Per comprendere la questione è utile sottolineare la differenza che sussiste tra le polizze:
- in regime loss occurrence: per avere una copertura assicurativa è necessario che il soggetto che provoca il danno sia assicurato nel momento in cui commette l’errore
- in regime claims made: il soggetto potrebbe avere una copertura assicurativa anche senza essere assicurato al momento dell’errore, se nel momento in cui arriva la richiesta del risarcimento danni è assicurato.
In pratica dal momento in cui viene commesso un errore professionale a quello in cui il cliente ha l’effettiva percezione dello stesso, potrebbe trascorrere del tempo.
Esiste comunque una clausola claims made mista, che esclude la possibilità di essere coperti per rischi che si sono verificati oltre un determinato periodo, in genere 3 anni prima della denuncia del terzo. Entro tale limite, comunque, il professionista deve avere un contratto attivo con l’ente assicurativo.
Risulta abbastanza evidente, quindi, che in certe situazioni si cerca di limitare l’estensione della garanzia prevista dalla clausola claims made pura.
La presenza di tale possibilità in un contratto prevede che la copertura sia sempre condizionata dal fatto che il sinistro venga denunciato durante il periodo di vigenza della polizza, come abbiamo detto. In alcuni casi, però, può essere pattuita la cosiddetta “sunset dose”, ovvero un preciso arco temporale successivo di validità.
Ad ogni modo, se non è specificato diversamente, è valido quanto afferma l’art. 1917 c.c.:
Nell'assicurazione della responsabilità civile l'assicuratore è obbligato a tenere indenne l'assicurato di quanto questi, in conseguenza del fatto accaduto durante il tempo dell'assicurazione, deve pagare a un terzo, in dipendenza della responsabilità dedotta nel contratto. Sono esclusi i danni derivanti da fatti dolosi.
Il nodo problematico
Le Sezioni Unite sono state chiamate più volte ad esprimersi in merito alla validità della suddetta clausola, inerente alla responsabilità civile.
Nei contratti di assicurazione, generalmente di tipo professionale, legati prevalentemente ad
errori medici, è sempre più frequente la possibilità di essere coperti “a richiesta fatta”, ovvero anche per un periodo molto lontano nel tempo.
Ovviamente si tratta di definire in modo sostanziale l’oggetto del contratto stesso, che assicura così una copertura molto più ampia.
Si tratta di un tematica dai risvolti complessi, per questo motivo la Cassazione ha più volte cambiato opinione in merito, come vedremo a breve.
Legge sulla concorrenza
Una parziale innovazione in materia è stata introdotta dalla
legge n. 24/2017, conosciuta anche come
legge sulla concorrenza.In riferimento ai rischi derivanti dall’esercizio di un’
attività professionale è stato inserito l’obbligo di un periodo di ultrattività per coprire eventuali richieste di risarcimento danni, entro 10 anni dalla fine del contratto stesso, ovvero rispettando il termine della prescrizione ordinaria.
Quindi la garanzia prevede
un’operatività temporale nei 10 anni precedenti e successivi alla fine della polizza.
Tutto ciò è particolarmente significativo quando si parla di
responsabilità medica. L’art. 2 della legge in questione consente al paziente cha ha subito danni si agire direttamente contro la compagnia garante del professionista o dell’azienda sanitaria.
L’assicurazione può essere anche
estesa ai costi difensivi, ovvero alle spese tecniche e legali che si devono sostenere per un eventuale processo. Inoltre, è previsto un
fondo di garanzia med mal, ovvero oltre i massimali stipulati.
Le compagnie assicurative, ad ogni modo, se non sono presenti dati certi, devono decidere come coprire il rischio.
Sentenze della Cassazione
Come anticipato, la Cassazione si è più volte espressa in merito alla clausola claims made, vediamo di seguito i passaggi più significativi.
Le Sezioni Uniti hanno fissato alcuni punti fermi:
- il fatto che la previsione di una richiesta di indennizzo e l’illecito debbano avvenire durante la vita del contratto o comunque entro un termine successivo ma predeterminato non è vessatoria
- con il patto claims si delimita l’oggetto del contratto e non la responsabilità dell’assicuratore
- la decisione in merito all’estensione di copertura, pattuita dalle parti, non viene meno se l’assicurato ignorava l’esistenza di fatti rischiosi commessi in precedenza
- la garanzia pregressa è lecita in quanto si riferisce ad un solo elemento di rischio, ovvero la condotta colposa già posta in essere
- può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza, se determina uno squilibrio dei diritti e dei doveri tra le parti
In seguito è stato ribadito anche che , un polizza che non prevede la copertura per tutti i danni causati dell’assicurato, di fatto costituirebbe un vantaggio ingiusto e sproporzionato dell’assicuratore.
La Corte ha quindi ribadito che la clausola claims made non si deve considerare come vessatoria.
Quindi sintetizzando, le stesse sono ritenute legittime e meritevoli di tutela. Ad ogni modo quelle “miste” se dotate di scarsa retroattività possono essere considerate nulle per immeritevolezza.
La Cassazione è tornata sull’argomento con la sentenza n. 22437 del 24 settembre 2018, di fatto abbandonando la tesi della meritevolezza degli interessi delle parti, e spostando la valutazione sulla causa in concreto.
E’ stato chiarito che l’assicurato può essere tutelato su più piani, anche precontrattuali.
Possiamo affermare che, nonostante la presenza di diversi dubbi, sono presenti anche diversi punti fermi.
Fonti normative
- Art. 1917 c.c
- Cassazione sentenza n. 22437 del 24 settembre 2018