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Divorzio breve in comune: come funziona?

Il divorzio breve in Comune è possibile solo se non ci sono figli minori o maggiorenni non autosufficienti, e se non si devono prendere decisioni economiche e patrimoniali inerenti all’assegno divorzile o all’assegnazione della casa coniugale.

Da qualche anno in Italia è possibile porre fine al proprio matrimonio con modalità molto più rapide ed economiche rispetto al passato. Il legislatore, infatti, ha voluto rendere la macchina della giustizia più snella per quanto riguarda le pratiche più semplici da risolvere, per evitare di avviare troppi processi civili.

Perciò marito e moglie che non riescono più a vivere assieme, se trovano degli accordi tra di loro possono usufruire di alternative alla classica causa in tribunale, avvalendosi ad esempio della negoziazione assistita o della procedura in Comune.

In ogni caso, qualsiasi sia la modalità scelta, il tempo necessario per divorziare, a seguito della separazione è notevolmente diminuito. Come vedremo la tempistica è maggiormente ridotta se è stata fatta una separazione consensuale.

Il divorzio breve in Comune rappresenta la scelta più rapida ed economica, non essendo necessaria la consulenza di un avvocato divorzista, ma per poter adottare tale alternativa non ci devono essere figli minori o non autosufficienti. 

Cos’è il divorzio breve in Comune?

Non tutti sanno che porre fine alla vita da sposati, oggi, è molto più semplice rispetto a qualche anno fa. Infatti la giurisprudenza da una parte ha cercato di adattare le norme di diritto familiare ai nuovi contesti sociali, dall’altra ha iniziato un percorso volto a rendere meno rigida e satura la macchina della giustizia.

I rapporti tra marito e moglie al giorno d’oggi sono molto differenti da quelli di 20 anni fa. Ora, entrambi lavorano e hanno una vita abbastanza indipendente anche se sono sposati. La volontà di costruire qualcosa di importante insieme è rimasta, ma si dà valore anche alla propria felicità e alla realizzazione professionale. Succede allora che, se gli obiettivi divergono troppo o se il sentimento svanisce mano a mano, si decide di porre fine alla vita da sposati.

La realtà dei fatti oggi è questa e non è possibile ignorare il fenomeno. Quindi, per evitare un numero troppo elevato di processi civili, con il rischio di intasare ulteriormente i nostri tribunali, sono state introdotte alcune novità.

Dal 2015 è possibile divorziare dopo:

  • 6 mesi c’è stata una separazione consensuale
  • 12 mesi se è stata giudiziale

Il cambiamento è notevole, se consideriamo che prima erano necessari 3 anni.

L’effettiva durata del procedimento, poi, dipende dal tipo di procedura scelta, tra:

  • istanza in tribunale: il classico processo di fronte a un giudice può essere molto lungo in quanto è necessario rispettare tutte le varie fasi di una causa civile. E’ la strada obbligatoria da seguire nel caso la coppia si sia separata giudizialmente.
  • negoziazione assistita: le decisioni sono prese grazie alla consulenza degli avvocati divorzisti delle parti, senza doversi recare in tribunale. Il verbale con gli accordi viene firmato dai rispettivi legali e inviato al Pubblico Ministero.
  • in Comune: se i coniugi non hanno figli minori o non autosufficienti e non intendono effettuare trasferimenti patrimoniali, possono dichiarare la loro volontà di fronte a un ufficiale di stato civile.

Divorzio breve in Comune: quando è possibile?

La novità forse più importante e significativa in materia di diritti di famiglia è la possibilità di effettuare un divorzio breve in Comune, semplicemente sottoscrivendo un accordo davanti a un ufficiale di stato civile, senza la consulenza di un avvocato divorzista.

Quindi, se alcune coppie in passato sceglievano di non ufficializzare la rottura del proprio matrimonio per evitare eccessivi costi e procedimenti molto lunghi in tribunale, ora il legislatore ha aperto la strada a nuove opportunità.

L’atto in sé deve essere concluso presso il comune di residenza di uno dei coniugi, o dove è stato registrato il matrimonio.

Essendo una procedura da svolgere senza l’intervento di un esperto di diritto, ci sono alcuni limiti. In particolare non è possibile scegliere tale modalità se ci sono dei figli minorenni, incapaci, invalidi o non autosufficienti, o per trasferimenti patrimoniali.

L’affidamento dei figli è una tematica molto delicata, che deve essere trattata solo da personale autorizzato. Nel nostro ordinamento giuridico viene posta particolare attenzione alla tutela del minore, anche durante la separazione e il divorzio. Di norma si cerca di garantire il principio della bigenitorialità, per consentire una crescita equilibrata e corretta.

Per quanto riguarda invece le questioni relative al patrimonio, sarà necessario ufficializzare eventuali passaggi di proprietà presso un notaio, se si sceglie la via del divorzio breve in Comune.

Divorzio breve in Comune: serve l’avvocato divorzista?

Fino ad ora abbiamo sottolineato che, a partire dal 2015 è più semplice e più veloce porre fine alla vita da sposati grazie al divorzio breve in Comune, la forma più flessibile e snella per ufficializzare la decisione.

Per fare ciò è sufficiente presentarsi di fronte a un ufficiale di stato civile e sottoscrivere l’atto, pagando solamente un’imposta di bollo, quindi quasi del tutto gratuito.

Bisogna però valutare se in effetti tale scelta rappresenta quella più efficace. Il fatto di non richiedere una consulenza ad un avvocato divorzista competente in materia, potrebbe comportare dei problemi in futuro. Non tutti conoscono nel dettaglio le norme del diritto di famiglia, e cercando di risolvere la questione del modo più veloce si rischia di perdere di vista alcuni concetti importanti.

Ammesso che non ci siano figli, ci potrebbero comunque essere degli interessi economici da proteggere. Ad esempio il coniuge più debole ha il diritto di chiedere un assegno divorzile se si trova in difficoltà, oppure la casa coniugale a chi appartiene dopo la rottura del matrimonio?

Solamente un legale con esperienze può illustrare chiaramente la situazione, fornendo delle valide chiavi di lettura che altrimenti verrebbero sottovalutate.

La procedura

Per procedere con il divorzio in Comune è necessario presentarsi presso l’Ufficio di Stato civile, del luogo dove era stato celebrato il matrimonio., o in ogni caso presso il comune di residenza di almeno uno dei coniugi.

E’ necessario portare i seguenti documenti:

  • documento di identità di entrambi
  • autocertificazione di residenza, luogo e data di matrimonio e assenza di figli
  • copia delle sentenza di separazione

I costi sono molto bassi, infatti si devono pagare soltanto i diritti da versare al Comune, pari a circa 16 euro. Come abbiamo detto non è necessaria la presenza di un avvocato divorzista.

In alcuni casi viene fissato un incontro per analizzare i vari documenti, in altri invece si avvia la procedura direttamente al telefono. Ad ogni modo ci sono due diverse fasi:

  • nel primo step i coniugi devono compilare l’accordo di divorzio congiunto e fissare la data per il secondo incontro, non prima di 30 giorni
  • nel secondo step essi devono confermare l’intenzione di divorziare

Va precisato che, la procedura è valida soltanto se entrambi si presentano al secondo incontro. In caso contrario l’atto è nullo ed è necessario iniziare una nuova procedura.

Cosa fare se uno dei coniugi non vuole presentarsi in Comune?

Il presupposto fondamentale per poter procedere è il consenso di entrambi i coniugi, quindi in caso contrario è necessario optare per delle alternative.

Se ci sono dei palesi conflitti è possibile procedere soltanto con un divorzio giudiziale, ovvero una causa civile in tribunale, altrimenti si può scegliere anche la negoziazione assistita dagli avvocati.
Si tratta di una modalità particolarmente interessante, dato che è possibile discutere al di fuori dalla aule del tribunale, cercando un accordo grazie agli avvocati.

Con una procedura di questo tipo si possono anche prendere decisioni in merito ai figli minori o maggiorenni non autosufficienti. L’accordo deve, comunque, essere valido in seguito dal tribunale.

Fonti normative

  • Legge 55/2015
  • legge 162/2014
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