La separazione non consensuale, detta giudiziale, consiste in un procedimento spesso lungo e costoso necessario quando marito e moglie non riescono accordarsi in merito alle questioni fondamentali riguardanti la fine del loro matrimonio.
Nel nostro Paese il legislatore ha previsto diverse modalità per la separazione personale dei coniugi. In particolare ha distinto due situazioni che si possono verificare, ovvero la presenza o l’assenza di un accordo tra i due soggetti.
La vita matrimoniale non è sempre facile, ci possono essere periodi di crisi passeggeri o in grado di determinare la rottura definitiva del rapporto sentimentale tra i coniugi.
Il modo in cui si affronta una situazione di questo tipo può dipendere dal carattere del singolo ma anche dalle cause che hanno determinato la crisi.
Risulta evidente, infatti, che se il motivo della rottura è un tradimento, la controparte avrà l’intenzione di “fare guerra” al partner, chiedendo ad esempio la separazione con addebito.
Se le parti non riescono a trovare un accordo, è necessario attivare un processo civile, spesso molto lungo e costoso, e sarà il giudice a stabilire le questioni fondamentali come l’assegnazione della casa coniugale, il mantenimento, l’affidamento dei figli.
In Italia se marito e moglie riescono ad avere un buon rapporto nonostante la crisi matrimoniale e riescono ad accordarsi, senza dovere ricorrere alla causa civile, si parla di separazione consensuale.
In tal caso il legislatore ha previsto delle procedure più veloci per consentire alle parti di potere riprendere in mano la loro vita senza attendere inutili lungaggini processuali.
I coniugi possono:
Separarsi in modo consensuale ha anche un altro vantaggio, infatti grazie alla legge che ha introdotto il divorzio breve, è sufficiente attendere solo sei mesi per divorziare.
Diversamente a quanto abbiamo descritto nel paragrafo precedente, la separazione non consensuale, o giudiziale, avviene quando marito e moglie si trovano in conflitto e non riescono ad accordarsi. In tal caso è il giudice a stabilire le questioni inerenti alla fine del matrimonio.
L’art. 151 del codice civile, afferma infatti:
La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio all'educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio
Come possiamo leggere, se la crisi è dovuta al comportamento scorretto di uno dei coniugi, derivante dal mancato rispetto degli obblighi coniugali, la controparte può anche chiedere l’addebito della separazione.
Ad ogni modo il procedimento di separazione giudiziale consiste in un rito civile ordinario, che si apre con il ricorso da parte di uno dei soggetti. Il tribunale competente è quello del luogo dell’ultima residenza dei coniugi o dove il convenuto ha il proprio domicilio.
Le tempistiche per arrivare a una sentenza definitiva in grado di definire i vari aspetti possono essere molto lunghe. E’ risaputo, infatti, che le cause civili durano diversi anni, e sono spesso molto costose.
Optando per la separazione non consensuale, inoltre, si dovrà attendere un anno, a partire dalla sentenza, prima di procedere con il divorzio.
Una volta ottenuta la sentenza di separazione non consensuale, cessano i doveri coniugali. In certi casi, comunque, alcuni di essi vengono fatti terminare già in seguito alla prima udienza e dopo il fallimento del tentativo di conciliazione. Quindi, marito e moglie possono essere autorizzati a vivere in modo separato fin da subito.
Lo stesso discorso si può fare per quanto riguarda l’obbligo di reciproca fedeltà.
Come abbiamo detto, è il giudice a stabilire le questioni fondamentali collegate alla fine del matrimonio.
In particolare può essere garantito un assegno di mantenimento al coniuge più debole economicamente, parametrato sul tenore di vita tenuto durante il matrimonio. Solamente con il divorzio tale cifra sarà diversa, dato che dovrà garantire solo la sopravvivenza.
Per quanto riguarda l’affidamento dei figli, va considerato che in seguito alla riforma del 2013, ovvero al Decreto legislativo n. 154, l’affidamento condiviso è diventato la regola, per garantire che il minore possa crescere in modo equilibrato, come sottolinea l’art. 337-ter del codice civile:
Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale
Inoltre, viene inevitabilmente sciolta anche la comunione dei beni, quindi i coniugi diventano proprietari di una quota pari alla metà dei beni facenti parte della comunione legale.
In alcuni casi può succedere che, dopo avere intrapreso la via della separazione non consensuale, i coniugi riescano a riconciliarsi, salvando la loro vita matrimoniale.
In tale situazione la legge non prevede particolari obblighi formali, infatti i coniugi possono semplicemente tornare a vivere assieme e ristabilire un legame sentimentale.
Va sottolineato comunque che, in caso di reale riconciliazione, non sarà possibile procedere con il divorzio. In particolare se ci sono le prove della convivenza stabile, per potere divorziare sarà necessario iniziare l’inter da capo, procedendo nuovamente con la separazione.
In merito a tale argomento la Corte di Cassazione ha specificato con la sentenza n. 19535 del 23 settembre 2104 che per dimostrare la riconciliazione non è sufficiente portare prove della coabitazione “essendo necessario il ripristino della comunione di vita e di intenti, materiale e spirituale, che costituisce il fondamento del vincolo coniugale”
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