Il reato di percosse si verifica quando un soggetto viene picchiato, ma non riporta delle lesioni o delle ferite. La vittima può sporgere una querela. Ma vediamo esattamente cosa prevede la legge in merito.
Picchiare un soggetto è ovviamente un comportamento sbagliato, ma in alcuni casi, si tratta di una condotta punita penalmente.
Alzare le mani nei confronti di un altro individuo può farti incorrere in un procedimento penale vero e proprio, senza neanche il bisogno che la vittima abbia riportato una ferita o una lesione di alcun genere. Hai capito bene: non è necessario che la persona offesa grondi sangue o riporti un danno serio perché tu possa essere denunciato ed essere sottoposto a un processo penale.
Se picchi una persona e questa non riporta lesioni, dovrai rispondere del reato di percosse: lo Stato, infatti, reprime ogni forma di violenza e consente l’utilizzo della forza soltanto a quelle persone che sono autorizzate dalla legge, cioè alle autorità preposte a mantenere l’ordine pubblico.
Solo eccezionalmente è consentito anche al comune privato di reagire in modo violento: è il caso della legittima difesa la quale, nelle sole ipotesi in cui sia messa a rischio la propria o l’altrui incolumità, consente all’aggredito di proteggersi anche mediante l’uso della forza.
Secondo il codice penale, chiunque percuote una persona, se dal fatto non deriva una malattia, è punito, a querela della persona offesa, con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a 309 euro , come sottolinea l’art. 581 del codice penale.
Secondo i maggiori dizionari della lingua italiana, percuotere significa battere, colpire, picchiare, malmenare, bastonare. Nulla di positivo, dunque: percuotere significa in ogni caso usare la forza bruta contro qualcosa o qualcuno, a prescindere dal mezzo utilizzato (bastone, pietra, randello, mani nude, ecc.).
Dal punto di vista prettamente giuridico le percosse, pur cagionando una sensazione dolorosa, si caratterizzano per l’assenza di postumi apprezzabili.
Sempre secondo la Suprema Corte, non tutte le percussioni dell’altrui corpo costituiscono percosse in senso giuridico, ma solo quelle che, con un contenuto di apprezzabile violenza, siano dirette a produrre una rilevante sensazione dolorifica, cioè a cagionare l’altrui male.
In alcuni, sporadici casi, l’atto di percuotere, quando non è idoneo a provocare dolore ma solamente a umiliare o mortificare la vittima, è stato in passato ricondotto al reato (oggi abrogato) di ingiuria: si pensi al buffetto dato in pubblico solamente per scherno.
Il reato di percosse è stato devoluto alla competenza del giudice di pace: questo significa che la persona riconosciuta colpevole di percosse non potrà mai andare in carcere, considerato che il giudice di pace non può condannare alla reclusione, ma solamente alla permanenza domiciliare e ai lavori pubblica utilità.
Nel caso concreto, la legge prevede che la persona che venga riconosciuta colpevole di percosse possa essere condannato alla pena della multa da 258 a 2.582 euro.
Se, al contrario, dalla condotta criminosa deriva una lesione personale, dalla quale scaturisce una malattia nel corpo o nella mente, la pena è più elevata [8]. Quindi, a seconda che l’aggressione abbia cagionato una malattia o una semplice sensazione di dolore, potrà essere qualificata come lesione o percossa.
Come anticipato, la malattia provocata dalla lesione non si riduce alla classica ferita lacero-contusa, potendo essa consistere anche in una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa (si pensi ad un trauma cranico), ovvero nella malattia o incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un tempo superiore ai quaranta giorni (frattura ad un piede), o ancora nell’indebolimento permanente di un senso o di un organo (si pensi ad un violento colpo agli occhi, dal quale segue un danno grave alla vista). In questi casi si suole parlare di lesioni personali gravi, punite con la reclusione da tre a sette anni, come previsto dall’art 583 cod. pen..
Secondo la giurisprudenza, il concetto di malattia richiede necessariamente i requisiti essenziali della riduzione apprezzabile di funzionalità, a cui può anche non corrispondere una lesione anatomica, e del fatto morboso in evoluzione a breve o lunga scadenza, verso un esito che potrà essere la guarigione perfetta, l’adattamento a nuove condizioni di vita oppure la morte. La Corte di Cassazione ha così ritenuto sussistenti le lesioni per difficoltà respiratorie, durate alcuni minuti, a seguito di stretta al collo e scuotimento della vittima.
La lesione è definita gravissima, con pena fino a dodici anni, se dal fatto deriva una conseguenza insanabile, la perdita di un senso o di un arto, una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo o della capacità di procreare, ovvero ancora la deformazione o lo sfregio permanente del viso.
Sia nel caso di lesione grave o gravissima, sia nel caso di lesione dal quale deriva una malattia non guaribile entro venti giorni (così come da prognosi medica), la persona che ha picchiato un’altra può essere denunciata da chiunque, cioè anche da soggetto diverso dalla persona offesa: trattasi infatti di delitti procedibili d’ufficio, cioè senza la necessità che sia la persona offesa a sporgere querela.
Spiegata la fondamentale differenza tra lesioni e percosse, vediamo ora quali sono le caratteristiche fondamentali di questo delitto. Innanzitutto, va detto che il reato di percosse è procedibile solamente a querela di parte: ciò significa che la persona che picchia un’altra potrà essere perseguita a norma di legge solamente se la vittima, entro tre mesi dall’aggressione, provvede a sporgere querela presso le autorità competenti (carabinieri, polizia, ecc.); in caso contrario, non potrà essere processato. La querela, inoltre, una volta sporta può anche essere ritirata, ad esempio nel caso in cui reo e persona offesa si siano messe d’accordo per un risarcimento.
Più nel dettaglio, la querela deve contenere l’esplicita manifestazione di volontà in ordine alla punizione del responsabile del crimine. Secondo il codice di procedura penale, la querela è una condizione di procedibilità con la quale si esprime l’intenzione di procedere in ordine ad un fatto che costituisce reato; in termini più semplici, la querela è la volontà, manifestata per iscritto o verbalmente da chi è vittima del reato, di perseguire l’autore del fatto delittuoso. Senza questo consenso la legge non può punire l’autore del reato.
Chi riceve la querela provvede all’attestazione della data e del luogo della presentazione, all’identificazione della persona che la propone e alla trasmissione degli atti all’ufficio del pubblico ministero. Anche chi presenta la querela ha diritto di ottenerne l’attestazione di ricezione. A differenza della denuncia, la querela deve manifestare inequivocabilmente la volontà che si proceda in ordine a un fatto previsto dalla legge come reato. Il diritto di querela, inoltre, deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro tre mesi dal giorno della notizia del fatto che costituisce reato. Il termine è di sei mesi soltanto per alcuni particolari delitti (ad esempio, violenza sessuale e stalking).
Il codice penale ha cura di specificare che la disposizione sul reato di percosse non si applica quando la legge considera la violenza come elemento costitutivo o come circostanza aggravante di un altro reato.
Cosa significa? Spieghiamolo con un esempio: se Tizio decide di rapinare una banca e, per raggiungere il suo obiettivo, percuote il direttore al fine di farsi dare i codici di sicurezza, egli non rispondere di concorso nei reati di rapina e percosse, ma solamente di rapina, visto che elemento costitutivo di questo reato è l’impiego della violenza o della minaccia per impossessarsi di una cosa altrui.
Ugualmente nel caso di estorsione, di resistenza o violenza a pubblico ufficiale, di violenza privata, di maltrattamenti in famiglia: la violenza, essendo insita in tutti questi delitti, fa sorgere un autonomo reato diverso da quello di percosse.
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