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Fallimento azienda: conseguenze per i lavoratori

Il fallimento di un’azienda è un momento delicato, infatti è necessario trovare un modo per saldare i vari creditori, tra i quali anche i lavoratori che hanno il diritto di ricevere gli ultimi stipendi e il Tfr.

E’ sempre difficile parlare di fallimenti aziendali, dato che ci sono molti interessi in gioco, e non sempre è possibile soddisfarli tutti.

Innanzitutto bisogna precisare in quali casi è possibile parlare effettivamente di fallimento, dato che ci devono essere specifici presupposti sia soggettivi che oggettivi. In altre parole non tutti possono trovarsi in questa condizioni, almeno da un punto di vista legale.

Va poi considerato che le realtà aziendali non sono compartimenti stagni, ma cooperano ed interagiscono con altri soggetti, ovvero in molti casi esistono dei creditori, che hanno il diritto e l’intenzione di intraprendere azioni per il recupero crediti.

In modo particolare i dipendenti hanno il diritto ad ottenere il pagamento degli ultimi stipendi, oltre ad avere il Tfr maturato negli anni di lavoro. 

Ma, procediamo con ordine cercando di capire esattamente cosa avviene quando un realtà aziendale non è più in grado di portare avanti correttamente le proprie attività.

Fallimento azienda: cosa significa?

Sembra quasi scontato dirlo ma il fallimento di un’azienda rappresenta un momento molto difficile, non solo per la realtà in questione ma anche per l’economia in generale.

Le imprese, infatti, non sono realtà chiuse, ma interagiscono con altri soggetti, ad esempio con le banche per ottenere dei prestiti, o con dei fornitori per avere le materie prime necessarie per effettuare la lavorazione, ma non solo.

Fatto sta che quasi tutte le realtà imprenditoriali hanno un certo numero di debiti da saldare, che se rimane sotto controllo non costituisce un problema per la loro sopravvivenza, anzi si tratta della normalità.

La situazione è diversa se con la produzione e il relativo guadagno non è più possibile far fronte a tutti i pagamenti, ovvero se non si riescono a saldare i debiti, il rischio è quello di causare il tracollo anche degli altri attori coinvolti, che vantano un credito.

Per ovviare a cicli viziosi pericolosi per l’economia stessa, la legge ha previsto alcune misure particolari conosciute come procedure concorsuali, vale a dire dei procedimenti giudiziali volti a soddisfare le pretese dei creditori.

Esse possono essere:

  • il fallimento
  • la liquidazione coatta amministrativa
  • l’amministrazione straordinaria
  • la ristrutturazione industriale
  • il concordato preventivo

Il fallimento d’azienda viene avvitato attraverso un’istanza, ovvero con un ricorso depositato presso il tribunale competente nel territorio, effettuato dall’imprenditore stesso o dai creditori.

In seguito è necessario depositare i bilanci degli ultimi 3 anni e la situazione patrimoniale, per verificare se sussistono i presupposti per procedere.

In seguito all’emanazione della sentenza fallimentare, viene nominato un curatore per gestire il tutto.

Fallimento azienda: i presupposti

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato che, non tutte le aziende possono fallire, dato che sono necessari alcuni presupposti soggettivi e oggettivi.

In modo particolare le norme inerenti al fallimento d’azienda si possono applicare soltanto agli imprenditori commerciali, ovvero ai soggetti che producono beni e servizi. Sono, quindi, escluse le attività professionali autonome, e gli imprenditori agricoli, ma non solo.

La giurisprudenza ha escluso da tale categoria anche i cosiddetti piccoli imprenditori, cioè le imprese che hanno avuto in tre anni di esercizio, in totale:

  • un attivo inferiore a 300 mila euro ogni anno
  • ricavi inferiori a 200 mila euro ogni anno
  • debiti totali inferiori a 500 mila euro

I presupposti oggettivi, invece sono i seguenti:

  • stato di insolvenza, ovvero l’incapacità di soddisfare tutti i crediti in modo regolare attraverso la produzione e il relativo utile. 
  • l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati deve essere superiore a 30 mila euro

Fallimento azienda: cosa succede ai soci?

Il fallimento d’azienda può avere delle conseguenze molto pesanti per i soci. In tal caso però è necessario distinguere tra due diverse situazioni.

I soci possono infatti avere:

  • una responsabilità limitata: ad esempio una srl, i soci devono rispondere solo per la quota che hanno versato, ovvero entro il limite del loro conferimento
  • una responsabilità illimitata: ad esempio se si tratta di una società in nome collettivo, snc, i soci devono rispondere personalmente con il loro patrimonio

Ciò significa che in alcuni casi attraverso le azioni giudiziarie i creditori possono aggredire anche i beni personali dei soci, per riuscire ad ottenere ciò che gli spetta di diritto. L’esecuzione forzata, perciò, può riguardare il pignoramento dei beni mobili o immobili dei soci con responsabilità illimitata.

Se, invece, essi si sono impegnati soltanto con una quota di capitale aziendale, risponderanno soltanto in merito a tale quota, e in nessun modo potrà essere intaccato il loro patrimonio personale.

Fallimento azienda: cosa succede ai lavoratori?

Senza dubbio in caso di fallimento aziendale, l’imprenditore e i soci di trovano a dovere fronteggiare una situazione non facile, ma non sono gli unici soggetti a subire le conseguenze negative.

Cosa succede, infatti, ai dipendenti dell’azienda?

Va precisato subito che non c’è un licenziamento automatico, come ha ribadito anche la Cassazione, visto che la decisione finale spetta al curatore.

Fatto sta che, anche i lavoratori con un contratto a tempo indeterminato potrebbero essere a rischio, in quanto la produzione potrebbe essere sospesa del tutto o in parte.

Ad ogni modo, inizialmente il contratto non può interrompersi in modo definitivo. Come anticipato la Cassazione con la sentenza 7308/2018 ha sottolineato che il licenziamento per quanto probabile non è mai comunque automatico.

Dopo l’emanazione della sentenza fallimentare e la nomina del curatore i rapporti di lavoro vengono momentaneamente sospesi, quindi i dipendenti non dovranno presentarsi in sede fino a che il curatore non deciderà come procedere.

Quest’ultimo può scegliere di stoppare completamente tutte le attività o di tenerne in vita soltanto una piccola parte. Quindi, possono essere tenute soltanto le figure indispensabili per ultimare gli ultimi lavori.

Ad ogni modo durante la sospensione i lavoratori non maturano alcuna retribuzione, che può invece riprendere normalmente quando torneranno alla loro mansione, se non licenziati.

Eventuali licenziamenti, comunque dovranno essere effettuati rispettando le relative norme in materia di diritto del lavoro.

Ma la paura di perdere la propria occupazione non è l’unico aspetto da esaminare. I dipendenti, infatti, hanno anche il diritto di ricevere il Trattamento di Fine Rapporto, Trf.

La cifra in questione deve essere accantonata dal datore di lavoro per essere liquidata al dipendente nel momento in cui si conclude il contratto. Ma se non ci sono soldi, chi paga tale somma?

Per garantire il diritto dei dipendenti, interviene il cosiddetto Fondo di Garanzia dell’Inps.

In tal caso è possibile agire, con il supporto di un avvocato, nel seguente modo:

  • inviando un’istanza di ammissione allo stato passivo al curatore
  • attendendo la dichiarazione di stato passivo da parte del giudice
  • presentando copia autentica dello stato passivo all’Inps

Dopo avere completato la procedura, in modo telematico, l’Istituto provvederà a pagare quanto chiesto dal dipendente e verificato dal giudice.

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