La diffamazione sui social è considerata un’aggravante del reato dato che le frasi offensive e lesive della reputazione di un soggetto possono essere viste da molti, arrecando dei danni maggiori.
Al giorno d’oggi avere una buona reputazione online è fondamentale. Ormai le piattaforme virtuali in un certo senso si sono sostituite, o almeno si sono affiancate, a quelle reali, presenti nelle città.
Trovarsi in questi luoghi significa comunicare con gli amici, ma anche incontrarne di nuovi. E’ proprio qui che si concretizza la vita sociale di un soggetto. SI tratta del cuore delle relazioni sociali, importantissime per permettere a un individuo di vivere in modo dignitoso e soddisfacente.
Ma cosa avviene se, proprio all’interno di tali contesti, l’interessato diventa vittima di offese o di diffamazioni in grado di ledere la sua reputazione? Inevitabilmente subisce dei danni morali e psicologici.
In modo particolare la diffamazione sui social, primi tra tutti Instagram e Facebook, è considerata un’aggravante del reato, visto che coinvolge un numero elevato di utenti.
La diffamazione è un reato previsto dal codice penale, e si verifica quando la reputazione di un soggetto viene lesa in pubblico, mentre l’interessato non è presente per potersi in qualche modo difendere alle offese.
Per evitare fraintendimenti è utile sottolineare subito che, si tratta di una ipotesi diversa dall’ingiuria, da poco depenalizzata, che si verifica quando le offese vengono fatte direttamente al soggetto interessato. In tal caso il legislatore ha considerato il comportamento meno grave, visto che il soggetto può reagire prontamente. Dal 2016 infatti chi commette tale illecito può essere punito soltanto civilmente.
In individuo viene diffamato sia che le voci “messe in giro” siano vere, sia che siano false. Non è rilevante infatti che l’argomento sia vero, ma il fatto che riesca ad innescare il dubbio su altri, rovinando e deteriorando i rapporti sociali di un individuo.
L’art. 595 del codice penale, infatti, sottolinea che:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Come possiamo leggere, si possono verificare situazioni diverse, ad esempio:
Ad ogni modo, perché si possa parlare di atti diffamatori ci devono essere i seguenti requisiti:
La diffamazione sui social, o più in generale attuata attraverso dei mezzi di comunicazione è considerata un’aggravante del reato.
Il legislatore, infatti, ha deciso di punire in modo più pensante ci sfrutta le potenzialità del web o della stampa per diffondere informazioni diffamanti.
Risulta ovvio che una frase detta tra colleghi o amici, nel posto di lavoro o in un locale, ha un peso diverso rispetto a quella pubblicata online su Facebook o Instagram.
In realtà anche la diffamazione sui social può avere un grado di gravità differente. Ad esempio scrivere un post su Facebook, visibile solo agli amici, può restare ristretto all’interno di una determinata cerchia, sebbene possa essere condiviso e prendere strade imprevedibili.
Se si tratta di Instagram, però, la situazione è da subito più grave, dato che inserendo un hashtag è possibile rendere il post subito di grande portata mediatica.
Ad ogni modo, come precisa l’art. 595 c.p:
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro
Ciò significa che la legge considera la diffamazione sui social alla pari di quella a mezzo stampa, quindi potenzialmente molto più pericolosa.
Tale legge, comunque, in alcuni casi potrebbe entrare in conflitto con il cosiddetto diritto di cronaca, che fonda le proprie basi sulla libertà di stampa, sancita dall’art. 21 della Costituzione, come segue:
Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione
A questo punto, viene spontanea una domanda. Se un soggetto è libero di esprimersi, perchè viene condannato per diffamazione sui social o con altri mezzi?
In giurisprudenza accade spesso che a prima occhiata alcuni diritti siano in conflitto tra loro. Inevitabilmente in alcuni casi ci sono dei limiti da rispettare.
In particolare il diritto di cronaca deve operare rispettando i seguenti requisiti, per evitare di sfociare nella diffamazione:
Il diritto di critica, e la satira, invece possono spingersi oltre, dato che per loro stessa natura possono essere soggettive e più estreme.
Fino ad ora abbiamo visto in quali casi si verifica il reato di diffamazione sui social, ma cosa deve fare la vittima per difendersi? Scopriamolo insieme.
Se lo scopo è quello di eliminare i post offensivi nel minor tempo possibile, si può contattare l’assistenza del social network stesso, segnalando l’abuso.
Ma, se l’obiettivo è quello di punire il responsabile, è necessario pazientare e seguire una strada diverse, per potere usufruire di prove utili a dimostrare i fatti.
E’ possibile recarsi presso la stazione più vicina dei Carabinieri per sporgere una querela, entro tre mesi dalla vicenda, inizialmente anche senza un avvocato penalista, anche se affidarsi fin da subito ad un professionista sarebbe consigliato per evitare di commettere errori.
I fatti devono essere descritti in modo chiaro e preciso, fornendo tutti i dettagli, anche quelli che apparentemente sembrano essere irrilevanti.
In seguito si avvierà la prima fase del procedimento penale, ovvero le indagini preliminari che hanno lo scopo di recuperare materiale a supporto dell’accusa.
Se ci sono elementi sufficienti il caso verrà rinviato a giudizio ed avrà luogo un vero e proprio processo penale, volto ad accusare il colpevole di diffamazione sui social.
La vittima può agire anche come parte civile, chiedendo un risarcimento danni per quanto ha subito.
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