Il contratto a termine prevede una specifica scadenza, a differenza di quello a tempo indeterminato. Licenziamento e dimissioni volontarie o per giusta causa funzionano in modo diverso, vediamo come.
Nel nostro Paese esiste una tipologia comune, ovvero la più frequente, di rapporto lavorativo cioè quella subordinata a tempo indeterminato. Quando un individui sta cercando un lavoro fisso, stabile e sicuro mira proprio ad ottenere un contratto di questo tipo.
Ad ogni modo, non è sempre possibile riuscire a sottoscrivere un rapporto lavorativo stabile e senza scadenza. Soprattutto negli ultimi anni, a causa della forte crisi economica che ha colpito anche l’Italia, i posti di lavoro scarseggiano.
Per venire incontro alle esigenze aziendali, la legge prevede anche altre tipologie, che devono essere utilizzate rispettando precisi limiti. Ad esempio è possibile essere assunti a tempo indeterminato, ovvero con un contratto a termine.
Come indica la parola stessa, in questo caso esiste una precisa scadenza, dopo la quale la prestazione è da considerarsi conclusa a tutti gli effetti, senza la necessità di ricorrere ad un licenziamento o alle dimissioni per porvi fine.
Tuttavia il rapporto può essere prorogato o rinnovato. Vediamo come.
Come abbiamo accennato un dipendente può essere assunto a tempo determinato, ovvero stabilendo una precisa scadenza. Si tratta di una modalità molto utile per le aziende che necessitano di personale, per un periodo limitato.
Può anche succedere che, un datore di lavoro desideri mettere alla prova un soggetto prima di farlo entrare definitivamente in azienda. Con il tempo indeterminato, infatti, è difficile licenziare un lavoratore a meno che non metta in atto comportamenti gravi da giustificare un licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo.
In realtà è anche possibile lasciare a casa un dipendente per motivi aziendali, ma è necessario dimostrare l’effettiva esigenza di ridurre il personale per problemi organizzativi.
Ad ogni modo, pur non essendo l’obiettivo lavorativo di un soggetto, il contratto a termine permette di entrare in un ambiente lavorativo, e dimostrare di essere un elemento valido, per spingere il datore di lavoro a mutare la tipologia contrattuale.
Alla scadenza, comunque, è possibile ottenere eventualmente anche la proroga o il rinnovo contrattuale, se il datore di lavoro ha intenzione di prolungare il rapporto lavorativo.
Le norme che disciplinano tale contratto sono state modificate di recente con l’entrata in vigore del Decreto Dignità. Sono stati fissati, infatti, dei limiti di durata, per evitare che tali tipologie contrattuali vengano utilizzate per evitare di impegnarsi seriamente nei confronti dei lavoratori.
Il contratto a termine, ora, può avere una durata massima di 24 mesi e deve essere indicata obbligatoriamente una causale ad ogni rinnovo contrattuale. Ci possono essere, inoltre, un massimo di 4 proroghe, e si devono pagare contributi aggiuntivi.
Le causali possono essere le seguenti:
Come sottolineato nel paragrafo precedente, un contratto a termine può essere prorogato di fatto modificando la data di scadenza dello stesso. Ciò significa che le parti possono continuare a mantenere saldo il rapporto, facendo slittare la scadenza in avanti nel tempo.
Si tratta di una pratica che per certi versi è utile, dato che il soggetto può continuare a lavorare, ma da un altro può essere pericolosa per la mancanza di sicurezza e stabilità che non permettono all’individuo di avere certezze. Infatti, passare da una proroga all’altra non è piacevole.
Per questo motivo il legislatore ha deciso di introdurre dei limiti.
Di fatto un contratto a termine può durare 12 mesi, secondo la legge, proroghe comprese. Tuttavia è consentito superare tale limite in presenza di alcune causali, come abbiamo specificato sopra, ovvero se c’è la necessità di sostituire altri lavoratori, o se si verifica un incremento improvviso e non programmabile delle attività da svolgere.
Se non si verificano tali causali l’accordo si modifica in modo automatico in tempo indeterminato, se si supera il limite dei 12 mesi.
In ogni caso, anche con la presenza di regolari causali, un rapporto di lavoro a tempo determinato non può durare più di 24 mesi.
Fino ad ora abbiamo visto cosa prevede la legge in merito alla proroga, ma cosa accade per il rinnovo?
Il rinnovo consiste nell’attivazione di un nuovo contratto a termine. In tal caso è necessario che tra i due rapporti intercorra uno stacco temporale specifico, cioè:
Ogni rinnovo, comunque, deve essere sempre giustificato da specifiche causali.
Anche in questo caso non si può superare il limite massimo complessivo di 24 mesi.
La proroga e il rinnovo di un contratto a termine hanno, comunque, dei costi diversi.
Per rinnovare si sostengono dei costi più elevati, dovendo pagare un contributo addizionale del 1,40% all’Inps, in relazione alla retribuzione imponibile del lavoratore.
Si tratta di un cifra utile per finanziare la Naspi, ovvero l’indennità di disoccupazione. Essa cambia ogni volta che viene rinnovato il contratto, nel seguente modo:
Quando si tratta di un rapporto di lavoro a tempo determinato, anche le regole inerenti al licenziamento sono diverse rispetto a quelle a tempo indeterminato.
Il fatto che esista già una scadenza prestabilita, infatti, cambia le regole del “gioco”.
In particolare è possibile licenziare un lavoratore solo per:
Se il recesso è illegittimo il dipendente ha diritto ad essere reintegrato e ad ottenere tutti gli stipendi non versati durante l’inattività. Dal totale, tuttavia, devono essere tolti i proventi ricevuto dallo stesso per altre attività svolte dopo essere stato licenziato, o che avrebbe potuto svolgere adottando una diligenza ordinaria.
Il contratto a termine, avendo una precisa scadenza, prevede anche delle regole diverse da seguire. Anche per quanto riguarda le dimissioni volontarie ci sono presupposti differenti.
Il dipendente, infatti, può dimettersi solo per giusta causa, e non per desiderio personale di cambiare lavoro.
Quindi, egli può decidere di rompere il rapporto lavorativo soltanto se può imputare delle colpe gravi al datore di lavoro. Ad esempio se non vengono pagati gli stipendi, se non vengono rispettate le norme antinfortunistiche, in caso di mobbing, ecc.
Però, il dipendente costretto a dimettersi per giusta causa, ha diritto al risarcimento danni corrispondente all’ammontare delle retribuzioni non ricevute durante il periodo di inattività. Ad ogni modo non può ricevere l’indennità sostitutiva del preavviso.
Il lavoratore a tempo determinato ha il diritto di percepire la Naspi, alla scadenza dello stesso, o in seguito a licenziamento o dimissioni.
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