La diffamazione su facebook è molto diffusa e si basa sugli stessi presupposti previsti per il reato nella “vita reale”. E’ possibile difendersi dimostrando quanto è successo con prove certe. Ci può essere un’azione penale, ma anche civile, per ottenere il risarcimento danni.
Negli ultimi anni i social network hanno invaso le nostre vite, ritagliandosi uno spazio sempre più importante e determinante.
Facebook in particolare è diventato uno strumento quasi indispensabile, che tutti noi utilizziamo nel tempo libero per cercare informazioni di attualità, ma anche per scopi ludici e divertenti. Molte delle nostre relazioni sociali si mantengono vive proprio grazie ai social, magari perchè non abbiamo il tempo per vedere alcuni amici di frequente, o per problemi legati alla distanza fisica.
Il risultato è che passiamo diverse ore collegati, soprattutto mentre siamo in pausa al lavoro, in viaggio nei mezzi pubblici, o semplicemente in relax nel divano di casa.
La vastissima diffusione e il grande utilizzo di questo social network hanno fatto sì che alcune problematiche si spostassero online, come appunto la diffamazione, sempre più praticata dai cosiddetti haters.
Vediamo allora di capire in cosa consiste il reato di diffamazione su Facebook, e quali sono le modalità per difendersi dagli attacchi.
La diffamazione è un reato che avviene quando la reputazione di un soggetto viene lesa in pubblico, mentre l’interessato non è presente per difendersi. Non è del tutto rilevante che l’argomento sia vero o meno, in quanto è sufficiente innescare un dubbio nelle gente per rovinare la vita sociale di un individuo.
Un concetto di questo tipo, entra spesso in conflitto con il diritto di cronaca, per il quale sono concessi margini più ampi. In particolare nei mezzi di informazioni è possibile raccontare fatti altrui solamente se sono di interesse pubblico e attuali, mantenendo comunque un linguaggio rispettoso.
Ma come viene considerato Facebook?
Il noto social network non viene equiparato ai mezzi di informazione, perciò eventuali critiche, offese, o racconti della vita privata altrui potrebbero sfociare nel reato di diffamazione.
L’art. 595 del codice penale, ci dice, infatti che:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a duemilasessantacinque euro.
Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro.
Abbiamo compreso che non è possibile criticare e ledere la reputazione altrui sui social, in quanto può essere considerato un vero e proprio reato.
Diverse volte la Corte di Cassazione si è espressa in merito, dichiarando che, chi insulta con commenti offensivi, o pubblica foto e post in grado di compromettere la dignità di un’altra persona si macchia del reato previsto dall’art 595 cp.
Ma, proviamo a vedere nei dettagli come è possibile distinguere un semplice e innocuo attacco da un vero e proprio reato.
Avviene un reato di diffamazione su Facebook, quando ci sono i seguenti presupposti:
In una sentenza del 2015 la Cassazione ha riconosciuto il reato di diffamazione per alcune frasi offensive pubblicate sulla bacheca di Facebook, considerandole un’aggravante del reato stesso in quanto il mezzo è potenzialmente in grado di coinvolgere moltissimi utenti, rendendo quasi impossibile bloccate le informazioni.
D’altro canto, però, sempre la Cassazione ha sottolineato la necessità che le frasi pubblicate siano concretamente offensive e lesive della reputazione, quindi non bastano alcuni commenti provocatori in una discussione per determinare il reato. Le offese devono essere davvero gravi e tali da rovinare la qualità della vita della vittima, compromettendo l’ambito personale, lavorativo o sociale.
In alcune particolari circostanze, anche se ci sono delle offese, non si tratta di diffamazione su Facebook, in particolare:
Se in base a quanto abbiamo detto finora ci rendiamo conto di essere vittime di un reato di diffamazione su facebook, possiamo agire in diversi modi.
La prima cosa da fare è segnalare il fatto al noto social network, con due procedure:
Il passo successivo è quello di sporgere una querela, anche senza un avvocato, sebbene sia sempre consigliato consultare un professionista. In ogni caso è possibile recarsi alla stazione dei Carabinieri, alla Polizia Postale o presso la Procura della Repubblica.
Quando si raccontano i fatti è necessario essere molto chiari e precisi, indicando tutti i dati necessari per iniziare un procedimento penale.
Se riteniamo di essere delle vittime di diffamazione online, dobbiamo innanzitutto bloccare il responsabile direttamente da Facebook e segnalarlo al noto social network.
Poi è necessario presentare una querela, entro tre mesi dal momento in cui si notano i commenti o i post offensivi.
Ma, non basta raccontare quanto è successo, bisogna dimostrare i fatti con prove concrete, ad esempio:
La Cassazione ha dichiarato che in mancanza dell’Ip di provenienza, non può scattare la condanna per diffamazione su Facebook, in quanto non è possibile risalire in modo preciso al reale autore delle messaggi.
L’indirizzo Ip, infatti, è un codice numerico che viene assegnato a ogni dispositivo nel momento della connessione, e permette di individuare la linea.
Non ci può essere responsabilità penale solamente in base a semplici indizi, sono necessarie prove certe, e il nome e cognome di un profilo social non sono considerati dei dati certi, in quanto potrebbe trattarsi di un profilo fake.
In ogni caso, una persona condannata per un reato di diffamazione su Facebook rischia la reclusione fino a un anno o una multa fino a 1.032 euro, se associato a un comportamento lesivo può aumentare a 2 anni di carcere e 2.065 euro di multa.
La causa civile è utile se oltre a condannare il colpevole, intendiamo chiedere il risarcimento dei danni.
Anche in questo caso è necessario avere a disposizione prove certe per la quantificazione del danno subito.
Molto spesso, comunque, è difficile stabilire a quanto possa ammontare il torto subito e si può chiedere il cosiddetto risarcimento in via equativa, ossia stabilito in base alle considerazioni del Giudice, anche in mancanza di supporti probatori.
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