Il vilipendio è un reato che si verifica quando qualcuno offende un pubblicamente dei soggetti dotati di particolare dignità sociale, con parole denigratorie o volgari.
Chi offende pubblicamente soggetti appartenenti ad istituzioni che rappresentano dei valori, che per legge sono espressamente tutelati, rischia di essere condannato per il reato di vilipendio.
Il codice penale contiene, infatti, diverse descrizioni di reati di questa tipologia, che si possono verificare contro la Repubblica, le forze armate, la nazione e la bandiera italiana, la religione, le tombe e i cadaveri.Nelle prossime righe analizzeremo in quali situazioni e dinamiche ci può essere un condanna, e quali sono le pene previste dalla legge.
Prima di entrare nello specifico, è utile sottolineare il significato del termine stesso. Vilipendere, infatti deriva dal latino “vilis” che significa poco valore, vile, e proprio per questo motivo la parola vilipendio è stata utilizzata dall’ordinamento penale per punire chi offende, svilisce e sminuisce alcune particolari figure.
Introdotta nel 1889, inizialmente la norma aveva lo scopo di tutelare la libertà religiosa, evitando che appartenenti a culti diversi potessero offendere determinati valori, e il credo delle vittime. Le offese di natura politica venivano disciplinate raramente, in quanto considerate di minore gravità.
La fattispecie può essere individuata per la prima volta, nel nostro ordinamento, nel codice Zanardelli del 1889, ed era tesa a tutelare la libertà di espressione religiosa, sia collettiva che individuale, indipendentemente da quale fosse il culto che si intendesse offendere. Il reato era perseguibile su querela di parte e per la sua configurabilità bastava l’evidente volontà di offendere il credo della vittima. Vi erano anche alcune forme di vilipendio politico, ma erano poco disciplinate e considerate di minor gravità.
Solamente in seguito alla riscrittura del codice penale e all’introduzione del cosiddetto Codice Rocco nel 1930, in vigore ancora oggi, c’è stato un ampliamento delle situazioni oggetto di reato.
In modo particolare:
Ad ogni modo in giurisprudenza ci sono stati molti dibattiti in merito alla legittimità o meno del reato di vilipendio, per molti in netta contrapposizione all’articolo 21 della Costituzione che tutela la libera manifestazione del pensiero, come analizzeremo a breve.
Come anticipato, il vilipendio può verificarsi nei confronti di diverse istituzioni che si fanno portavoce di valore espressamente tutelati dalla legge. Vediamo quali sono.
Nel codice penale possiamo distinguere i seguenti reati:
Per commettere il reato è sufficiente il dolo generico, cioè è necessario che ci sia il proposito di offendere, non contano i motivi che hanno spinto il soggetto a comportarsi in tale.
L’aspetto più significativo è il fatto che la manifestazione di pensiero neghi la fiducia o il rispetto ad una istituzione, attraverso disprezzo o disobbedienza. Non si deve confondere questo atteggiamento con la critica, si tratta di condotta vilipendiosa.
Lo scopo del legislatore, infatti, è di proteggere particolari valori considerati importanti dallo stato, e dalla comunità.
L’offesa, ad ogni modo, deve essere commessa a mezzo stampa, o altro mezzo di propaganda, anche il web, ovvero deve essere pubblica.
Come anticipato il reato di vilipendio è stato oggetto di diversi dibattiti per capire se le norme sono in contrasto con quanto sancito dalla costituzione, nell’art. 21 in merito alla libera manifestazione di pensiero.
Le discussioni si sono concluse positivamente, nel senso che la dottrina ha stabilito che la libertà di pensiero è sempre tutelata, ma non deve sfociare in oltraggio gratuito fine a se stesso. In questo caso, la libera manifestazione del pensiero viene limitata dal diritto penale, in quanto si tratta di un reato previsto dal codice penale.
La corte costituzionale ha stabilito che il vilipendio non è ammissibile quando lede la dignità o la personalità dello stato o delle istituzioni della repubblica, oppure quando viene compiuto con la volontà di offendere un ministro del culto o una confessione religiosa.
La critica, invece, è possibile nei limiti del rispetto delle istituzioni.
Recentemente la Suprema Corte si è espressa in merito con la sentenza n. 28730/2013, sottolineando che l’art. 21 della Costituzione non può scivolare in offese brutali e grossolane, prive di capacità critica.
Fonti normative
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