L'articolo 52 del Codice Deontologico Forense sottolinea l'importanza del rispetto e della cortesia nell'esercizio della professione legale, contribuendo così a mantenere alti standard etici e professionali all'interno della comunità giuridica.
Un avvocato che offende la controparte in un atto legale dimostra una condotta professionale inappropriata e poco ética. Questo tipo di comportamento mina la credibilità dell'avvocato e può danneggiare la sua reputazione e quella della professione legale nel suo complesso. L'uso di espressioni offensive o sconvenienti è inaccettabile in qualsiasi contesto legale, poiché va contro i principi di rispetto reciproco e cortesia che dovrebbero essere fondamentali nell'ambito della giustizia. Gli avvocati sono tenuti a rappresentare i loro clienti con integrità e professionalità, e l'uso di linguaggio offensivo va in netto contrasto con questi valori.
L'articolo 52 del Codice Deontologico Forense rappresenta una pietra angolare nell'etica e nella condotta professionale degli avvocati e stabilisce in modo chiaro e inequivocabile che gli avvocati debbano astenersi dall'utilizzare un linguaggio offensivo o inappropriato quando redigono documenti legali o nell'esercizio generale della loro professione. Questo divieto si applica sia nei confronti dei colleghi avvocati, dei magistrati, delle parti coinvolte nei procedimenti legali, sia nei confronti di terzi.
È interessante notare che questa disposizione del Codice Deontologico sembra richiamare un principio già presente nel codice di procedura civile, anche se con una specificazione soggettiva adeguata. Ciò implica che, oltre all'obbligo generale di evitare il linguaggio offensivo, potrebbero esserci situazioni in cui è richiesta una particolare attenzione e rispetto nella comunicazione, a seconda del contesto e delle persone coinvolte.
Effettivamente, l'Articolo 89 del codice di procedura civile stabilisce chiaramente che è vietato alle parti e ai difensori utilizzare espressioni sconvenienti o offensive, sia nei documenti presentati che nei discorsi pronunciati davanti al giudice. Il secondo comma di questa disposizione concede al giudice il potere di ordinare la rimozione delle frasi offensive o sconvenienti tramite un'apposita ordinanza. Inoltre, il codice prevede che la parte offesa abbia il diritto di richiedere e ottenere un risarcimento per il danno subito, anche se non di natura patrimoniale, derivante da tali espressioni. Questo risarcimento sarà stabilito dal giudice nella sentenza che decide la causa.
È importante notare che sia l'articolo 89 del codice di procedura civile che l'articolo 52 del codice deontologico forense fanno una distinzione tra espressioni offensive e sconvenienti. Questi due aggettivi indicano concetti separati: mentre le espressioni offensive danneggiano la reputazione e il valore di una persona, quelle considerate sconvenienti rappresentano un grado di lesività minore, ma comunque in contrasto con le necessità dell'ambiente processuale e della funzione difensiva.
In questo contesto, è fondamentale evidenziare che nemmeno la reazione punitiva o la tentazione di provocare la controparte, o addirittura l'uso reciproco di insulti, possono giustificare o scagionare dalle infrazioni deontologiche. Tali comportamenti, al massimo, possono influire sulla quantificazione delle sanzioni.
Per quanto riguarda le numerose decisioni disciplinari che hanno trattato questo tema, emergono molte espressioni che vanno inequivocabilmente contro le norme di correttezza professionale. Alcune di queste mirano indiscutibilmente a screditare la controparte ma, tuttavia, le espressioni offensive sono più spesso riservate ai colleghi.
È quindi indiscutibile che dichiarazioni offensive dovrebbero essere evitate nella stesura dei documenti legali. Tale evitamento, non solo per motivi deontologici, ma anche per preservare la reputazione dell'avvocato, rappresenta un segno di maturità professionale. Cadere nel volgare, senza dubbio, non onora la professione legale e, in alcuni casi, può rivelarsi come una manifesta debolezza argomentativa, svelando l'incapacità di affrontare il merito delle questioni senza ricorrere a denigrazioni personali.
Dato l'importante contesto sanzionatorio derivante dal comportamento sopra analizzato, è essenziale considerare le distinzioni tra le conseguenze previste nella sfera civile, come previsto dall'articolo 89 del codice di procedura civile, e quelle nella sfera deontologica, regolamentate dall'articolo 52 del codice deontologico forense.
Questa distinzione tra i due contesti, civile e deontologico, è fondamentale per comprendere appieno le implicazioni delle azioni in questione e le relative conseguenze, garantendo al contempo un equo bilanciamento tra il diritto alla difesa e la necessità di preservare la dignità e il decoro nel contesto legale.
La sentenza n. 216/2020 della Corte d'Appello di Potenza ha stabilito che l'avvocato che, all'interno degli atti difensivi, utilizza frasi e espressioni sconvenienti che vanno oltre la necessità di difendere i propri assistiti o risultano eccessive rispetto a questa esigenza, è tenuto a risarcire il collega offeso. Questo caso si è sviluppato quando un avvocato ha citato in giudizio un collega e i suoi assistiti, richiedendo che i convenuti fossero condannati in solido a risarcire i danni morali, materiali e patrimoniali subiti dall'avvocato stesso, ammontanti a 150.000 euro. Inoltre, l'avvocato ha chiesto che la sentenza fosse pubblicata sul quotidiano "La Gazzetta del Mezzogiorno".
La Corte d'Appello di Potenza, al termine dell'analisi della vicenda, ha ritenuto che l'avvocato convenuto aveva effettivamente offeso il collega attraverso l'uso di frasi e espressioni inappropriati all'interno degli atti difensivi, superando così la legittima esigenza di difendere i propri assistiti. In conseguenza di ciò, è stata emessa una sentenza che ha stabilito l'obbligo per l'avvocato autore dell'offesa di risarcire il collega offeso per i danni subiti, compresi danni morali, materiali e patrimoniali, per un totale di 150.000 euro. Inoltre, la sentenza ha disposto la pubblicazione del verdetto sulla "La Gazzetta del Mezzogiorno" come parte delle misure sanzionatorie.
Questo caso evidenzia l'importanza di un comportamento professionale e rispettoso tra colleghi avvocati e la necessità di evitare l'uso di linguaggio sconveniente o eccessivamente aggressivo negli atti legali, al fine di preservare la dignità e l'etica della professione legale.
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