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Errore medico: le conseguenze legali

L’errore medico viene considerato un reato quando deriva dall’inosservanza delle linee guida fornite dall’Istituto Superiore di Sanità. In ogni caso la vittima può chiedere un risarcimento danni se ha subito lesioni o il decesso di un parente.

La medicina non è una scienza esatta, almeno non sempre. Senza dubbio sono stati fatti molti passi in avanti negli ultimi anni, ma non sempre è possibile curare un paziente o evitare il verificarsi di gravi situazioni di salute.

Ma cosa accade quando da un errore medico derivano danni rilevanti per il paziente, o addirittura il decesso? A tal proposito la giurisprudenza ha modificato le norme di riferimento nel 2017, con la legge Gelli-Bianco, che ha sostituito il precedente decreto Balduzzi del 2012. In sostanza un medico è ritenuto responsabile penalmente nei casi in cui agisce senza rispettare le linee guida previste dall’Istituto Superiore di Sanità. 

La vittima, ad ogni modo, può sempre agire come parte civile, chiedendo un risarcimento danni, come vedremo.

Cosa si intende per errore medico?

In giurisprudenza quando si parla di errore medico si fa riferimento a un serie di fattori che concorrono a produrre un evento avverso, ovvero un danno alla salute del paziente.

La colpa può essere del singolo professionista ma anche della struttura ospedaliera. Infatti non tutto dipende dalla prestazione medica, ma l’intera organizzazione è interessata.

Detto ciò risulta ovvio che bisogna distinguere tra due casistiche diverse, cioè un errore determinato da disattenzione o per non avere rispettato i protocolli operativi standard.

In particolare, lo sbaglio può avvenire involontariamente, quindi con colpa,a causa di:

  • negligenza: se il danno è determinato da disattenzione 
  • imprudenza: se non viene utilizzata la dovuta cautela e non si adottano le misure necessarie per minimizzare i rischi
  • imperizia: ovvero scarsa preparazione professionale, o il mancato rispetto dei protocolli standard

Quindi gli errori possono derivare da diagnosi sbagliate, interventi chirurgici scorretti, e altri fattori che causano un peggioramento delle condizioni di salute del malato.

In ogni caso c’è il mancato raggiungimento del risultato prefissato, a causa di errori terapeutici o diagnostici. Può accadere infatti che un medico non rispetti le procedure, oppure che l’incidente sia dovuto da malfunzionamenti nella struttura ospedaliera, ad esempio di una apparecchiatura scientifica.

A volte può succedere che l’eccessivo carico di lavoro, una inadeguata comunicazione tra gli operatori o una supervisione non efficace possano provocare gravi conseguenze alla salute di un soggetto.

Quando l’errore medico è un reato?

A tal proposito la giurisprudenza ha modificato le norme di riferimento nel 2017, con la legge Gelli-Bianco (Legge n. 24 del 08.03.2017), che ha sostituito il precedente decreto Balduzzi del 2012 (Decreto legge 13 settembre 2012, n. 158, convertito nella legge 8 novembre 2012, n. 189).

A seguito della riforma, ai sensi dell'art. 590 sexies del codice penale :

“ Se i fatti di cui agli articoli 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) sono commessi nell’esercizio della professione sanitaria, si applicano le pene ivi previste salvo quanto disposto dal secondo comma.

Qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia, la punibilità è esclusa quando sono rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.

Prima della riforma, secondo il decreto Balduzzi l'esercente una professione sanitaria (non solo il medico, ma anche l’infermiere e l’ostetrica, ad esempio), allorquando avesse causato un danno ad un paziente, non era ritenuto responsabile penalmente se, al momento della prestazione:

- si era attenuto alle linee guida

- si era attenuto alle buone pratiche;

- aveva commesso il fatto con colpa lieve, intendendosi come tale l’errore scusabile, cioè in quello in cui obiettivamente è difficile poter muover un addebito all’esercente la professione sanitaria.

La novità della riforma consiste nella eliminazione di ogni riferimento alla colpa lieve

Il secondo comma dell'articolo citato esclude, dunque, la punibilità dell'esercente la professione sanitaria nel caso di lesioni e omicidio colposo allorquando l'evento si sia verificato a causa di imperizia purché ciò sia avvenuto nel rispetto delle  raccomandazioni previste dalle linee guida ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico-assistenziali.

L'art. 5 della Legge Gelli/Bianco, titolato: “Buone pratiche clinico-assistenziali e raccomandazioni previste dalle linee guida”  statuisce, infatti: “Gli esercenti le professioni sanitarie, nell'esecuzione delle prestazioni sanitarie con finalità preventive, diagnostiche, terapeutiche, palliative, riabilitative e di medicina legale, si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle raccomandazioni previste dalle linee guida pubblicate ai sensi del comma 3 ed elaborate da enti e istituzioni pubblici e privati nonché dalle società scientifiche e dalle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie iscritte in apposito elenco istituito e regolamentato con decreto del Ministro della salute, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, e da aggiornare con cadenza biennale. In mancanza delle suddette raccomandazioni, gli esercenti le professioni sanitarie si attengono alle buone pratiche clinico-assistenziali”.

La responsabilità del medico non sarà invece esclusa nel caso in cui l'evento si sia verificato a causa di negligenza o imprudenza, che costituiscono gli altri due tradizionali aspetti della colpa penalmente rilevante.

In altri termini, se il danno è determinato da inesperienza o mancanza di competenze un operatore non può essere accusato per omicidio colposo o lesioni, se ha agito nel rispetto delle  linee-guida come definite o pubblicate ai sensi di legge (o, in alternativa, di buone pratiche clinico-assistenziali) ovvero all’adeguatezza delle suddette linee guida alle specificità del caso concreto.

Il cambiamento, sebbene possa apparire ingiusto, in realtà è stato attuato con un obiettivo ben preciso dal legislatore. Lo scopo, infatti, è quello di migliorare il rapporto di fiducia tra i pazienti e i medici, che si stava incrinando notevolmente per la paura di potere essere accusati frequentemente.

Una situazione di questo tipo era diventata insostenibile, e i professionisti, spesso, si sentivano condizionati, evitando di scegliere trattamenti innovativi per il timore di diventare imputati nelle aule dei Tribunali. In altre parole veniva attuata una “medicina difensiva” optando per le cure meno rischiose, invece di scegliere quelle più efficaci, oppure per la effettuazione di esami diagnostici pletorici e magari inutili.

Errore medico e risarcimento danni

Indipendentemente che si tratti di un reato o meno, la parte lesa può sempre chiedere un risarcimento danni in sede civile. 

Anche in questo ambito sono state introdotte delle novità con la legge Gelli-Bianco del 2017. La responsabilità civile per errore medico ora non è più contrattuale, ma extracontrattuale. Vediamo di capire cosa significa esattamente.

In seguito al decesso a lesioni gravi riportate da un paziente a causa di un errore medico, non è più il professionista ad avere l’onere della prova, ma la parte lesa. Infatti non si tratta più di un’inadempienza di tipo contrattuale, ma di un illecito civile.

In altre parole il professionista non ha violato quanto sottoscritto con il paziente ma non ha adottato la “diligenza del buon padre di famiglia”, ovvero non ha rispettato un dovere generico, detto anche principio “neminem laedere”, che significa non ledere la sfera giuridica altrui.

Con riferimento alla responsabilità medica il paziente danneggiato dovrà, quindi, in ogni caso, ex art. 2697 codice civile, provare l'esistenza del nesso di causalità  tra condotta posta in essere dal medico e l'evento lesivo da essa determinato (l’insorgenza o l’aggravamento della patologia).

In altre parole, dovrà   provare che il medico ha agito con dolo o colpa, quest'ultima a sua volta causata, ad esempio, da conoscenze inadeguate delle tecniche previste dalle linee guida o da imprudenza e che, per tale motivo, egli ha subito un danno.

Il sanitario, a sua volta, potrà   difendersi provando che l'evento lesivo si è verificato per causa a lui non imputabile, oppure che l'esecuzione di una determinata operazione comportava tecniche esecutive di particolare complessità .

A tal proposito è utile sottolineare che per quanto riguarda fatti di presunta malasanità la prescrizione non è più di 10 anni ma 5, quindi il danneggiato ha meno tempo per intraprendere una causa civile.

Se la responsabilità è della struttura ospedaliera, però, rimane di natura contrattuale, quindi è l’ente stesso a dovere dimostrare di avere agito correttamente, e la prescrizione in questo caso avviene ancora dopo 10 anni.

Il rapporto tra paziente e struttura, infatti, è riconosciuto in termini autonomi come un autonomo ed atipico contratto a prestazioni corrispettive (cd. contratto di spedalità o di assistenza sanitaria) al quale si applicano le regole ordinarie sull'inadempimento fissate dall'art. 1218 c.c.

E’ utile evidenziare, inoltre, che è possibile chiedere un risarcimento per danni di tipo:

  • patrimoniale
  • morale
  • biologico
  • esistenziale

Perciò vengono considerate le perdite economiche, le lesioni riportate, ma anche le sofferenze psichiche e i cambiamenti significativi nello stile di vita derivanti dal danno. Ad esempio un soggetto con delle vistosi cicatrici avrà delle difficoltà a relazionarsi con gli altri, e subirà conseguenze negative anche nei rapporti interpersonali.

Come deve agire la vittima?

Come abbiamo visto la vittima di un errore medico deve agire entro determinati limiti temporali, per evitare che il fatto cada in prescrizione. 

Il primo passo da compiere è quello di recuperare tutta la documentazione, quindi la cartella clinica, per potere analizzare quanto è successo, in modo dettagliato. Dopo avere verificato se sussistono gli estremi per agire è necessario inviare alla controparte una comunicazione tramite raccomandata AR con la richiesta del risarcimento e la descrizione dei fatti.

A questo punto la struttura o il professionista, contattano la loro compagnia assicurativa con la quale hanno stipulato una polizza.

In seguito la persona che ha subito delle lesioni dovrà essere visitata dal medico legale della compagnia, il quale provvederà a scrivere una perizia nella quale verrà specificato il danno riportato.

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