Il nome del regime 41-bis deriva dall'articolo corrispettivo della legge sull'ordinamento penitenziario numero 354/1975, introdotto nel 1986 dalla legge Gozzini, che interessava, in un primo momento, esclusivamente i casi di emergenza interna o di rivolta nelle carceri italiane e che successivamente alla strage di Capaci del 1992, è stato ampliato ai detenuti facenti parte dell'organizzazione criminale mafiosa.
L’obiettivo di questo regime è quello di impedire il passaggio di ordini, informazioni o di ogni altro tipo di comunicazione tra i detenuti e le organizzazioni di appartenenza nel territorio.
Nel concreto, i carcerati sottoposti al regime 41-bis sono rinchiusi in istituti dedicati soltanto a loro o comunque in sezioni separate dal resto della struttura.
La cella dei suddetti detenuti è, perciò, singola e contiene solamente un letto, un tavolo ed una sedia inchiodata a terra. E' impossibile ogni forma di privacy poiché il carcerato è sorvegliato dalla Polizia penitenziaria 24 ore su 24 e i contatti con le guardie carcerarie sono ridotti al minimo indispensabile.
Perlomeno, anche se nel cosiddetto carcere duro, il detenuto ha diritto a ricevere le cure mediche di cui necessita all'interno del carcere e, quando è indispensabile, può essere portato anche in ospedale.
L'applicazione di questo procedimento comporta, inoltre, le seguenti conseguenze:
Il regime 41-bis si applica in due casistiche, analizziamole singolarmente.
Il regime 41-bis si applica, in primis, in casi eccezionali di rivolta in carcere o in altre gravi circostanze di emergenza. In suddetta ipotesi, il Ministro della giustizia può sospendere la messa in pratica delle regole ordinarie di trattamento dei carcerati in tutto l'istituto penitenziario o solo in una sua parte. Questa sospensione deve quindi essere motivata dal bisogno di ripristinare l'ordine e la sicurezza e ha una durata strettamente necessaria al raggiungimento della suddetta finalità.
La seconda casistica, più diffusa, è quella esaminata dal secondo comma dell'articolo 41-bis, ovvero quella che prevede la revoca delle regole ordinarie di trattamento nel caso in cui ricorrano gravi cause di ordine e di sicurezza pubblica e il destinatario abbia commesso determinate fattispecie di reato.
I destinatari del provvedimento, con più precisione, possono essere i detenuti o gli internati per ciascuno dei delitti di cui al primo periodo del comma 1 dell'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario (per esempio delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di sovvertimento dell'ordine democratico per mezzo di atti di violenza) o, in ogni caso, per un crimine che sia stato commesso al fine di favorire l'associazione di tipo mafioso e che sia collegabile con un'associazione criminale, eversiva o terroristica.
In tale circostanza, il Ministro della giustizia (pure su richiesta del Ministero dell'interno) può sospendere totalmente, o parzialmente, l'applicazione delle regole di trattamento ordinarie, nei confronti di un singolo carcerato.
La durata del suddetto provvedimento nei confronti dei singoli detenuti è pari a quattro anni e può essere prorogato per successivi periodi, pari a due anni, nel caso in cui sia ancora sussistente la capacità di mantenere legami con l'associazione criminale, terroristica o eversiva.
Al novembre 2021, i detenuti al 41 bis erano 749 (di cui 13 donne), distribuiti in 12 istituti carcerari della Penisola, con soltanto una sezione femminile e una casa di lavoro per reclusi in misura di sicurezza.
Nel 2020 sono state applicate 118 nuove disposizioni del “carcere duro” ai quali si aggiungono 20 riapplicazioni di detenuti che sono tornati nel regime, un calo significativo rispetto al 2019, dove i nuovi decreti erano stati 161. Tale calo viene tuttavia compensato dalle proroghe, le quali sono state 610.
Le persone al 41bis solitamente scontano pene lunghe: sono 298 i condannati all’ergastolo, dei quali 209 con sentenza definitiva, su un totale di persone con ergastolo di poco inferiori alle 1.800 persone.
Anche all’interno delle sezioni speciali di “carcere duro” esistono distinzioni per livello di pericolosità, le figure di spicco delle mafie vengono collocate infatti in 14 c.d “aree riservate” localizzate in 7 istituti, dove l’isolamento è accentuato.
Un regime carcerario che si definisce “duro”, non può che evocare l’idea di un sistema inflessibile il quale mira a “far crollare” chiunque vi viene sottoposto, puntando in forma latente alla “redenzione”, ovvero alla collaborazione con la giustizia, poiché è proprio l’effettiva “collaborazione” che fa venire meno l’applicazione di tale regime.
Ma in molte occasioni, il 41-bis è stato considerato un regime penitenziario incostituzionale se applicato per lassi di tempo molti lunghi. Nonostante ciò, però, tutte le volte in cui la Corte costituzionale e la Cedu (Convenzione europea dei diritti dell'uomo) sono state chiamate a valutarne la legittimità, l'hanno decretato di per sè come legittimo, pur censurando alcune specifiche applicazioni.
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