In Italia lo sport è da sempre una componente fondamentale della vita sociale, culturale ed economica del Paese. Nonostante la sua diffusione a livello amatoriale e professionistico, per molto tempo la Costituzione non conteneva alcun riferimento esplicito al diritto allo sport.
In Italia lo sport è da sempre una componente fondamentale della vita sociale, culturale ed economica del Paese. Nonostante la sua diffusione a livello amatoriale e professionistico, per molto tempo la Costituzione non conteneva alcun riferimento esplicito al diritto allo sport.
Solo in tempi recenti, anche a seguito di una profonda evoluzione legislativa culminata con la riforma del settore, lo sport è stato finalmente riconosciuto come valore costituzionale e come diritto da tutelare in tutte le sue forme.
Con la Legge costituzionale 26 settembre 2023, n. 1, lo sport è entrato ufficialmente nella Costituzione italiana. La modifica ha inserito un nuovo comma all’articolo 33, che oggi recita: «La Repubblica riconosce il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme» (…). Si tratta di un passaggio storico: per la prima volta lo sport è riconosciuto come elemento essenziale della formazione e del benessere della persona. Questo riconoscimento valorizza il ruolo educativo dello sport, il suo valore sociale come fattore di aggregazione e inclusione, e la sua funzione di promozione della salute psicofisica nella concezione moderna di benessere integrale.
Prima di questa riforma, la Costituzione del 1948 non conteneva riferimenti diretti allo sport; solo alcuni richiami indiretti si trovavano nell’articolo 2 (sulle formazioni sociali) e nell’articolo 18 (sulla libertà di associazione). Con la riforma del Titolo V del 2001, lo sport era stato menzionato solo ai fini del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni, all’art. 117, comma 3, che include l’“ordinamento sportivo” tra le materie di legislazione concorrente.
Una delle più importanti innovazioni nel diritto sportivo italiano è rappresentata dalla Riforma dello sport, attuata in base alla legge delega n. 86 del 2019 e ai successivi decreti legislativi del 28 febbraio 2021. Il principale è il d.lgs. 36/2021, successivamente modificato dai d.lgs. 163/2022 e 120/2023, che hanno aggiornato la disciplina in modo organico. Le disposizioni hanno avuto piena applicazione dal 1° luglio 2023, segnando l’avvio del nuovo modello di “lavoro sportivo”.
Per la prima volta l’ordinamento italiano fornisce una definizione unitaria di “lavoratore sportivo”, comprendendo atleti, allenatori, istruttori, direttori tecnici e preparatori che svolgono attività retribuita in ambito sportivo (art. 25, d.lgs. 36/2021). La riforma riconosce pari dignità giuridica e tutele lavoristiche a uomini e donne, includendo le tutele in materia di maternità e previdenza, un traguardo storico per lo sport femminile.
Presso il Dipartimento per lo Sport è stato istituito il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, gestito attraverso la piattaforma digitale di Sport e Salute S.p.A. L’iscrizione al Registro è condizione necessaria per il riconoscimento ai fini sportivi e per l’accesso alle agevolazioni fiscali e contributive previste dalla legge.
La riforma ha ridefinito le forme giuridiche degli enti sportivi dilettantistici, escludendo le società di persone e ammettendo solo associazioni (riconosciute o non riconosciute) e società di capitali o cooperative (art. 6, d.lgs. 36/2021). Sono, inoltre, stati introdotti obblighi di trasparenza, adeguamento statutario e comunicazione dei dati all’interno del Registro, in un’ottica di semplificazione e tracciabilità.
Un’altra innovazione centrale è l’abolizione del vincolo sportivo per gli atleti dilettanti (art. 31, d.lgs. 36/2021). Il vecchio sistema, che legava l’atleta alla società anche contro la propria volontà, è stato sostituito da un sistema di premi di formazione tecnica destinato alle società che hanno contribuito alla crescita dell’atleta.
Il processo di abrogazione è stato graduale, ma dal 1° luglio 2025 il principio della libertà contrattuale dell’atleta è ormai definitivamente sancito.
La Legge 17 ottobre 2003, n. 280 ha, poi, codificato un principio fondamentale: «La Repubblica riconosce e favorisce l’autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, quale articolazione di quello internazionale facente capo al Comitato Olimpico Internazionale». In virtù di questo principio, le controversie sportive e la “giustizia endofederale” restano in gran parte autonome rispetto all’ordinamento statale, salvo i casi che coinvolgano diritti soggettivi tutelati dalla legge della Repubblica.
Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI), disciplinato dal d.lgs. 242/1999 e successive modifiche, è l’autorità di disciplina, regolazione e gestione delle attività sportive italiane. Ai sensi dell’art. 1 del suo Statuto, il CONI promuove e coordina l’organizzazione dello sport nazionale come elemento essenziale della formazione fisica e morale dell’individuo e parte integrante della cultura del Paese.
Le sue funzioni, descritte negli artt. 2 e 3 dello Statuto, comprendono la:
Il CONI è un ente pubblico con sede a Roma, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per lo Sport. Le federazioni sportive nazionali e le discipline sportive associate sono invece enti di diritto privato senza fini di lucro.
Il diritto allo sport è oggi riconosciuto anche come diritto sociale di cittadinanza. La Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza (New York, 1989), ratificata dall’Italia con la legge n. 176/1991, stabilisce all’art. 31 il diritto del minore al gioco, al riposo e alle attività ricreative.
Da tali principi deriva il dovere dello Stato di garantire ai bambini e agli adolescenti la possibilità di praticare sport in ambienti sicuri, sani e accessibili. Gli aspetti sanitari della pratica sportiva in Italia sono regolati da norme nazionali come il D.M. 18 febbraio 1982 per le attività agonistiche e il D.M. 24 aprile 2013 per quelle non agonistiche.
Per quanto riguarda la parità di genere, l’Unione Europea e le istituzioni sportive internazionali hanno promosso numerose iniziative a sostegno della partecipazione femminile nello sport. Tra queste, la Carta dei diritti delle donne nello sport promossa dall’UISP e varie risoluzioni del Parlamento Europeo hanno ribadito il principio delle pari opportunità e la necessità di una rappresentanza equilibrata anche nei ruoli dirigenziali. In Italia, con la riforma del 2021, il lavoro sportivo femminile ha ottenuto pieno riconoscimento giuridico e tutele lavoristiche complete, compresa la maternità.
Negli ultimi anni il diritto sportivo italiano ha compiuto un salto di qualità, passando da un sistema frammentario a un ordinamento organico e inclusivo. L’ingresso dello sport nella Costituzione nel 2023, la riforma del 2021 con i suoi correttivi, l’abolizione del vincolo sportivo, il riconoscimento del lavoro sportivo e la tutela di minori e donne rappresentano conquiste decisive. La sfida che si apre oggi è quella di trasformare il riconoscimento costituzionale in un diritto effettivo, accessibile a tutti, attraverso politiche pubbliche e investimenti in infrastrutture, formazione e inclusione. Solo così il principio sancito dall’art. 33 — che riconosce il valore educativo, sociale e di benessere dello sport — potrà diventare una realtà concreta per ogni cittadino.
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