Il consenso informato rappresenta il diritto del paziente di conoscere le varie implicazioni di un trattamento terapeutico, prima di decidere se sottoporsi o meno ad esso. La nostra Costituzione, infatti la libera scelta del cittadino in merito alle cure sanitarie.
Ogni soggetto ha la possibilità di scegliere se sottoporsi o meno a determinati trattamenti terapeutici. Si tratta di una libera scelta, cioè un diritto tutelato anche dall’art. 32 della Costituzione Italiana.
Per potere decidere in modo ragionevole, comunque, un paziente deve essere correttamente informato in merito alle proprie condizioni di salute e sui rischi di eventuali interventi. Il consenso deve essere dato sempre in modo libero e consapevole, e può essere revocato in qualsiasi momento.
Per questo motivo è indispensabile che il medico spieghi in modo semplice e dettagliato i vari aspetti della terapia, assicurandosi che il paziente abbia davvero compreso tutti gli aspetti.
In caso contrario, il medico potrebbe subire un processo civile o penale, a seconda della situazione.
Il consenso informato è indispensabile per potere legittimare l’attività medica. Il presupposto lo possiamo trovare direttamente nell’art. 32 della Costituzione, che afferma quanto segue:
La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.
Quindi, come possiamo leggere nessuno può essere sottoposto a cure, senza averne espresso la volontà. Risulta evidente, però, che per potere decidere valutando correttamente le conseguenze, è indispensabile capire a fondo la situazione. Un comune cittadino, solitamente, non ha conoscenze di medicina, per questo deve affidarsi a ciò che dice il medico.
Quest’ultimo, perciò, è obbligato ad esporre in modo chiaro la situazione inerente alla salute, e i vari rischi collegati alle terapie proposte.
Tale concetto, non è presente a livello generico solo nella Costituzione italiana, ma viene espresso chiaramente anche dalla Convenzione di Oviedo del 1997, poi ratificata dal nostro Paese con una specifica legge, la n. 145 del 28 marzo 2001.
In particolare vengono poste in rilievo le seguenti questioni:
Come abbiamo visto, la legge impone il consenso informato del paziente, prima che il medico possa agire mettendo in atto delle terapie.
Non viene, però, specificato se l’informativa deve essere fornita in forma scritto oppure orale. In genere non ci sono quindi obblighi in merito alla forma da adottare, anche se molto spesso le strutture sanitarie preferiscono mettere tutto nero su bianco per tutelarsi da potenziali problemi legali. L’esistenza di un consenso informato scritto, infatti, potrebbe fungere da prova in caso di contenziosi.
In modo particolare, la prassi prevede la sottoscrizione di un modulo prestampato nel quale vengono inserite le avvertenze inerenti al trattamento in oggetto.
Ad ogni modo anche questa precauzione potrebbe non essere del tutto sufficiente per tutelare i medici e l’ospedale, dato che il paziente deve effettivamente comprenderne il contenuto.
Se da una parte il legislatore impone di informare il paziente in modo corretto in merito alle cure da affrontare, d’altro lato tratta anche la tematica della terapia del dolore, ovvero impone il divieto di ostinazione delle cure, se queste sono irragionevoli. Lo scopo, infatti, è quello di tutelare la dignità della persona anche nella fase finale della vita.
Quindi, ovviamente, il medico deve cercare di alleviare le sofferenze del malato, erogando delle cure palliative, ma deve astenersi dalla somministrazione di cure e trattamenti sproporzionati e inutili.
Un discorso particolare riguarda il consenso informato di minori e incapaci, in quanto essi devono ricevere informazioni in merito alla loro salute, in modo tale che riescano a comprendere la situazione.
A tal riguardo la decisione può essere presa:
Fino ad ora abbiamo sottolineato l’importanza del consenso informato per permettere a un soggetto di potere scegliere liberamente e in modo consapevoli se sottoporsi o meno a determinate terapie, ma cosa avviene se si tratta di casi urgenti?
Nelle situazioni un cui il paziente non è in grado di manifestare il proprio pensiero ed è in pericolo di vita, cioè in caso di urgenza, il medico deve intervenire velocemente per disporre le cure adeguate, senza dovere attendere un consenso informato.
Quindi, l’intervento effettuato viene sempre considerato legittimo, come sottolineato sia dal codice civile, che da quello penale, dato il grave rischio per la salute dell’individuo.
Lo stesso discorso viene fatto per quanto riguarda il TSO, ovvero il Trattamento Sanitario Obbligatorio, previsto soprattutto in ambito psichiatrico, con il ricovero forzato presso le strutture pubbliche.
La legge stabilisce che essi si possono attuare soltanto se:
Il TSO viene utilizzato per lo più quando un soggetto è potenzialmente pericoloso per se stesso o per gli altri, ad esempio se c’è una minaccia di suicidio, di provocare lesioni a persone o cose, rifiuto di acqua e cibo, ecc.
Se il consenso informato non viene prestato in modo corretto, ad esempio nel caso in cui il paziente non comprende a fondo la situazione e il medico sottovaluta la sua capacità di capire ed accettare le ipotetiche complicazioni del trattamento sanitario proposto, ci possono essere delle conseguenze.
Se le cure sono vengono effettuate in modo corretto, ovvero non seguendo le linee guida previste dall’Istituto Superiore di Sanità, il soggetto può chiedere il risarcimento del danno causato dall’errore medico.
D’altra parte se il trattamento è stato eseguito correttamente e si verifica una complicanza, non è possibile chiedere i danni al medico o alla struttura ospedaliera.
Il discorso cambia se il consenso informato è stato fatto in modo incompleto, ovvero se non sono state elencate le probabile complicazioni che potevano verificarsi a seguito dell’intervento o della cura. In tal caso è sempre possibile agire in sede civile.
Recentemente la giurisprudenza ha maturato una opinione, in base alla quale in presenza di un consenso informato non corretto si verifica una lesione di un diritto, e ci può essere un risarcimento del danno, anche se non è stato provocato alcuna lesione alla salute.
Abbiamo sottolineato che il consenso informato rappresenta il presupposto di legittimità per l’attività medica. In quali casi, però, non rispettare tale obbligo può comportare delle conseguenze penali per il medico?
Dopo svariati dibattiti giuridici, l’opinione dominante oggi esclude la responsabilità penale se vengono rispettate le linee guida e i protocolli sanitari previsti, e la terapia ha esiti positivi, anche se non corrisponde a quelle indicata nell’informativa.
Se, però, non si esegue correttamente la terapia, possono emergere sia la responsabilità penale che civile, come è possibile approfondire nel seguente articolo: “Responsabilità medica: quando è colpevole il medico?”
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