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Recupero crediti

Recupero crediti: come il creditore può (e non può) evitare la procedura esecutiva e soddisfare il suo diritto?

Una delle preoccupazioni principali del creditore è come recuperare il suo credito qualora il debitore non paghi. Gli strumenti predisposti dall’ordinamento (c.d. procedura esecutiva) non sempre sono idonei a soddisfare il diritto creditorio e ciò, soprattutto, a seguito delle “lungaggini processuali” che costringono il creditore a lunghi (e spesso infruttuosi) tempi di attesa. Come evitare tutto questo?

E’ innanzitutto necessario premettere che il sistema volto a permettere al creditore la realizzazione del suo diritto ruota intorno al principio della responsabilità patrimoniale del debitore: abolita la sanzione penale, il debitore inadempiente non è più privato della sua libertà ma piuttosto risponde con il proprio patrimonio. L’art. 2741 c.c. fissa una regola secondo cui i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore: si tratta del principio della par conditio creditorum che trova applicazione quando vi sia pluralità di creditori di un unico debitore sicché, essendo unico il patrimonio, si porrà un problema di parità di trattamento. 

Il principio della par conditio non è tuttavia assoluto, prevedendo la legge cause legittime di prelazione: sono tali i privilegi, il pegno e le ipoteche. In presenza di esse il creditore che ne sia titolare (c.d. creditore privilegiato) è preferito, rispetto agli altri creditori (c.d. creditori chirografari). Il creditore munito di causa di prelazione su uno specifico bene può aggredirlo anche se acquistato da terzi (c.d. diritto di sequela) mentre il creditore chirografario deve, all’uopo, aver prima esperito vittoriosamente l’azione revocatoria.

Tale garanzia deve peraltro essere mantenuta nell’ambito dei principi posti a tutela del debitore e degli altri creditori: ai sensi dell’art. 2744 c.c. 

È NULLO IL PATTO COL CUI SI CONVIENE CHE, IN MANCANZA DEL PAGAMENTO DEL CREDITO NEL TERMINE FISSATO, LA PROPRIETA DELLA COSA IPOTECATA O DATA IN PEGNO (O IN ANTICRESI EX ART. 1963 C.C.) PASSI AL CREDITORE

Si tratta del c.d. divieto di patto commissorio.

Si pensi, esempio, al caso di Tizio che vanti un credito nei confronti di Caio e il credito sia garantito da pegno/ipoteca. Se Caio non paga, Tizio non diventa automaticamente proprietario del bene offerto in garanzia ma dovrà avviare la rituale procedura di esecuzione forzata (decreto ingiuntivo, precetto, pignoramento etc.).

La ratio del divieto si rinviene nell’esigenza di evitare l’approfittamento dello stato di debolezza del debitore e garantire, altresì, la par condicio creditorum.
La giurisprudenza è costante nel sostenere che non è possibile, in astratto, identificare una categoria di negozi soggetti alla nullità di cui all’art. 2744 c.c., occorrendo invece riconoscere che qualsiasi negozio può integrare tale violazione nell’ipotesi in cui venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall’ordinamento giuridico, di far ottenere al creditore la proprietà del bene dell’altra parte nel caso in cui questa non adempia la propria obbligazione (Cass Civ. Sez. II, 20 febbraio 2013, n. 4262). Più volte, infatti, è stata ritenuta la nullità (ex art. 1344 c.c. per frode alla legge), di atti negoziali di per sé astrattamente leciti in quanto finalizzati alla violazione o elusione del divieto del patto commissorio (Cass. Civ. Sez. II, 10 marzo 2011, n. 5740).

In applicazione di questi principi, dunque, anche un CONTRATTO PRELIMINARE DI COMPRAVENDITA può incorrere nella sanzione dell'art. 2744 c.c., ove risulti l'intento delle parti di costituire con il bene promesso in vendita una garanzia reale in funzione dell'adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore, sì da stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi (Cass. Civ. Sez. II  21 maggio 2013 n. 12462)   È evidente, peraltro, che, in tal caso, in tanto può configurarsi un illecito patto commissorio, in quanto i contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che l'effetto definitivo e irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell'inadempimento del debitore-promittente venditore, rimanendo, in caso contrario, il bene nella titolarità di quest’ultimo (Cass. Civ. 10 febbraio 1997, n. 1233). A titolo esemplificativo si pensi al caso di Caio (debitore) che stipuli un contratto preliminare con Tizio (creditore) in cui si stabilisca che  il contratto definito di vendita verrà sottoscritto nel caso in cui Caio (debitore-venditore promittente) non adempia al debito nei confronti di Tizio.

Analoghe considerazioni valgono nel caso di VENDITA CON PATTO DI RISCATTO O DI RETROVENDITA ovvero la compravendita caratterizzata dal fatto che il venditore si riserva il diritto di riacquistare la proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo, delle spese legittimamente fatte per la vendita e di quelle necessarie alla conservazione del bene. Secondo la giurisprudenza di legittimità  la vendita in esame è nulla quando il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o meno l'obbligo di restituire le somme ricevute. La predetta vendita, infatti, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'art. 2744 c.c., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime, perciò, una causa illecita che rende applicabile, all'intero contratto, la sanzione dell'art. 1344 c.c. (Cass. Civ. Sez. II, 20 luglio 2001, n. 9900)

Diversamente, esula dalla violazione del divieto l’ipotesi in cui:

  • manca la prova del mutuo
  • la vendita sia pattuita allo scopo non già di garantire l'adempimento di un'obbligazione ma di soddisfare un precedente credito rimasto insoluto
  • manchi l'illecita coercizione del debitore a sottostare alla volontà del ereditare, accettando preventivamente il trasferimento di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito che viene a contrarre.

L'illiceità anzidetta è poi esclusa, pur in presenza di costituzioni di garanzie che postulano un trasferimento di proprietà, qualora queste siano integrate da schemi negoziali che il menzionato abuso escludono in radice, come avviene nel caso di:

  • pegno irregolare (art. 1851 c.c.), 
  • riporto finanziario
  • c.d. patto marciano

In particolare, il patto marciano è il patto in virtù del quale al termine del rapporto si procede alla stima ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell'importo eccedente l'entità del credito. E’ questo il caso di Tizio (creditore) che, insoddisfatto a seguito dell'inadempimento di Caio (debitore), può ottenere la proprietà del bene dato in pegno o ipotecato pagando l’eventuale valore eccedente l'ammontare del credito garantito. In altre parole Tizio sarà obbligato a restituire al debitore la relativa differenza.

Evidente è l’attitudine della clausola ad impedire che il creditore, in caso di inadempimento del debitore, si appropri di un bene di valore superiore all’ammontare del credito: l’effetto salvifico che connota il patto deriva dall’idoneità a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra prestazioni e dalla capacità di scongiurare che l’attuazione coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco. 

La giurisprudenza indica altresì quali siano i tratti la clausola marciana affinché possa neutralizzare l’operatività del divieto “di risultato” individuato all’art. 2744 c.c.. In particolare, i giudici di legittimità pongono l’accento sulla necessità di prevedere, per il caso ed al momento dell’inadempimento, un procedimento volto alla stima del bene, entro tempi certi e con modalità definite, che assicurino la presenza di una valutazione imparziale, in quanto ancorata a parametri oggettivi e automatici, oppure affidata a persona indipendente ed esperta la quale a detti parametri farà riferimento al fine della corretta determinazione dell’an e del quantum della eventuale differenza da corrispondere al debitore. 

Il merito di una simile clausola sta dunque nel fissare la stima del bene trasferito a criteri obiettivi, neutralizzando in tal modo l’asimmetria a danno del debitore: l’essenziale è che risulti, dalla struttura del patto, che le parti abbiano in anticipo previsto che, nella sostanza dell’operazione economica, il debitore perderà eventualmente la proprietà del suo bene per un prezzo giusto, determinato al tempo dell’inadempimento, perché il surplus gli sarà senz’altro restituito (Cass. Civ. 28 gennaio 2015, n. 1625)

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