Il lavoro intermittente è utile nei casi in cui un’azienda necessita di personale in modo discontinuo, quando ci sono picchi produttivi, ad esempio a ridosso di festività. Vediamo come funziona.
Si sente spesso parlare di lavoro intermittente, ma forse in pochi conoscono davvero quando può essere effettuato secondo la legge, quali sono i limiti da rispettare e come deve comportarsi il lavoratore per evitare spiacevoli conseguenze, tra le quali il licenziamento.
Come si suggerisce il termine stesso, con un contratto di questo tipo un soggetto non lavoro in modo continuo, ma soltanto quando l’azienda ne ha davvero bisogno. Si tratta, probabilmente della forma più estrema di flessibilità lavorativa.
Risulta evidente che un individuo non possa mantenere la propria famiglia lavorando solo saltuariamente, ma d’altro canto può essere utile per gli studenti che vogliono guadagnare qualcosa durante il periodo estivo o natalizio.
Ovviamente si tratta di un’opportunità per le aziende, che non sono costrette ad assumere personale che per buona parte dell’anno sarebbe di fatto inutile.
Perciò i datori di lavori che hanno esigenze produttive altalenanti e risentono delle oscillazioni del mercato, spesso preferiscono sottoscrivere dei contratti di lavoro intermittente.
Ma chiunque può farlo? No, la legge impone dei limiti specifici a riguardo, come vedremo.
Il lavoro intermittente, conosciuto anche come lavoro a chiamata o job on call, è una tipologia contrattuale molti particolare, probabilmente la più flessibile in assoluto, dato che si adatta perfettamente alle esigenze aziendali. L’obiettivo non è quello di volere precarizzare i lavoratori, come sostengono i più scettici, ma di consentire alle aziende di poter far fronte a necessità produttive periodiche, a volte non del tutto programmabili.
Si tratta di una tipologia introdotta in Italia con la famosa Riforma Biagi del 2003, anche se di fatto non sono state raggiunte le aspettative previste, anche a causa di determinati vincoli.
Essendo la forma più estrema di flessibilità ma anche di precarizzazione, ovviamente non si tratta di un’occupazione adatta per un padre di famiglia, ma può essere utile a una serie di altri soggetti, che non hanno la possibilità di lavorare a tempo pieno. Ad esempio è una modalità perfetta per gli studenti, che durante il periodo estivo o comunque saltuariamente possono guadagnare qualcosa.
Ma non solo. Anche i pensionati potrebbero avere la voglia o l’esigenza di restare attivi, facendo dei lavoretti ogni tanto.
Il contratto può essere, in ogni caso, a tempo indeterminato o determinato, e si riferisce alla disponibilità data dal lavoratore stesso. In alcuni casi, come vedremo, il dipendente ha l’obbligo di rispondere alla chiamata, in altri invece può liberamente scegliere in base ai propri impegni e interessi.
Nella prima ipotesi il soggetti ha il diritto di ricevere una indennità di disponibilità, ma deve rispettare l’impegno assunto per evitare conseguenze.
Nel paragrafo precedente abbiamo illustrato il significato di un lavoro intermittente, ma è necessario sottolineare che tale tipologia contrattuale non può essere utilizzata sempre.
Il legislatore, infatti, consapevole che il jobs on call è sì molto flessibile, ma anche precarizzante, ha cercato di mettere dei paletti, per evitare che tale pratica venisse sfruttata dalle aziende per evitare di impegnarsi con contratti più seri.
Per questo è possibile procedere in tal senso solo se:
Ad ogni modo è sempre possibile assumere con un contratto di lavoro intermittente soggetti con meno di 24 anni, ovvero le prestazioni devono essere svolte entro il 25° anno di età, oppure gli ultra 55enni.
Perciò, volendo specificare il tutto, il jobs on call è possibile:
Risulta evidente, quindi, che grosse fette di mercato non esclude da questa tipologia contrattuale.
Ma esistono ulteriori limiti. Il presupposto per potere accedere a tale opportunità risiedono nella reale esigenze di avere manodopera solo in particolari periodo dell’anno, quindi in modo non continuativo. Detto ciò, non avrebbe senso assumere qualcuno per periodi lunghi.
Per questo motivo il legislatore ha deciso di ammettere il lavoro intermittente soltanto per un periodo non superiore a 400 giornate nell’arco di 3 anni per ciascun lavoratore, in pratica non più di 133 giornate in un anno.
Se tale soglia dovesse venire superata, l’azienda è costretta ad assumere il lavoratore a tempo indeterminato.
In alcune circostanze, tuttavia, è espressamente vietato ricorrere al job on call, ovvero:
Anche in questo caso, se vengono effettuati contratti di job on call, nonostante il divieto, il rapporto di lavoro si deve trasformare a tempo pieno e indeterminato.
Per essere valido il contratto di lavoro intermittente deve essere fatto in forma scritta, per essere comprovato, e deve contenere i seguenti contenuti:
Nel lavoro intermittente gioca un ruolo fondamentale la disponibilità del lavoratore. Infatti, in alcuni casi esso può essere vincolato ad accettare la chiamata.
In pratica, si possono verificare le seguenti situazioni:
L’ammontare dell’indennità viene stabilita dai Contratti collettivi. Va detto però che non si tratta di una forma di retribuzione, ma di un compenso economico a fronte del disagio della disponibilità. Quindi, esso non fa maturare la tredicesima, la quattordicesima, i permessi, le ferie, o il Tfr.
L’indennità, tuttavia, deve essere assoggettata alla contribuzione previdenziale, quindi è rilevante per il pagamento dei contributi.
Abbiamo più volte accennato nelle righe precedenti che l’azienda che decide di adottare tale tipologia contrattuale pure avendo il divieto di farlo, è costretta a trasformare il rapporto lavorativo in tempo pieno e indeterminato.
Ma cosa accade se ad essere inadempiente è il lavoratore?
Chi ha l’obbligo di rispondere alla chiamata, deve avere un buon motivo per non essere disponibile, e in tal caso deve informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando anche la durata dell’impedimento, dato che in tale periodo non ha il diritto di ricevere l’indennità.
In caso di rifiuto ingiustificato, invece, esso può subire un licenziamento per giusta causa, e deve restituire l’indennità di disponibilità relativa al periodo del rifiuto.
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