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Dimissioni durante la malattia: le conseguenze

Le dimissioni durante la malattia rappresentano una giusta causa? E' possibile abbandonare il posto di lavoro per le condizioni di salute? Che cosa rischia il lavoratore che fa ciò? Vediamolo insieme.

A volte, lasciare il proprio posto di lavoro non è una scelta volontaria ma è dettata da cause esterne come, ad esempio, una malattia. Nella gran parte di questi casi, si parla di giusta causa.

Ne è un esempio chi si dimette per mobbing, molestie, mancato versamento dello stipendio per alcuni mesi e molto altro ancora. In tutti questi casi, ovvero dove viene riconosciuta la giusta causa per lasciare il lavoro, il lavoratore non è obbligato a rispettare i termini del preavviso ed ha anche diritto alla disoccupazione.

Dimissioni durante la malattia: sono considerate volontarie?

Può succedere, però, che qualche lavoratore dia le dimissioni durante la malattia senza preavviso. E' un esempio un lavoratore costretto a lasciare il lavoro a causa di una malattia che non gli consenta più di lavorare al punto tale da non poter neanche garantire il preavviso. In un caso come questo, il dipendente è tutelato o rischia qualcosa? E se rischia qualcosa, nello speicifico, che cosa rischia? La risposta più logica farebbe pensare che se un lavoratore è in gravi condizioni tali da abbandonare il lavoro può non dare il preavviso ed ha anche diritto alla disoccupazione ma, invece, non è così.

Secondo la Cassazione, infatti, consegnare le dimissioni durante la malattia senza preavviso è una scelta volontaria del dipendente e, quindi, un gesto che non ha una conseguenza ma ne ha ben due: il lavoratore in questo caso, infatti, non avrà diritto alla disoccupazione ed avrà il dovere di risarcire economicamente il datore di lavoro per il mancato preavviso.

Dimissioni durante la malattia ed indennità di preavviso

Proprio in virtù di ciò che la Cassazione ha deciso, le conseguenze per aver presentato dimissioni per malattia senza preavviso sono serie e devono essere prese in considerazione dal lavoratore che intenda adottare questa pratica.

Si tratta, come dice la Cassazione, di un gesto volontario e come tale deve essere trattato. Se ci si dimette per malattia senza preavviso, dunque, si potrebbe essere costretti a rinunciare all'indennità di preavviso e di disoccupazione. Ecco un esempio concreto. Se il contratto del lavoratore prevede - così come da accordi Ccnl - un periodo di preavviso di 3 mesi, se questo viene licenziato o se ci sono dimissioni per giusta causa o una risoluzione consensuale frutto di un accordo con l'azienda, oltre al Tfr gli spetteranno 3 mensilità di stipendio per il mancato preavviso da parte dell'azienda. Cioè: se il datore di lavoro manda via un dipendente senza rispettare i termini del preavviso, il lavoratore viene risarcito così come previsto dal Contratto Nazionale di Categoria.

Ma se le dimissioni sono volontarie - come quelle considerate per malattia - allora è il lavoratore a dover risarcire l'azienda per il mancato preavviso e, tornando all'esempio di prima, il lavoratore dovrà risarcire il datore di lavoro con una cifra in denaro pari a 3 mensilità del suo stipendio.

Dimissioni durante la malattia e Naspi

L'altra conseguenza del dare dimissioni durante la malattia senza preavviso è legata, come detto, alla disoccupazione o meglio alla Naspi. Infatti, visto che sono considerate volontarie, non c'è diritto per il lavoratore all'indennità di disoccupazione.

La Naspi, infatti, è riservata solamente ai disoccupati che si ritrovano in questa condizione contro la propria volontà. Spetta, ad esempio, a chi viene licenziato (con un motivo ed anche senza), ai lavoratori che si dimettono per giusta causa o a chi perde il lavoro per un accordo raggiunto con l'azienda.

Così, nonostante quache tempo fa la Cassazione si fosse espressa in modo favorevole al lavoratore che da le dimissioni durane la malattia ritenendo questa una giusta causa, successivamente ha cambiato radicalmente posizione mettendo le dimissioni per malattia senza preavviso al pari di quelle volontarie e quindi secondo la legge al lavoratore non spetta l'indennità di disoccupazione. La motivazione della decisione della Cassazione è che pagare la Naspi a chi si dimette per malattia senza preavviso è come snaturare la natura stessa dell'indennità: questa infatti, è nata per aiutare il lavoratore che si trova costretto ad essere disoccupato ed in attesa di trovare un altro impiego. Chi, invece, deve allontanarsi volontariamente dal lavoro per malattia, non deve fare riferimento a questo tipo di aiuto sociale ma fare riferimento ad altre prestazioni. Il lavoratore, infatti, potrebbe prendere l'indennità per malattia fino alla fine del periodo di comporto prima di dimettersi. In questo caso guadagnerebbe un po' di tempo e qualche mensilità di stipendio in più.

Le tutele al lavoratore malato previste per legge

La legge non permette al lavoratore malato di rassegnare le dimissioni senza preavviso e questo nemmeno in caso di patologie invalidanti e molto gravi. Questo perché, di fatto, il lavoratore in queste condizioni è già tutelato da altri ammortizzatori come, ad esempio, le assenze retribuite per malattia. In presenza di malattia, infatti, quando le sue condizioni non gli consentono di continuare a lavorare, ha dirtitto ad assentarsi dal posto di lavoro sulla base della prescrizione del suo medico curante che invia un apposito certificato all'Inps.

In pratica, il lavoratore gravemente malato non deve dare le dimissioni perché non è tenuto a prestare il suo servizio a causa della malattia. Per i lavoratori dipendenti assunti con un contratto a tempo indeterminato, l'Inps è tenuta a pagare l'indennità per malattia per le giornate considerate indennizzabili comprese in un periodo di 180 giorni entro l'anno solare ovvero dal primo gennaio al 31 dicembre. Questo periodo, nel quale il lavoratore non può perdere il suo posto di lavoro, è detto di comporto.

Dimissioni durante la malattia e giusta causa

Tutto ciò che abbiamo detto fino ad ora parte, come visto inizialmente in modo superficiale, da una specifica domanda: la malattia è una giusta causa per dare le dimissioni senza preavviso? A tal proposito è intervenuta anche la Suprema Corte secondo la quale la salute di un lavoratore non è una delle ragioni non focalizzate sulla persona del lavoratore dipendente che giustificano lo di disoccupazione involontaria.

Nello status di disoccupazione involontaria, come ricorda anche l'Inps, il lavoratore ci finisce quando si è stati licenziati o quando si sia presentato un elemento esterno che non consente più di proseguire normalmente il rapporto lavorativo così come previsto dal contratto stipulato inizialmente fra lavoratore e datore di lavoro: vedi mancati pagamenti, mobbing o molestie sul posto di lavoro.

Le incongruenze dell'Inps

Proprio l'Inps, ovvero l'ente che deve verificare e pagare la Naspi al lavoratore che ne ha diritto, non dice nulla a proposito della malattia. In altre parole di mette al pari della Cassazione dicendoche le dimissioni per malattia senza preavviso sono dimissioni volontarie e non per giusta causa; proprio per questo, il lavoratore che presenta questo tipo di dimissioni non ha diritto all'indennità di disoccupazione.

E qui si apre una diatriba interna etica e di legislatura. Viene messo sullo stesso piano, in pratica chi si dimette perché non riesce a lavorare per malattia e chi presenta le dimissioni al datore di lavoro perché semplicemente ne ha trovato un altro migliore. Si mette sullo stesso piano, anzi si predilige il comportamento di chi viene licenziato perché ha rubato in azienda - ed in questo caso l'indennità di disoccupazione gli spetta - e si penalizza chi, a causa delle precarie condizioni di salute, non riesce più a proseguire il rapporto lavorativo e si dimette - ed in questo caso, come visto, la Naspi non gli spetta.

​Risoluzione consensuale

Esistono dei casi in cui il datore di lavoro ed il lavoratore riescono a mettersi d'accorso in tema di dimissioni durante la malattia: si verifica così la risoluzione consensuale. Essa permette di:

  • ​accedere alla Naspi:
  • ottenere una decontribuzione sull'incentivo all'esodo;
  • non dare un periodo di preavviso e quindi interrompere il rapporto lavorativo anche prima della scadenza dei termini.

La risoluzione consensuale deve essere comunicata attraverso una procedura telematica in cui verranno inseriti i dati del datore di lavoro e del dipendente, il tipo di comunicazione e la decorrenza dei termini sulla piattaforma del Ministero del Lavoro. E' possibile accedervi attraverso:

  • ​Spid o Cie;
  • Patronato o sindacati

Fonti normative

  • ​Art. 26 "Dimissioni volontarie e risoluzione consensuale" del decreto legislativo 151/2015
  • Art. 2120 c.c. "Infortunio, malattia, gravidanza, puerperio"
  • Art. 2129 c.c. "Recesso per giusta causa"
  • Sentenza 269/2002 della Corte di Cassazione
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