Non è sempre possibile effettuare una denuncia per gli insulti subiti. Infatti, in seguito alla depenalizzazione dell’ingiuria, l’interessato può agire soltanto in sede civile per chiedere un risarcimento danni.
Nella vita quotidiana può succedere che, in preda a situazioni spiacevoli possano “scappare” parole pesanti. In molti casi queste vengono ignorate o possono portare ad ulteriori litigate. Ma cosa succede se viene superato il limite?
Una parolaccia o una offesa di troppo, soprattutto se dette davanti ad altre persone, magari durante l’assemblea di condominio, in mezzo alla strada, nel luogo di lavoro, o sui social possono provocare una reazione nella “vittima”.
E’ necessario, comunque, distinguere due diverse situazioni:
Come è possibile difendersi nelle due diverse ipotesi? E’ possibile denunciare il responsabile? Si può chiedere un risarcimento? Scopriamolo insieme nelle prossime righe.
Lasciare un commento negativo dopo avere mangiato in un ristorante, del tipo “il cibo fa schifo”, definire un soggetto come “uomo inutile”, o dare del “razzista” a qualcuno, in alcuni casi può essere considerato un reato, in altri no.
Anche sui social possono venire pubblicate delle offese. Quotidianamente possiamo leggere commenti di haters in varie pagine su Facebook, ma anche su profili su Instagram. Su whatsapp, poi, le conversazioni possono essere davvero pesanti quando due persone stanno litigando.
In tutti i suddetti casi, ma anche in altre ipotesi, si può parlare di insulti quando le parole sono in grado di esprimere emozioni forti. La vittima, infatti, può sentirsi umiliata, in imbarazzo, risentita, offesa, e angosciata.
Ad ogni modo, i non addetti ai lavori, non sempre capiscono cosa sia lecito dire o meno, in determinati contesti. Per questo motivo è utile fare il punto della situazione, sottolineando anche i recenti cambiamenti normativi in materia.
E’ importante non dimenticarsi che la legge considera in modo diverso le offese subite direttamente da quelle comunicate a terzi, verbalmente o a mezzo stampa o altri mezzi di comunicazione.
In pratica solamente nel secondo caso di parla di reato, quindi può essere fatta una denuncia per insulti.
Come abbiamo sottolineato nelle righe precedenti è possibile procedere denunciando alcuni insulti, soltanto se sono stati fatti in assenza della vittima, ovvero quando si tratta del reato di diffamazione.
A tal proposito è utile citare l’art. 595 c.p.:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a milletrentadue euro.
La pena, tuttavia, può essere più severa se:
La denuncia per insulti, in sostanza, può avvenire quando vengono lesi la reputazione e l’onore di un soggetto, mentre non è presente per difendersi. Diffondere il messaggio attraverso i mezzi di comunicazione, ad esempio stampa o web, viene considerata come una aggravante.
Ad ogni modo, vengono punite solo le condotte effettuate con dolo, ovvero con l’intenzione di provocare dei danni alla vittima.
Va precisato, però, che in alcuni casi quanto abbiamo appena detto va in conflitto con un altro diritto tutelato nell’art. 21 della Costituzione, cioè la libertà di stampa.
Per evitare fraintendimenti, è stato precisato che il cosiddetto diritto di cronaca può essere esercitato in un certo modo, ovvero rispettando:
Il diritto di critica e la satira, tuttavia, rappresentano delle eccezioni a tali regole, in quanto per la loro stessa natura devono trasmettere un messaggio in modo soggettivo, a volte provocatorio.
La denuncia per insulti, comunque, va fatta direttamente presso la sede dei Carabinieri più vicina. In realtà sarebbe più corretto parlare di querela di parte, quando non si procede d’ufficio ma solo la vittima può decidere di fare presente la situazione.
L’art. 120 c.p. afferma che:
Ogni persona offesa da un reato per cui non debba procedersi d'ufficio o dietro richiesta o istanza ha diritto di querela.
Per i minori degli anni quattordici e per gli interdetti a cagione d'infermità di mente, il diritto di querela è esercitato dal genitore o dal tutore.
La querela deve essere fatta entro 3 mesi dal momento in cui si conoscono i fatti.
La denuncia per insulti non può essere fatta se si tratta di ingiuria, in seguito alla depenalizzazione del 2016.
Quindi se un soggetto subisce delle offese di persona, ovvero mentre è presente per potersi difendere, non ha la facoltà di agire penalmente, ma solo in sede civile.
Cosa significa?
La diretta conseguenza a tale cambiamento è l’impossibilità di recarsi dai Carabinieri per fare presente quanto successo. L’unico modo per agire è la causa civile, quindi l’interessato deve affidarsi ad un bravo avvocato civilista per citare in giudizio la controparte.
Il procedimento può essere molto lungo, e non ci sono garanzie di potere vincere il processo ed ottenere un risarcimento danni.
Per chiarire è utile sottolineare che un post con offese su Facebook nel quale viene taggata una persona è considerato diffamazione, mentre un messaggio diretto su Messenger ingiuria
Il colpevole, oltre ad dovere risarcire i danni può essere costretto a pagare delle sanzioni pecuniarie da 100 a 12 mila euro. L’importo viene calcolato considerando la gravità del fatto, la personalità, e la reiterazione del comportamento.
Fino ad ora abbiamo detto che non è sempre possibile fare una denuncia per insulti. Ad ogni modo è sempre possibile chiedere un risarcimento danni, in sede civile.
Per procedere in tal senso, però, è indispensabile fornire delle prove certe del danno subito. Tale aspetto è particolarmente importante se si tratta di ingiuria, dato che si rischia di perdere la causa e di dovere pagare le spese processuali anche della controparte.
Solamente un avvocato esperto è in grado di consigliare al meglio il cliente, spiegando come conviene agire.
Va considerato anche che, in alcuni casi, pur avendo ragione e vincendo la causa, in seguito è effettivamente impossibile riuscire a recuperare la cifra di cui si ha diritto. Se il colpevole, infatti, è un nullatenente non è possibile ottenere il risarcimento.
Non avrebbe senso procedere con ulteriori azioni giudiziarie, ad esempio con il pignoramento dei beni.
Esiste una particolare situazione che deve essere trattata in modo diverso, rispetto a quanto abbiamo detto nelle righe precedenti, ovvero quando il responsabile è il coniuge.
In questo caso, infatti, la Cassazione ha sottolineato con la sentenza n. 5405/2018 che insulti e parolacce ripetute, anche se si tratta di pochi episodi possono integrare il reato di maltrattamenti familiari, descritto dall’art. 572 c.p.:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni
Anche pochi episodi, infatti, possono provocare sofferenza nella vittima, se il colpevole è un convivente o una persona vicina per questioni educative, quindi il coniuge ma anche fratelli, genitori e insegnanti.
Per maltrattamenti, vengono intesi anche i soprusi psicologici o verbali e non solo legioni o percosse.
La denuncia per insulti e per maltrattamenti familiari può essere fatta anche dall’ex coniuge, ma solo in presenza del requisito della convivenza.
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