L’occupazione abusiva di un immobile si verifica quando un individuo si stabilisce in una abitazione di proprietà altrui, senza averne il diritto. Può verificarsi in totale assenza di un contratto di locazione, o alla scadenza dello stesso, se gli inquilini si rifiutano di lasciare la casa.
Il tema dell’occupazione abusiva è sempre stato al centro di numerose polemiche e dibattiti. Negli ultimi anni, però, il fenomeno è cresciuto molto, probabilmente a causa della crisi economica e del peggioramento delle condizioni di vita di molte persone.
La questione è davvero delicata, in quanto ci sono diversi aspetti da analizzare.
Infatti, il diritto all’abitazione e quello di proprietà sono entrambi riconosciuti dalla Costituzione, e spesso potrebbero entrare in conflitto. In particolare, se un soggetto occupa una casa per necessità improvvisa, potrebbe non venire considerato colpevole penalmente.
Da un punto di vista civile, invece, il proprietario può intraprendere diverse azioni, dette petitorie per liberare la propria casa.
Vediamo di seguito, in quali casi si può parlare di occupazione abusiva di un immobile e quali sono i passi da intraprendere per risolvere la situazione.
Nel momento in cui una persona invade la casa altrui senza essere legittimato a farlo, sta ledendo uno dei diritti fondamentali dell’uomo, e lo Stato deve intervenire.
Nell’art.3 della Costituzione, infatti, si afferma che:
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
In questo caso specifico viene ostacolato il diritto di entrare in casa propria, ed è importante come comportarsi in situazioni di questo tipo e quali sono le tutele civili e penali previste dalla legge italiana.
Innanzitutto dobbiamo precisare che con il termine occupazione abusiva si fa riferimento a tre casistiche:
Un proprietario di casa che deve difendersi da una occupazione illegittima, proteggendo il proprio diritto di proprietà, può intraprendere delle azioni petitorie o possessorie
In particolare si può agire attraverso la:
Vediamole nel dettaglio.
La rivendicazione è un’azione petitoria disciplinata dall’art 948 del codice civile, che riporta:
Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può proseguire l'esercizio dell'azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa. In tal caso il convenuto è obbligato a recuperarla per l'attore a proprie spese, o, in mancanza, a corrispondergliene il valore, oltre a risarcirgli il danno.
Il proprietario, se consegue direttamente dal nuovo possessore o detentore la restituzione della cosa, è tenuto a restituire al precedente possessore o detentore la somma ricevuta in luogo di essa.
L'azione di rivendicazione non si prescrive, salvi gli effetti dell'acquisto della proprietà da parte di altri per usucapione
Si tratta, quindi, di una iniziativa intrapresa per dimostrare e presentare le prove della proprietà di una abitazione. Non si ottiene una liberazione immediata della casa, ma può essere preparata l’esecuzione forzata, attraverso l’accertamento dell’illegittimità dell’occupazione.
Tale possibilità ha il vantaggio di non cadere in prescrizione, anche se da un punto di vista pratico non permette di potere avere immediatamente la proprietà.
La reintegrazione è un'azione possessoria descritta dall’art 1168 del codice civile, che afferma:
Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l'anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l'autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo.
L'azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l'abbia per ragioni di servizio o di ospitalità.
Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio.
La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione
In questo caso la procedura è più veloce ed efficace, e può essere richiesta anche da chi ha dei diritti reali sul bene, ad esempio chi ne ha l’usufrutto.
I termini però sono molto brevi, infatti, va in prescrizione dopo un anno a partire dall’occupazione dell’immobile.
Proprio per questo motivo si tratta di un procedimento più snello, durante il quale viene fatta una prima cognizione generale per potere avere il rilascio della casa, per poi aprire un’ulteriore indagine più approfondita per determinare il risarcimento danni, attraverso un rito ordinario.
Nella varie sentenze della Cassazione l’occupazione abusiva è stata definita come un danno “in re ipsa”, cioè in se stesso. Ciò significa che il proprietario non deve dimostrare di avere avuto delle perdite economiche, perché sono sufficienti i fatti palesi.
Per calcolare il valore del risarcimento danni, basta quindi quantificare il canone di affitto della casa in questione, tenendo in considerazione i valori attuali del mercato.
A volte, però, la persona privata della propria abitazione, è stata costretta a pagare un canone di locazione altrove. Tale cifra deve essere conteggiata per valutare il danno subito.
Quando un soggetto si introduce nella casa di un altro senza avere il permesso per farlo, commette diversi reati, punibili penalmente:
Si tratta di reati perseguibili a querela di parte, da parte della vittima, cioè il proprietario dell’immobile, ma in presenza di violenza si procederà d’ufficio.
Si tratta di reati istantanei, che non si possono cancellare, nemmeno se la situazione si dovesse sistemare. Ciò significa che, se il colpevole cambia idea e decide di abbandonare la casa, sarà condannato lo stesso.
Come abbiamo anticipato all’inizio di questo articolo, ci sono alcuni diritti fondamentali in netta contrapposizione quando si parla di occupazione abusiva di immobile.
Il diritto alla proprietà potrebbe, quindi, andare in conflitto con quello di abitazione, soprattutto nei casi in cui un soggetto agisca in uno “stato di necessità".
Tale condizione è descritta nell’art.54 del codice penale:
Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
Si tratta di una particolare situazione rientrante tra le “scriminanti del reato”, cioè le condizioni che escludono le colpevolezza.
Lo stato di necessità è considerato come un pericolo per la persona, che si trova ad agire in modo non consono per potere limitare i propri rischi, e per questo viene giustificato.
L’abusivo, però, non viene condannato solo in presenza di alcuni requisiti stabiliti tassativamente dalla legge:
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