La rendita è un contratto con il quale una parte si obbliga a corrispondere periodicamente una somma di denaro o altre cose fungibili in favore di un soggetto beneficiario.
Il contratto di rendita può essere vitalizio o perpetuo, a titolo gratuito o a titolo oneroso. Si tratta di un contratto di durata, e proprio per questo vengono applicate le norme relative ai contratti ad esecuzione continuata.
In questo articolo scopriremo meglio che cos’è e qual è la natura della rendita vitalizia, quali sono i soggetti coinvolti, quanto dura, quali sono le disposizioni applicabili in ambito di nullità e risoluzione e, infine, come si calcola.
Si tratta, come detto, di una forma contrattuale con cui un soggetto dispone la corresponsione in rate periodiche di una somma di denaro a favore di un altro soggetto. È un contratto aleatorio, in quanto la rendita vitalizia, come dice il nome stesso, è legata alla durata della vita del beneficiario.
Quindi, la durata stessa del contratto dipende dalla durata della vita del soggetto che beneficia della rendita, ed è questo che dà la caratteristica di aleatorietà alla rendita vitalizia. Perché questo carattere aleatorio sia soddisfatto, però, è necessario che la durata della vita del beneficiario sia effettivamente incerta.
Ciò significa che non sarà valida la costituzione di una rendita vitalizia nei confronti di un soggetto con alto rischio di morte imminente, magari perché soggetto ad una grave patologia.
La rendita perpetua, a differenza di quanto avviene per quella vitalizia, non è legata intimamente alla vita del beneficiario, ma si estende anche a favore degli eredi del beneficiario. L’obbligato, quindi, deve corrispondere la rendita in perpetuo, ossia potenzialmente per sempre.
La rendita perpetua è di fatto, oggi, un tipo di contratto sempre meno utilizzato e ormai in disuso. Ciò perché si tratta di un meccanismo che obbliga la parte contraente a corrispondere una somma di denaro potenzialmente all’infinito, e questo sistema non sarebbe in linea con il nostro ordinamento.
L’unico motivo per cui è stato tollerato questo tipo di contratto è che, nell’ipotesi di rendita perpetua, esiste la possibilità del riscatto della rendita: l’obbligato, cioè, può liberarsi da questo impegno tramite una dichiarazione unilaterale e il pagamento di una somma di denaro.
L’art. 1872 Codice civile così recita:
"La r. v. può essere costituita a titolo oneroso, mediante alienazione di un bene mobile o immobile, o mediante cessione di un capitale. La r. v. può essere costituita anche per donazione o per testamento, e in questo caso si osservano le norme stabilite dalla legge per tali atti."
Il contratto di rendita, quindi, può essere stipulato a titolo gratuito o a titolo oneroso.
Nel primo caso, l’obbligato si impegna a corrispondere una somma di denaro periodicamente, senza ricevere nulla in cambio. In questo caso, l’atto di costituzione della rendita sarà soggetto alle imposte sulle donazioni.
Nel caso della rendita a titolo oneroso, l’impegno del soggetto che versa il denaro a rate periodiche è compensato dal trasferimento, da parte del beneficiario, di un immobile o di una somma di denaro.
Se è vero che la forma più comune di contratto di rendita vitalizia è quella disposta rispetto alla durata della vita di un solo soggetto beneficiario, è vero anche che essa non costituisce l’unica forma di rendita vitalizia possibile.
La rendita si può infatti costituire:
Come stabilito dall’art. 1876 Codice civile, un contratto di rendita vitalizia è nullo se viene stipulato a favore di una persona deceduta al momento della costituzione della rendita. Ciò rende ancora più chiaro il concetto per cui la validità di questa tipo di rendita deve essere legata all’aleatorietà della durata della vita del beneficiario.
L’art. 1877 stabilisce invece che il creditore di una rendita vitalizia costituita a titolo oneroso può chiedere la risoluzione del contratto se il promittente non gli dà le garanzie pattuite, oppure le diminuisce, andando così a discapito della tutela creditoria.
È possibile calcolare a quanto ammonterà nel totale l’importo da versare tenendo in considerazione la speranza di vita. Secondo i dati Istat, attualmente per gli uomini è di 80,9 anni e per le donne di 85,2 anni: la media è quindi di 82,3 anni.
Usando questo parametro come riferimento, diventa quindi possibile valutare la convenienza della rendita stessa. Ponendo il caso di avere, a 65 anni, un fondo di 100.000 euro, e di volerlo trasformare in una rendita (per sé o per un beneficiario): la somma erogata annualmente sarà calcolata sulla media di vita restante – circa 20 anni, per un totale di circa 5.000 € annui.
Rimane in ogni caso da considerare che il capitale dedicato alla rendita vitalizia è soggetto ad una serie di costi (ad esempio i costi di attivazione, gestione e liquidazione della rendita) e possibili rivalutazioni (è il caso, ad esempio, dei capitali inseriti all’interno di fondi pensione), che fanno sì che l’importo effettivamente percepito possa essere inferiore o superiore alla cifra del capitale di partenza.
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