto il diritto al pensionamento anticipato, possono essere licenziati. Più precisamente, per i lavoratori delle pubbliche amministrazioni lo "spartiacque" sta nell'età ordinamentale, cioè nel requisito anagrafico fissato dall'ordinamento di appartenenza per la permanenza in servizio. Qualora il dipendente pubblico raggiunga un qualsiasi diritto alla pensione ordinaria (di vecchiaia o anticipata, ordinaria o contributiva), ma senza aver ancora raggiunto l'età ordinamentale, sarà facoltà dell'amministrazione valutare la cessazione del servizio. Se, invece, il lavoratore pubblico, oltre ad aver raggiunto il diritto alla pensione, ha perfezionato il requisito anagrafico ordinamentale, l'amministrazione ha l'obbligo di cessarlo dal servizio.
Se un datore di lavoro licenzia un dipendente prossimo alla pensione deve pagare il ticket sul licenziamento?
Il datore di lavoro, generalmente, quando licenzia un dipendente è obbligato a pagare il ticket sul licenziamento, detto anche tassa sul licenziamento: si tratta semplicemente di un contributo aggiuntivo dovuto all'Inps, pari a 547,41 euro per ogni anno di lavoro effettuato. Ma, se il datore di lavoro licenzia il dipendente perché quest'ultimo va in pensione, tale contributo è ugualmente dovuto? Se il dipendente matura il diritto alla pensione anticipata, la tassa sul licenziamento deve essere comunque versata? Prima di tutto, occorre osservare che, di solito, è il lavoratore avente diritto alla pensione a rassegnare le dimissioni: il contributo sul licenziamento non è dovuto se il rapporto cessa in seguito alle dimissioni volontarie del dipendente, oppure nelle ipotesi che seguono:
Il fine del ticket di licenziamento è, infatti, quello di coprire parzialmente gli oneri legati all'indennità di disoccupazione Naspi: in relazione alle cessazioni per le quali il lavoratore non può accedere alla prestazione, la tassa non è dovuta. Il ticket non è dovuto alla cessazione del contratto a termine, poiché il datore, relativamente a questo contratto, paga un contributo addizionale finalizzato a finanziare la Naspi.
Qualora un lavoratore venisse licenziato nei 3 mesi di finestra di attesa per accedere alla pensione anticipata, cosa succederebbe?
La pensione anticipata prevede, al raggiungimento dei 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne, un'attesa di 3 mesi per la decorrenza della pensione. Una volta raggiunti i contributi richiesti per l'accesso alla pensione, il lavoratore può anche scegliere di smettere di lavorare. Durante i 3 mesi di finestra di attesa, quindi, è una scelta del lavoratore se continuare a lavorare, lavorare in parte o non lavorare affatto. Ovviamente se il lavoratore dovesse decidere di non lavorare, per il periodo in cui non lavora non gli spetterebbe né stipendio né pensione, poiché quest'ultima decorre solamente dal primo giorno successivo ai tre mesi di finestra.
Cosa succederebbe, invece, se l'azienda chiudesse nei tre mesi di finestra? Se l'azienda dovesse chiudere, fallire o licenziare nel periodo di finestra di attesa, il lavoratore potrebbe richiedere l'indennità di disoccupazione Naspi che sarebbe corrisposta fino al giorno precedente di decorrenza della pensione.
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