L’autoriciclaggio è una attività illecita che viene compiuta da chi ha commesso un delitto, per dissimulare concretamente i proventi o i beni ottenuti illegalmente. Vediamo come viene punito.
Anche chi non è un esperto in materia sa che, chi commette un delitto, ha la necessità di fare sparire i “soldi sporchi”, o altri beni ottenuti illegalmente.
Lo scopo è quello di rendere difficile o impossibile rintracciare gli stessi, e collegarli a traffici illeciti. Nella maggior parte dei casi l’autore del reato non è lo stesso soggetto che si occupa di riciclare i proventi. Si tratta quindi di due situazioni diverse.
Da qualche anno, però è stata introdotta una nuova norma volta a punire l’autoriciclaggio, ovvero chi dopo avere commesso un delitto, si preoccupa anche di ripulire i proventi per ostacolare la giustizia e per cancellare tutte le tracce relative all’operazione effettuata.
Vediamo di cosa si tratta.
Secondo il codice penale chi ricicla denaro o altre utilità provenienti da delitti per ostacolare la loro provenienza commette un reato punibile con la reclusione da e a 12 anni e una multa da 5 mila a 25 mila euro, come sottolinea l’art. 648-bis c.p.:
chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo; ovvero compie in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 5.000 a euro 25.000.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
Quanto sopra descritto rappresenta il cosiddetto riciclaggio, e ha lo scopo di combattere l’impiego di denaro proveniente da attività criminali. In realtà non si tratta soltanto di soldi, visto che di parla anche di “altre utilità”.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 15092/2007 ha sottolineato che lo smontaggio e la successiva vendita dei singoli pezzi di un’auto, per occultare la provenienza del bene, rientra in tale fattispecie delittuosa.
Quando, chi ricicla è anche l’autore del delitto dal quale proviene il denaro o il bene, si parla di autoriciclaggio. Diversamente da quanto descritto dall’art. 648-bis c.p, quindi, in questo caso viene punito chi occulta i beni provenienti da azioni criminali che lui stesso ha commesso.
Si tratta di un reato introdotto da poco, ovvero con la legge n.186 del 15 dicembre 2014, con l’obiettivo di sanzionare chi autoricicla ciò che ha ottenuto da delitti commessi in precedenza.
Spesso infatti le risorse vengono investite in attività economiche per ottenere ulteriori guadagni, che in ogni caso derivano a monte da denaro o beni “inquinati”. In particolare i reati di natura tributaria, societaria e fallimentari si prestano per essere presupposto dell’autoriciclaggio.
Il riferimento normativo per quanto riguarda l’autoriciclaggio è dato dall’art. 648-ter 1 c.p.:
Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa.
Il bene giuridico protetto è l’ordine pubblico finanziario ed economico, connesso alla libera concorrenza e all’amministrazione della giustizia. Gli intenti, quindi, sono plurioffensivi.
Il soggetto attivo è rappresentato da chiunque ha commesso un delitto non colposo, e ha la volontà di impiegare, sostituire o trasferire il denaro o altre utilità ottenute illegalmente. Viene considerato infatti il dolo specifico.
L’aspetto determinante è quello che riguarda la concreta capacità di tali azioni di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa dei beni.
Il legislatore, infatti, non a caso inserisce l’avverbio “concretamente”, per sottolineare che la condotta deve avere una effettiva capacità dissimulatoria per potere essere punita. Non è sufficiente che la stessa provochi soltanto un rallentamento alla operazioni di identificazione.
La consumazione del reato è istantanea, nel senso che avviene nel momento in cui vengono autoriciclati i beni, e da tale istante inizia a decorrere anche la prescrizione, secondo quanto previsto dall’art. 157 c.p.:
La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
La punibilità, comunque, viene esclusa se i beni vengono utilizzati per mero godimento personale, dato che non vengono reimpiegati per ostacolare la loro individuazione.
Nel primo paragrafo abbiamo accennato alcune differenze tra il riciclaggio e l’autoriciclaggio, ma proviamo ora ad approfondire il tutto.
Il punto cruciale riguarda l’autore che del reato. che nel secondo caso deve essere chi ha commesso il delitto precedentemente, mentre nel primo il colpevole deve essere un altro soggetto.
La condotta di chi autoricicla può comprendere varie azioni, ovvero:
dei beni, quindi si tratta di operazioni più ampie rispetto a quelle intraprese da chi ricicla, che si occupa sono di sostituzione e trasferimento.
Sebbene le modalità operative siano simili, il legislatore ha precisato che si può parlare di autoriciclaggio soltanto se gli operatori sul campo non sono in grado di ricostruire l’identificazione della provenienza delittuosa dei proventi.
In pratica vengono sanzionate soltanto le condotte con particolare capacità ingannatoria e non di certo le operazioni effettuate in modo trasparente e tracciabile.
Per concludere è importante citare anche il contenuto dell’art. 648 ter c.p.:
Chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli articoli 648 e 648 bis, impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da cinquemila euro a venticinquemila euro.
La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale.
Come possiamo notare del delitto di reimpiego si parla soltanto di una particolare condotta, ovvero l’impiego. Quindi a differenza dell’autore dell’autoriciclo, in questo caso l’azione è soltanto una.
L’avverbio “concretamente” utilizzato dal legislatore, come abbiamo visto prima, si riferiva a tutte le azioni quindi impiego, trasferimento e sostituzione, pertanto possiamo affermare che la condotta dissimulatoria deve esserci anche per quanto riguarda il cosiddetto “rectius autoreimpiego”, cioè il reimpiego.
Ciò è valido anche se non è espressamente indicato nell’art, 648-ter.
La Cassazione, infatti, ha chiarito tale concetto con la sentenza n. 33076/2016, specificando che i due articoli sono in rapporto di specialità.
Va detto però che, quando si tratta di impiego la destinazione dei proventi illeciti è circoscritta alle attività economiche e finanziarie, mentre chi autoricicla può farlo anche in merito ad attività imprenditoriali o speculative.
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