Il diritto di abitazione è un diritto reale sui beni altrui. Ciò significa che un soggetto può vivere nella casa di proprietà di un terzo, per bisogno proprio o della famiglia. Ad esempio l’ex moglie con figli a carico può vivere nella casa del marito
Parlando di abitazione, è immediato associare tale concetto alla casa dove si vive abitualmente, al rifugio che utilizziamo per riposarci dopo una giornata di lavoro, e possiamo trascorrere del tempo con le persone care.
Si tratta di un tema che colleghiamo in modo diretto a quello della residenza o del domicilio, cioè un posto fisico nel quale passare parte del nostro tempo libero.
Per la giurisprudenza, però il concetto di abitazione è un po’ diverso e si riferisce a un argomento particolare.
In particolare il diritto di abitazione si riferisce alla possibilità di vivere in un immobile altrui, per alcune determinate esigenze.
Nell’immaginario comune l’abitazione corrisponde alla propria casa, infatti viene usato proprio come sinonimo per indicare il posto in cui si vive.
Da un punto di vista legale, il significato cambia nettamente, in quanto si indica il diritto di una persona a vivere nella casa di proprietà di altri.
Possiamo trovare un riferimento a tale concetto nell’art 1022 del codice civile:
Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia
Come possiamo notare, viene sottolineato il fatto che ci deve essere un bisogno personale o inerente alla famiglia, per avere il diritto a vivere in un immobile di terzi.
Si tratta di un diritto reale, cioè di un diritto soggettivo su una casa, dal quale ne deriva un potere immediato e assoluto sul bene, per quanto riguarda l’espletamento di determinati bisogni.
I diritti reali permettono a un soggetto di godere di alcuni beni, si tratta perciò di diritti soggettivi su beni fisici.
La giurisprudenza italiana ne distingue sette tipologie:
Tranne che per il diritto di proprietà, in tutti gli altri casi si tratta di godere di beni altrui.
Abbiamo chiarito il fatto che con il termine abitazione, per la legge, si fa riferimento al potere di vivere in una casa di proprietà di altri soggetti.
Ragionando su tale definizione viene spontaneo chiedersi quale sia la differenza con la locazione. In effetti si parla sempre di vivere in una casa di altri.
Nel caso della locazione, però, non si tratta di un diritto reale, in quanto l’oggetto è la prestazione e non il bene stesso. Il locatore, infatti, deve consentire il godimento dell’immobile.
Inoltre, il diritto di abitazione non può essere ceduto ad altri, ma deve essere sfruttato esclusivamente dal titolare e dai propri familiari, a causa di determinati bisogni.
In parole semplici possiamo dire che si tratta di un diritto più ristretto, rispetto all’usufrutto.
Il titolare può utilizzare il bene solamente per i propri bisogni o per quelli relativi alla famiglia, ma non può cedere o dare in locazione l’immobile. Ciò non può godere di eventuali guadagni economici derivanti dal bene.
Sono, infatti, vietati:
Chi è titolare di un diritto di abitazione può fare entrare in casa, per viverci stabilmente, solamente il coniuge, i figli, o un convivente stabile.
Inoltre, può utilizzare il bene esclusivamente per determinati bisogni. Non si tratta di un limite quantitativo, ma qualitativo, cioè riferito all’utilizzo della casa.
Ad esempio se una moglie ha il diritto di vivere nella casa dell’ex marito, che è molto grande e ha molte stanza, può utilizzare tutto lo spazio, ma solo per vivere, non per eventi o cerimonie.
I titolari possono essere solamente persone fisiche, attraverso diverse modalità:
Come nel caso dell’usufrutto, il titolare deve rispettare alcune regole precise, tra le quali la più importante è il rispetto della destinazione d’uso dell’immobile. In altre parole può solo abitare nella casa, e non può servirsi di essa per altri scopi.
Le norme giuridiche prevedono però altri doveri, elencati di seguito:
Il diritto di abitazione è temporaneo, cioè non è caratterizzato dalla perpetuità, e può estinguersi per diversi motivi:
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