La divisione giudiziale è una modalità per porre fini a litigi nati in situazioni di contitolarità di diritti, derivanti in genere da una comunione ereditaria. Vediamo di cosa si tratta esattamente.
Quando due o più soggetti intendono sciogliere la “comunione”, possono decidere di intraprendere diverse tipologie di procedure, a seconda del rapporto che intercorre tra di loro.
In sostanza le decisioni possono essere prese in modo consensuale, se le parti riescono ad accordarsi, la questione può essere stata stabilita direttamente nel testamento, oppure in caso di litigi si può ricorrere al Tribunale.
Quindi se i soggetti coinvolti non riescono a risolvere le loro controversie, le decisioni vengono prese da un Giudice. La richiesta può essere fatta da uno qualsiasi degli interessati, esponendo le ragioni per le quali desidera convocare gli altri in tribunale. L’atto di citazione deve essere consegnato agli altri eredi almeno 90 giorni prima della data dell’udienza.
Ma, andiamo con ordine, e cerchiamo di capire nelle prossime righe in quali casi si può ricorrere a tale procedimento e come funziona.
In giurisprudenza si parla di comunione quando un diritto reale è in contitolarità tra più soggetti. Ciascun interessato ha la possibilità di chiedere lo scioglimento della stessa, come sottolineato dall’art. 1111 c.c.:
Ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione; l'autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se l'immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri.
Per sciogliere una comunione, si deve procedere con un istituto definito “divisione”, che può essere attivato in modo volontario o giudiziale, a seconda della situazione.
In modo particolare:
Possiamo, dunque, dire che la divisione giudiziale è una modalità per attivare il procedimento di divisione, come previsto dalla legge.
Nel codice civile non ci sono articoli che trattano in modo generico la divisione, ma tutto viene riferito alle tematiche ereditarie. Nonostante ciò, l’art. 1116 c.c. afferma che:
Alla divisione delle cose comuni si applicano le norme sulla divisione dell'eredità, in quanto non siano in contrasto con quelle sopra stabilite.
La domanda, ad ogni modo, può essere fatta da ciascun condividente, anche contro la volontà degli altri soggetti interessati. Ad ogni modo, se è stato siglato un patto per non sciogliere la comune, questo imane valido, senza superare 10 anni, come possiamo leggere al secondo e terzo comma dell’art. 1111 c.c.:
Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni.
Se gravi circostanze lo richiedono, l'autorità giudiziaria può ordinare lo scioglimento della comunione prima del tempo convenuto
Ovviamente, non può essere fatta domanda di divisione per quei beni che non possono essere divisi, per loro stessa natura, come esplicitato dall’art. 1112 c.c.:
Lo scioglimento della comunione non può essere chiesto quando si tratta di cose che, se divise, cesserebbero di servire all'uso a cui sono destinate
Come anticipato nel paragrafo precedente, la giurisprudenza tratta in modo specifico soltanto la divisione ereditaria. Tali norme possono essere applicate anche per beni comuni se non ci sono ragioni ostative.
Detto ciò, gli eredi possono richiedere l’intervento del giudice a riguardo, ma tale diritto non si applica ai soggetti chiamati all’eredità che non hanno ancora accettato espressamente o tacitamente la stessa.
Inoltre, non è possibile fare una richiesta esplicita in tribunale se è già intervenuta l’usucapione, cioè se un coerede ha già esercitato il possesso esclusivo del bene usucapendolo. In sostanza se uno dei soggetti ha avuto il possesso per un determinato periodo di tempo, solitamente 10 o 20 anni, secondo quanto stabilito dalla legge, può rivendicare dei diritti sullo stesso.
Ad ogni modo, con il procedimento di divisione giudiziale viene stimato il valore dei beni in oggetto, calcolando la differenza tra attività e passività, cioè tra crediti e debiti, per individuare la massa netta da dividere.
Come già accennato la domanda può essere proposta da ciascun interessato, ed essa è sufficiente per dare avvio al procedimento. In realtà, è bene specificare che, prima di procedere in giudizio è obbligatorio tentare la strada della mediazione civile, come previsto dall’art. 5 del decreto legislativo 28/2010.
Se il tentativo non ha esiti positivi si può procedere in tribunale. A tal proposito è necessario proporre la domanda di divisione a tutti i condividenti, con atto di citazione.
Il tribunale competente è quello presente sul luogo dove sono collocati i beni, o comunque dove è presente la parte soggetta a maggior tributo verso lo Stato.
Il procedimento di divisione giudiziale, poi, si compone di due diverse fasi:
Tra queste ci sono varie attività accessorie, che vengono svolte per potere definire al meglio la questione. Vengono, quindi, accertate la legittimazione attiva e passiva.
Le operazioni vengono svolte da un perito del tribunale o da un notaio, i quali devono redarre un progetto di divisione.
Nella divisione devono intervenire necessariamente:
Se nessuno dei convenuti contesta il diritto dell’attore a richiedere la divisione, o nel caso in cui eventuali constestazioni vengano respinte, il giudice con un’ordinanza dispone la divisione.
Verrai contattato e riceverai i nostri preventivi entro 24 ore.
Scrivici il tuo caso: lo analizzeremo e ti metteremo in contatto con l'Avvocato più preparato nella tua zona.
A questo link trovi le informazioni e la possibilità di attivarla con lo sconto del 50% ovvero 60€ + iva anziché 120€.
Scopri l'AcademyA questo link trovi le informazioni e la possibilità di attivarla con lo sconto del 75% ovvero 90€ + iva anziché 360€.
Scopri il servizio Premium